Tre requisiti per il sistema di incentivi all’industria

Sul finire della scorsa settimana Marco Zigon ha, sulle pagine di questo giornale, espresso le proprie idee sulle modalità con le quali andrebbe rivisitato l’attuale sistema d’incentivazione per le imprese operanti dal Mezzogiorno. Muovendo da considerazioni condivisibili circa il deficit di contesto che caratterizza l’ambiente meridionale, e cioè carenze infrastrutturali e limiti di coordinamento della pubblica amministrazione, Zigon auspica che il sistema d’incentivazione debba soddisfare tre requisiti: l’automatismo, ovvero la certezza di fruizione per un’impresa che abbia i requisiti normativi; il calibro, e cioè la capacità dell’incentivo di modificare strutturalmente, e non solo per il periodo in cui esso è in vigore, le condizioni di performance dell’impresa; la focalizzazione, in concreto la capacità di innalzare il livello di competitività dell’imprenditore beneficiario. Le valutazioni meritano una riflessione poiché esse, pur non dispiegandosi in proposte operative specifiche, pongono problemi concreti e non sono intrise del consueto tasso di vittimismo con il quale la nostra imprenditoria discute, di solito, le misure di politica economica incentivare; anzi Zigon tiene a rilevare come «la leva fiscale e la compressione del costo del lavoro contribuiscono ad aumentare la concorrenzialità in fase transitoria, ma non necessariamente assicurano condizioni di competitività, a regime, tali da reggere l’urto con i mercati della globalizzazione». L’inconsueta, lunga citazione è d’obbligo quando tali valutazioni provengono dal mondo imprenditoriale, anche se sarebbe auspicabile sapere cosa ne pensano in proposito i vertici datoriali; ma la serietà di propositi merita una risposta attenta. Automatismo degli incentivi: Zigon propende per la concessione d’incentivi automatici e non discrezionali poiché vorrebbe che essi fossero inseribili nel business plan d’impresa e perché, ma questa è solo una mia supposizione cattiva, così si attenuerebbe il livello d’arbitrio della pubblica amministrazione. Intenti forse nobili: il problema è che, da qualche anno, al tavolo degli incentivi è seduto, come dice la Svimez, un “convitato di pietra”, e cioè il vincolo di finanza pubblica che l’allegra conduzione di Tremonti e Siniscalco ha progressivamente acuito. Ciò ha fatto sì, dapprima, che contributi in conto capitale divenissero, in corso d’opera finanziamenti da rimborsare, e, successivamente, che l’accesso ai contributi divenisse, di fatto, discrezionale, essendo la domanda di finanziamenti sistematicamente maggiore dell’offerta disponibile. Se i finanziamenti sono, nel concreto, discrezionali, meglio sarebbe, allora, che tale discrezionalità fosse sancita secondo parametri ben precisi, e non affidata al burocrate, o, peggio, al politico di turno. La tentazione dell’arbitrio sarebbe appetitosa. Il secondo requisito cui accenna Zigon, e vale a dire un calibro efficace degli incentivi, può derivare non tanto dalla natura degli incentivi in sé, quanto dalla loro coerenza e dalla loro fruizione congiunta. Esempio: se l’incentivazione deve riguardare la decisione di localizzazione di un’impresa, la facilitazione dovrebbe essere offerta in un pacchetto unico e non suddivisa tra facilitazioni sul mercato del lavoro e mercato del credito. Meglio sarebbe l’offerta di un pacchetto unificato al potenziale investitore. E qui veniamo all’ultima caratteristica: la lungimiranza. Lungimirante è un incentivo che, ha ragione Zigon, modifica stabilmente le condizioni di bilancio dell’impresa. Ma poiché di buone intenzioni è lastricata la strada che porta all’inferno, esiste un unico criterio che possa salvaguardarla: la premialità. Solo valutandone i risultati, e dunque reiterando o cassando i benefici inizialmente accordati, si valuterà in concreto la lungimiranza della concessione. In definitiva solo un sistema d’incentivi discrezionale, coerente e premiale avrebbe chance di funzionare se le casse e la volontà politica lo volessero. E non è poco.

Repubblica NAPOLI, 24 novembre 2005

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