Un bel tour all’interno del deficit istituzionale

Il viaggiatore che volesse utilizzare le prossime festività per intraprendere un viaggio a Napoli potrebbe seguire, nella città partenopea, molteplici percorsi alternativi. E tutti interessanti. Uno però, non compare tra gli itinerari suggeriti, se non nella tradizione orale che cittadini feriti osservano e diffondono stancamente tra di loro. È il percorso dello sfascio gestionale del Comune, quello che, ora, con linguaggio tanto colto quanto asettico, si etichetta come “il deficit istituzionale” della città. Si tratta dei luoghi di un percorso ideale a differenti livelli di problematicità, per ognuno dei quali sarebbe possibile, in linea di principio, rintracciare motivi, politici, burocratici, istituzionali, sociali, che costringono all’immobilità la giunta comunale della città; ma è proprio la sommatoria di queste motivazioni invalidanti a rivelare la profonda incapacità di gestione. Così come il viaggiatore che arrivasse, per la prima volta, a Londra percorrerebbe immediatamente l’angolo di storia che inizia dalla cattedrale di Westminster e dal Big Ben e arriva sino a Trafalgar Square, o il viaggiatore che, a New York, esordirebbe percorrendo la Quinta Strada sino all’angolo di Times Square, a Napoli, il viaggiatore dell’itinerario dello sfascio istituzionale non potrebbe non esordire dalla zona occidentale. Bagnoli e la mancata riconversione dell’area dell’ex Italsider costituiscono un viatico imperativo. In quella zona la molteplicità di fenomeni di deficit istituzionale convivono placidamente e per la scelta della forma più luminosa di degrado vi sarà solo l’imbarazzo, dalle lungaggini della bonifica sino all’agonia dell’archivio storico dell’Ilva. Proseguendo verso la zona centrale della città, il viaggiatore che avesse la ventura di muoversi in un giorno piovoso potrebbe fare conoscenza, secondo una sequela che non eguali in altre metropoli, degli acquitrini magicamente formatisi a piazzale Tecchio, delle palme malate e surrealisticamente incappucciate di viale Augusto, sino al felliniano edificio dell’ex sferisterio di piazza Italia, che si erge quale inconsapevole memento di quelli che furono gli effetti dei bombardamenti, nella seconda guerra mondiale, a Coventry o a Dresda. Se il traffico sulla tangenziale non disincentiverà il nostro viaggiatore dal portarsi all’alto estremo della città, la visita di altri luoghi del deficit istituzionale sarà altrettanto stuzzicante. Egli comincerà dal Centro direzionale, cuore pulsante della politica partenopea e luogo d’incontro di faccendieri della cosa pubblica, di una pletora di “ex”, politici e manager, nonché di imprenditori che predicano mercato e razzolano finanziamenti. Lì, nella City riveduta e corretta, il discrimine è netto, quasi manicheo: luce-buio, luoghi frequentati-luoghi isolati. Per quanto istruttiva, sconsigliamo il viaggiatore di vivere di persona l’esperienza combinata “buio-luoghi isolati” della zona del Centro direzionale. In quell’area, secondo un principio che vale solo per la zona degli affari di Los Angeles adiacente Downtown, la mancata creazione di spazi fruibili e collettivi e l’idea che i centri di affari esulino dalla politica e dalla curatela del Comune annullano, di fatto, il territorio dalla convivenza civile oltre l’orario di ufficio. Se, ancora, il nostro viaggiatore avrà la forza di continuare, la tappa successiva sarà costituita da piazza Garibaldi, monumento collettivo alla napoletanità, all’arte di arrangiarsi, al piccolo raggiro, alla lentezza dei lavori pubblici. Probabilmente solo alcuni angoli di Mumbai, la vecchia Bombay, competono con gli eccessi della nostra piazza; di certo quella di Marrakech presenta elementi di maggiore ordine e di minore tolleranza dell’illegalità. Gli occhi attoniti del viaggiatore ruoteranno dai treppiedi del gioco delle tre carte ai telefonini e personal computer taroccati venduti tra un dottò e l’altro, dagli alterchi tra gli ambulanti locali e gli immigrati aspiranti tali, dai nuovi alberghi che arditamente aprono al fumo che sale dai lavori in corso. Sopra tutto sirene dispiegate, elefantiache teorie di autobus, talora qualche timido poliziotto, mai un vigile urbano. L’extraterritorialità è sancita quasi per editto comunale. È certo che, a questo punto, il nostro viaggiatore ne avrà abbastanza; non cerchi, però, uno shopping compensativo alla Rinascente: è chiusa per contenziosi irrisolti con il Comune.

Repubblica NAPOLI, 22 novembre 2008

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