La politica non aiuta l’economia campana

Alcuni documenti istituzionali hanno, di recente, esaminato la situazione economica delle regioni meridionali. L’ha fatto, dapprima, il dipartimento per le politiche di sviluppo per l’intero Mezzogiorno e, successivamente, la Banca d’Italia per l’economia campana. Il sito della Svimez, infine, pubblica alcune anticipazioni del rapporto che sarà reso pubblico tra meno di un mese. Le valutazioni non sono, come ci si aspettava, positive, né le prospettive, come si temeva, rosee. Adempiamo, dunque, al solito rito iniziale delle lamentele e ricordiamoci che per il sesto anno consecutivo l’economia meridionale cresce meno di quella del Centro-Nord; che nel 2007 il prodotto del Mezzogiorno sarebbe cresciuto, in termini reali, di poco più di mezzo punto percentuale; che gli investimenti sono rallentati, specie nel comparto decisivo delle attrezzature e dei macchinari. La situazione è, come ci ricorda la sede regionale della Banca d’Italia, sostanzialmente simile in Campania: decelerano consumi e investimenti; il comparto edilizio cresce, per la prima volta da un decennio, meno della media complessiva dell’economia; il mercato del lavoro è avulso da qualsiasi fenomeno, positivo o negativo che sia, che interessi il settore produttivo. Questa la lista di doglianze, consueta ma ineliminabile. Tuttavia i problemi veri cominciano da qui. L’ambiente politico e intellettuale campano, che ovviamente condivide questa semplice diagnosi, pare, da un po’di tempo, essersi attardato a discutere su tematiche che, francamente, poco ci appassionano. Il primo: è l’economia campana caratterizzata da luci e ombre o, piuttosto, da ombre e luci? Il lettore intuirà che l’ordine dei sostantivi è influente nel giudizio, poiché, nel primo caso, si potrà spuntare una sufficienza. Il secondo quesito: sono troppe o troppo poche le risorse finanziarie che vengono, centralmente, inviate alle regioni meridionali, e, segnatamente, alla Campania? È ovvio che la risposta cambia a seconda della latitudine politica dell’interlocutore e del quadro governativo nazionale. In concreto: un difensore del centrodestra, se fino a pochi mesi fa osservava che i fondi inviati in Campania erano scarsi e male amministrati in loco, oggi non esiterebbe a giurare che le risorse sono sempre male amministrate ma cospicue. Riproponendo queste fittizie diatribe si finisce con il trascurare gli elementi di novità, negativi o positivi, che si affacciano sulla realtà meridionale e su quella campana in particolare; se ne avessimo maggiore consapevolezza, saremmo, probabilmente, in grado di fronteggiarli e di indirizzarli. È il caso di sottolineare che da qualche anno le esportazioni campane, pur con qualche inevitabile oscillazione ciclica, vendono in maniera stabile sui mercati internazionali, anche in paesi tradizionalmente difficili come quelli dell’area dell’euro. Non si tratta dei consueti prodotti tradizionali, ma di manufatti provenienti dalle poche grandi e medie imprese competitive. Stabilizzarne o incrementarne le quote di mercato, sembra obiettivo qualificante, assai più che discutere se le ombre prevalgano sulle luci. Per la media impresa questa inedita, flebile capacità concorrenziale proviene da un capillare processo di ristrutturazione, del quale poco si ha sentore, ma di cui si palesano i primi risultati. Più che di riconversione, che rinvia a modificazioni di prodotto o di processo, è un silente, come l’ha definito il dipartimento per le politiche di sviluppo, processo dinamico di reazione. Il fenomeno è eterogeneo, poco spesso qualificante perché coinvolge la qualità del prodotto, la diversificazione, l’investimento in “marchi”, più frequentemente difensivo, e cioè attuato con delocalizzazioni, spostamenti su segmenti bassi della filiera produttiva, ricorso a lavoro esterno, abbassamento delle condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro. E di questa sotterranea mutazione dovremmo saperne di più, giusto per capire quali processi dinamici di reazione incoraggiare e quali contrastare. Ma quale che sia il livello, la qualità e i mercati di sbocco delle esportazioni, quale che sia la modalità di riconversione scelta dalla media impresa, il mercato del lavoro campano non è affatto coinvolto nei processi che intuiamo. O meglio: cala il tasso di partecipazione attiva e di occupazione, si allontanano gli obiettivi di Lisbona, ma non siamo in grado di esprimere alcuna misura di politica attiva del lavoro che dia almeno la speranza ai giovani qualificati che entrano sul mercato del lavoro di trovare un’occupazione nella regione. Nessuna interlocuzione con le poche imprese che tirano, nessuna strategia di formazione e di qualificazione professionale concertata, con largo anticipo, con una labile, potenziale domanda di lavoro. La disoccupazione di lungo corso e i cortei fanno premio sulle capacità e su interlocutori meno incalzanti e meno politicamente appetibili. E, su questo, rimandare allo Stato “cinico e baro” pare, francamente, autoassolutorio.

Repubblica NAPOLI, 21 giugno 2008

This content has been locked. You can no longer post any comment.

Cerca nel sito

Incontri

Fut Rem

 

.

 

Chi è online

 21 visitatori online