Caro Montezemolo venga a investire davvero

Scrivendo queste note vengo meno a un impegno preso con me stesso in occasione della nomina a consigliere d’amministrazione di Bagnolifutura: astenermi scrupolosamente da interventi sulla carta stampata in ordine a problemi che riguardassero la società. E ciò per un duplice ordine di motivi: il primo per evitare al lettore il legittimo sospetto che un qualsiasi commento si originasse da una tutela della carica; il secondo per evitare di dedicare, data la mole delle polemiche che riguardano l’area occidentale di Napoli, tutto il mio tempo a “sospettose” difese d’ufficio. Si sa: così come in Italia ognuno di noi è commissario tecnico della nazionale di calcio, a Napoli siamo tutti programmatori e pianificatori dello sviluppo di Bagnoli. Non che ciò costituisca un fenomeno negativo; anzi: la riconversione della zona in cui operava l’Italsider assume un significato paradigmatico per le speranze di riscatto sociale della città; dunque tutto ciò che riguarda la “fabbrica” è scandito dall’interesse della pubblica opinione che tende a scrutarne lungimiranza, tempestività, coerenza. Solo muovendo dalla definizione di Bagnoli come “segno” si può capire, come mi era capitato in passato di commentare, la reazione popolare all’utilizzo dell’acciaieria quale sito temporaneo di stoccaggio dei rifiuti, quando luoghi ben più centrali e inefficienti erano utilizzati. E la promessa di rispondere a valutazioni estemporanee su Bagnoli era stata rispettata anche in occasione del quotidiano esercizio di molti dei politici locali sulle attività da insediare: se provassimo a immaginare l’area Italsider caratterizzata, come per incanto, da tutti gli attrattori che sono stati pensati vedremmo un’area con un museo Guggenheim al centro di un campo da golf, annaffiato dalle acque di un improbabile acquario e popolato dagli animali, feroci ma non troppo, di una stazione zoologica ecologicamente compatibile. Questa la Scilla della classe dirigente napoletana. Se però si aggiunge la Cariddi dei rappresentanti istituzionali che, in fugaci visite alla nostra città, ci recitano la loro formazione ideale per Bagnoli, il mantenimento di un doveroso riserbo diventa difficile e tendenzialmente masochistico. La nuova ondata di pensatori riguarda, dopo i politici indigeni, variegati rappresentanti del mondo imprenditoriale. Non vi è stato imprenditore assurto, di recente, ai vertici delle associazioni industriali cittadine e regionali che non abbia tuonato contro i ritardi di Bagnoli; giovani imprenditori ci assicurano di avere udito, nelle lontane terre di Cina, il nostro presidente del Consiglio tuonare contro i ritardi della bonifica e della riconversione dell’area flegrea. Per ultimo il presidente di Confindustria, nella ben poco riservata riunione che la sua associazione ha voluto dedicare ai temi del Mezzogiorno, ci ha informato, con piglio determinato, che gli imprenditori campani sarebbero del tutto pronti a investire a Bagnoli, nell’area orientale di Napoli e in zone limitrofe: perché ciò avvenga è necessario, non tanto l’erogazione d’incentivi, quanto programmi certi della classe politica al “mercato”. Non ci è dato sapere se la superficialità di tali valutazioni derivi dalla molteplicità di cariche che Luca di Montezemolo ricopre o dalla modestia dei suggerimenti dei suoi collaboratori campani; certo è che colpisce la limitatezza dell’argomentare del massimo dirigente imprenditoriale. In primo luogo, ma il seducente capitano d’industria ne sarà certamente consapevole, tuonare contro “la classe politica” ricorda la hegeliana notte in cui tutte le vacche sono nere. Poiché la genericità dell’accusa non consente di discernere reali responsabilità, essa non appare un atto di coraggio, quanto un populistico atto di scaricabarile. In secondo luogo ci appare un po’fantasiosa l’affermazione orgogliosa che gli imprenditori non necessitano di contributi ma di certezze. Se così fosse ci troveremmo di fronte a una coraggiosa, quanto repentina, mutazione degli attori locali: il presidente di Confindustria ricorderà che nell’ultimo ventennio non vi è stato progetto d’investimento produttivo di una certa dimensione in Campania che non sia stato finanziato, anche, con denaro pubblico. Infine: Montezemolo ci assicura che gli imprenditori sarebbero pronti a investire a Bagnoli e a Napoli Est. Ne prendiamo atto sperando che siano programmi lungimiranti, produttivi e tecnologicamente avanzati e non solo alberghi, centri commerciali e settori industriali tradizionali. Questo è il “mercato” del ceto imprenditoriale campano: negarlo è solo o polemica politica o sublimazione di un pio desiderio.

Repubblica NAPOLI,  25 gennaio 2007

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