Le buche di Keynes e i buchi della sanità

Dopo le varianti ai piani regolatori, le varianti “frozen” al cocktail margarita e la “variante di Lunenburg”, splendidamente romanzata, sul gioco degli scacchi, la Regione Campania ha pensato bene di introdurne una propria, di variante: si tratta della variante, ci informa l’assessore al Bilancio, relativa alle modalità di introduzione dei ticket sui medicinali: il ticket dovrà essere pagato “solo” sui medicinali, per così dire, “griffati”, mentre i farmaci di base, di eguale composizione, saranno esentati. Una simile profonda e originale elaborazione pare, dalle dichiarazioni dell’assessore alla Sanità, essere scaturita dalla riunione di fine anno della giunta regionale, in un momento, cioè, in cui i sindacati non potevano essere consultati sull’accettabilità della “variante”. Ma forse non sarebbe stato necessario un grosso sforzo di fantasia per valutare quanto negativa sarebbe stata la reazione all’ennesima misura che sancisce l’indisponibilità della giunta campana a qualunque ipotesi di gestione concordata e ragionata dello sfascio della sanità regionale. Le vicende che hanno portato all’attuale situazione sono ben chiare ai nostri lettori. Il disavanzo progressivo del settore e l’accumulo di un debito, la cui esatta dimensione sfugge probabilmente anche a chi sarebbe deputato a contenerlo, ha determinato, nel corso degli anni, una serie di misure straordinarie della Regione, tese a coperture finanziarie estemporanee e mai di respiro strutturale: un susseguirsi di tasse di scopo, di incrementi delle addizionali di imposta, sui redditi o sulle attività produttive, a discrezione della Regione; ora raschiato il barile istituzionalmente permesso, si reintroduce il ticket sanitario, ovviamente ammannito da una benevola variante. Ci era capitato, nelle settimane addietro, di effettuare qualche considerazione sui danni che potevano scaturire da una simile dissennata ingegneria del bilancio regionale: allora si argomentava quanto dannosa sarebbe risultata per l’economia campana, una legge finanziaria che non avesse per tempo affrontato tre problemi di carattere strutturale: il rafforzamento della competitività della struttura produttiva, una maggiore inclusione sociale che alleviasse un disagio capillare e potenzialmente eversivo, l’attenuazione di una dipendenza energetica oramai patologica. Risulta chiaro che, per un dato ammontare di risorse, o, meglio, per un ammontare di disavanzo non valicabile, ogni euro sprecato nel settore sanitario è un euro di mancato utilizzo per finalità socialmente più elevate o più produttive. È vero che Keynes, negli anni Trenta, provocatoriamente teorizzava l’utilità dello scavar buche e di, poi, riempirle, ma francamente la situazione del bilancio campano è, paradossalmente, più grave: per quanto improduttivo lo scavar buche rispetta l’etica di chi è chiamato a questa faticosa, seppur inutile, mansione. Nella sanità campana nemmeno tale etica è rispettata, in ragione di erogazioni ad aziende ospedaliere inefficienti, di strutture inutilizzate, di “viaggi della salute” crescenti. E tutto ciò accade mentre storiche e nobili manifatture chiudono i battenti, mentre le parti sociali chiedono programmi certi di politica economica, mentre i nuovi ingressi sul mercato del lavoro abbisognano di misure che aiutino l’inserimento. Ma forse non bisogna disperare. L’assessore alla Sanità ci rassicura che all’inizio l’introduzione del ticket non sarà “severissima”. Se non si stentasse a credere a questa dichiarazione, verrebbe da chiedersi quali saranno i comportamenti non severissimi: considerando l’aspirina un prodotto non griffato? Valutando, il farmacista, il possibile reddito dell’acquirente? Chiudendo un occhio nelle rivendite di periferia? Esprimendo tolleranza per gli ottuagenari? La verità è che la compagine del governo campano pare aver perso quella funzione progressiva che esibiva al momento del suo, non remoto, insediamento; e la perdita di queste prerogative non è per nulla attenuata da quelle forze politiche che a tale andazzo dovrebbero, almeno moderatamente, opporsi. Saremo, certo, incapaci di apprezzare l’imperscrutabile primato della politica, ma, forse, più banalmente, Parigi val bene una messa.

Repubblica NAPOLI, 05 gennaio 2007

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