L’economia campana si è fermata

Con toni sommessi, nei quali asetticità e cautela si mescolano forse per non enfatizzare una situazione già assai grave di suo, l’Ufficio regionale della Banca d’Italia ci fornisce il quadro annuale sull’andamento dell’economia campana nel 2005. Si tratta di un quadro, francamente, molto più negativo di quanto i più pessimisti tra i commentatori andavano profetizzando da almeno un anno a questa parte e che vale la pena di ricostruire nelle sue tendenze di fondo. Nel 2005 la regione presenta la sua performance più negativa degli ultimi otto anni, riportando gli indicatori caratteristici più significativi ai valori che essi presentavano prima del ciclo congiunturale espansivo del 2001-2004. Esauritosi, infatti, lo stimolo della spesa pubblica che, all’inizio del decennio, compensava la stasi della domanda aggregata privata, i nodi vengono progressivamente al pettine. E questi nodi riguardano i due mercati, quello della produzione e quello dell’occupazione, che costituiscono l’ossatura sulla quale valutare le capacità progressive di un’economia. Cominciamo dalle imprese. La situazione di crisi è, ovviamente, percepibile, ma la Banca d’Italia ci fornisce delle preziose informazioni che vale la pena di non trascurare. La prima: in base a dati della Presidenza del Consiglio trenta unità produttive campane di medie e grosse dimensioni, che occupano oltre novemila lavoratori nelle province di Napoli e di Caserta, si trovano ufficialmente in situazione di crisi aziendale. Il lettore capirà la portata del problema: se tale crisi, che va ben oltre la moria quotidiana di piccole unità, dovesse divenire esplicita, poco scommetteremmo sulla puntualità dei treni campani e sulla regolarità del traffico presso gli uffici della Regione. Ancora: un quinto, circa, delle imprese tenute sotto osservazione dalla Banca d’Italia ha ricevuto, nel 2005, finanziamenti pubblici per incrementare l’accumulazione. Tuttavia i loro investimenti non sono stati differenti, in media, da chi non ha usufruito di simili benefici. Se non si vuole ipotizzare che la concessione degli incentivi sia stata inefficiente o frettolosa, dobbiamo arrivare alla triste conclusione che le agevolazioni servono, nelle condizioni attuali, a mantenere i livelli d’attività. Il che non fa ben sperare. Infine: nonostante la politica, condotta dalle aziende di credito nell’ultimo decennio, di ferreo contenimento degli impieghi alle imprese esposte, l’aumento della posizione debitoria avviene nelle società che manifestano un calo della redditività netta. Come dire che il ricorso alle banche non è finalizzato a crescere ma al finanziamento delle attività correnti. E tutto ciò si è tradotto in un’esasperazione della gravità delle tendenze del mercato del lavoro, che inesorabilmente sancisce quanto negli altri comparti dell’economia funziona poco o male. La Banca d’Italia ci aggiorna su linee di tendenza che confermano la gravità della situazione attuale: la diminuzione dell’occupazione ha riguardato tutti i settori; essa è cresciuta esclusivamente tra i lavoratori a tempo indeterminato; confina sempre di più l’occupazione femminile nei comparti dell’istruzione e della sanità; esclude dal mercato del lavoro, perché scoraggiate, il 17 per cento delle donne che, all’inizio dell’anno, cercano attivamente un’occupazione; innalza al 40 per cento circa la disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni. Poco importa, a questo punto, valutare se l’inversione del ciclo campano dipenda per intero dalle responsabilità del precedente governo; ma qualche notazione, tuttavia, pare incontrovertibile. Nessuna regione italiana, per articolazione produttiva, complessità sociale e polarità di imprese, necessita, come la Campania, di un quadro di riferimento di politica economica territoriale. Nel corso dell’ultimo anno la successione degli eventi elettorali e le lacerazioni nell’ambito della coalizione di centrosinistra hanno portato in secondo piano quanto succedeva nel sistema produttivo. Mentre si vagliava la scelta di un consigliere, la promozione di un assessore, la ricandidatura di un deputato, l’economia sceglieva per noi, o meglio per quella gente che, volente o nolente, della dialettica del nostro basso impero subisce scelte o carenze.

Repubblica NAPOLI, 23 giugno 2006

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