La gerarchia delle spese

La coerenza degli interventi congiunturali dell’economia con obiettivi più strutturali di medio e lungo periodo permane uno degli aspetti qualificanti della politica economica; primo fra tutti la capacità di far sì che una ripresa dell’economia abbia probabilità di radicarsi in modo non effimero. Problemi simili si manifestano oggi in Campania. L’economia campana ha registrato, infatti, nel corso del 2006, una significativa ripresa, addirittura più sostenuta di quella che ha interessato la media delle regioni meridionali. Si tratta di un evento la cui rilevanza trascende l’aspetto meramente quantitativo. Da oltre un triennio la struttura produttiva della regione languiva, dopo aver subito, nel 2005, un crollo generalizzato dei livelli di attività. Nell’inversione della congiuntura dell’anno passato alcuni aspetti meritano di essere sottolineati: oltre all’innalzamento dei consumi privati si assiste ad una maggiore penetrazione delle esportazioni campane sul mercato dell’euro, sul quale, come si intuisce, la competitività diventa sempre più complessa per i partner europei causa l’impossibilità, in un’area valutaria comune, di ricorrere a svalutazioni della propria moneta. Minore reattività alla ripresa dell’economia hanno registrato due variabili “chiave”: gli investimenti privati e l’occupazione. I primi, come risulta da un’indagine della Banca di Italia, sono condizionati alla prosecuzione della ripresa; la seconda, l’occupazione, è scarsamente sensibile alla congiuntura e, laddove reagisce positivamente, la domanda di lavoro riguarda impieghi a tempo definito, specie nel settore della grande distribuzione commerciale. La ripresa non è flebile ma, per consolidarsi, necessita di un incremento degli investimenti; l’intensificazione dei rapporti nell’area dell’euro rimanda a politiche di competitività non basate sui prezzi, ma sulla qualificazione tecnologica; a differenza di quanto era accaduto nel 2002 e nel 2003, le componenti trainanti della domanda globale non sono più i consumi e gli investimenti pubblici. Rendere non temporanea la ripresa e rafforzarne gli elementi fin qui apparsi fragili pare il compito precipuo della politica regionale: pensare ad interventi strutturali, evitando episodicità e mancanza di lungimiranza. E tale ambizione necessita di un ripensamento delle modalità di intervento sulla struttura produttiva campana. Ciò che non va fatto è chiaro: il tradizionale governo dell’economia regionale è avvenuto e, in molti campi, avviene tuttora tramite l’incremento dell’occupazione nel settore pubblico, l’allargamento della quota della domanda spiegata dai consumi e dagli investimenti pubblici, la determinazione di incentivi alle imprese solo in base a potenziali requisiti dei beneficiari. Tutto ciò sembra quasi non funzionare più. La valutazione comparata, infatti, delle politiche regionali in Europa insegnano che efficacia ed efficienza di intervento spesso si accompagnano ad una ridefinizione delle strategie in cui il governo diretto è sostituito sempre più da forme di “governance”, ovvero di regolazione indiretta e duttile del processo produttivo. Il ruolo delle istituzioni diviene semplice e arduo al tempo stesso: è fin troppo semplice stabilire nuovi incentivi per le imprese che volessero insediarsi nel nostro territorio, incrementare di un’unità l’occupazione nel settore ospedaliero o predisporre l’ennesima, inutile, fiera di promulgazione dei nostri siti archeologici. Ciò non eviterà la rimozione del disinteresse ad investire nella regione. Ben più complicato è intervenire non solo spendendo, ma spendendo e regolando, selezionando e gerarchizzando gli interventi.

Repubblica NAPOLI, 03 aprile 2007

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