L’università nella politica

Impoverito da dinamiche retributive sempre più fiacche, sminuito da studenti sempre meno impensieriti dalle gerarchie accademiche, fiaccato da estenuanti zuffe con i colleghi di dipartimento, lo status di professore universitario ritrova nuova linfa dagli avvincenti metodi di risoluzione delle crisi politiche della Regione e del Comune. Ovvero la chiamata di un docente in carriera a posti di responsabilità della cosa pubblica. Dunque la (nostra) vanità è esaltata da una classe politica che coopta in presenza di un sottovuoto spinto di strategie e di capacità elaborative e strategiche. La classe politica è incapace di esprimere atteggiamenti virtuosi? Si dia il passo al docente, uomo o donna che sia, purché rigorosamente ordinario. S’intende inviare ai propri elettori un messaggio di palingenesi morale o di rifondazione dei costumi? S’includa nella giunta di turno un professore, pur rischiando i danni dell’accanimento terapeutico sull’esecutivo comatoso. Questo èquanto è accaduto pochi mesi orsono per il superamento della crisi politica della Regione; questo è quanto è avvenuto al Comune. Converrà ragionare sulle motivazioni di questo insperato ritorno a-la-page dell’accademico, che, nei momenti di crisi, sostituisce il politico in carriera. Torniamo a metà degli anni Settanta. Allora, mentre le forze di sinistra si apprestavano a divenire forza di governo, l’approdo alla terra promessa del sorpasso della Democrazia Cristiana avveniva, in contemporanea, con la crisi dell’intellettuale organico di gramsciana memoria. Nacque, in quel periodo, la figura dell’indipendente, per lo più stimato docente di scienze sociali, cui era riconosciuto il ruolo di propositore e di discussant di percorsi strategici, cui, spesso, faceva difetto l’impeccabilità tecnica. Si trattava d’intellettuali indipendenti, per l’appunto, il cui compito non era quello di supplire alle deficienze etiche della politica, quanto di costituire una sorta di “avvocato del diavolo”, perché, per definizione, estraneo alle logiche di partito. Personaggi significativi come Michele Salvati, Mario Sarcinelli e Luigi Spaventa assolsero un simile ruolo negli organismi legislativi ed esecutivi. La ventata nazionale degli indipendenti esaurì a poco a poco il suo vigore, man mano che la sinistra cominciava a sentire il contraddittorio sempre meno necessario e l’occupazione di una poltrona come un sacrificio di cui si poteva fare volentieri a meno. I professori tornavano mestamente nelle università, al loro carico didattico. Quelli che non si rassegnarono al ridimensionamento dovettero politicizzarsi, ovvero svestire del tutto la toga universitaria e intraprendere una carriera partitica del tutto analoga a quella dei collettori di voti. E, come sappiamo, non c’è di peggio e di più dannoso di un tecnico che si arroghi il compito di supplire al politico. Restava l’esercito dei silenti, di quei docenti, cioè, che le spy stories indicherebbero come dormienti: gli agenti segreti che si astengono, per comando, dall’azione, ma che sono pronti, qualora l’intelligence lo ritenga opportuno, a entrare in azione. La Campania aveva consentito, fin qui, l’ampliamento della prima classe di docenti, ovvero quelli prestati a tempo indefinito alla politica, i politicizzati. La crisi morale, gli scandali, veri o presunti tali, l’azione della magistratura, giusta o sbagliata che sia, ha spalancato le porte ai dormienti. La ratio ufficiale del loro coinvolgimento al posto dei consueti rappresentanti della classe politica si basa, dalle dichiarazioni pubbliche di chi ne ha giustificato l’utilizzo, per ultimo il sindaco di Napoli sull’assunto di bassa moralità del personale partitico e sulla necessità di competenze specifiche accademicamente certificate. Bene, se la prima asserzione è condotta al paradosso, c’è poco da stare tranquilli. Essa implicherebbe che a Napoli la compagine di centrosinistra, ma non solo quella, non riesce a esprimere quadri che siano in grado di preservare la propria dimensione etica dall’immobiliarista di turno. Meglio sarebbe, in tal caso, un comando strettamente oligarchico per i cui componenti valgano, come titolo preferenziale, il candore della fedina penale e la non appartenenza ai partiti politici. Se il problema della mancata risoluzione dei problemi di Napoli era, invece, cagionato dall’assenza, nell’esecutivo cittadino, di competenze specifiche, dobbiamo aspettarci che i nodi irrisolti della zona di Bagnoli, di Napoli Est, del centro storico, della delinquenza minorile, della camorra, del degrado dell’hinterland cittadino, dello stato scandaloso del patrimonio viario saranno ora, finalmente, sanati. Questa sì che è, finalmente, una gratificazione sincera e disinteressata dell’Accademia.

Repubblica NAPOLI, 07 gennaio 2009

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