La logica capovolta del bilancio regionale

È sicuramente originale il modo di procedere della giunta regionale nella redazione e nella legittimazione del bilancio di previsione. Un’istituzione che si preoccupi di dover rendere conto ai “cittadini” del proprio operato, si muoverebbe secondo una logica del tipo: “Cari signori, l’ammontare desiderato di spesa della Regione, e in particolare quella destinata alla sanità è di un ammontare pari a X”. “Poiché l’andamento tendenziale delle entrate e i vincoli posti dalla legge finanziaria nazionale determinano un eccessivo disavanzo di bilancio, siamo costretti a incrementare la tassazione sulle persone fisiche, sui redditi d’impresa e sulle spese sociali. Siamo d’accordo che tali sono l’ammontare ottimo di spese e i prelievi necessari per finanziarlo?”. Tutto ciò in uno scenario in cui l’accountability, come dicono gli inglesi, e cioè la necessità di dover dare conto alla collettività delle proprie scelte e della propria funzione di preferenze sociali, continui ad avere un senso. In Campania la redazione del bilancio regionale è avvenuta secondo una logica assolutamente capovolta: prefissato e considerato esogeno, il disavanzo, come se il settore sanitario fosse ammantato d’oggettività indiscutibile e imperscrutabile, si è proceduto con una ridda d’ipotesi, di voci e di proposte sulle modalità d’incremento del gettito fiscale, secondo una logica del tipo: tale è il disavanzo, vedete voi come possiamo coprirlo. Questo limite non è rilevante tanto sul piano metodologico, ma ha profonde implicazioni pratiche, vale a dire di politica sanitaria: poiché non si sa, o non si dice, ciò che è rilevante e ciò che non lo è , allora la tassazione aggiuntiva non si sa a cosa di qualificante sarà finalizzata. L’originale impostazione di aumentare di mezzo punto Irpef e Irap a prescindere dal livello di reddito delle persone o dalla struttura dimensionale e di redditività delle imprese pare, per fortuna, tramontata. Grazie allo sforzo prodotto dalle organizzazioni sindacali e da esponenti della sinistra, diessina e no, sembra che la giunta regionale si stia indirizzando verso un incremento a carattere progressivo dell’imposizione sulle persone fisiche. Giova ricordare che secondo l’Istat, che come tutti sappiamo non brilla oggi per particolare autonomia dal governo, una coppia che percepisca meno di 930 euro al mese deve essere considerata al di sotto del livello di povertà. E in Campania tale fascia di lavoratori dipendenti e di pensionati èpercentualmente superiore alla media nazionale e meridionale. Per ciò che concerne i redditi d’impresa si sta facendo strada l’idea non peregrina di rimborsare, nel prossimo esercizio finanziario, il prelievo alle imprese più dinamiche e a maggiore propensione occupazionale. La manovra potrebbe avere un duplice risultato positivo: consentire maggiori introiti al bilancio e incentivare le imprese a rientrare nella normativa di rimborso futuro. Ma i lambiccamenti d’ingegneria finanziaria e le tensioni con le parti sociali rischiano di essere vanificati da un elemento non trascurabile: una sentenza della Corte costituzionale, nel 2001, e una pronunzia della Corte di Giustizia, poi, tendono a considerare illegittimi tali prelievi, innescando una lunga teoria di ricorsi e di rimborsi. Non ci resta che piangere: non solo non sappiamo a che posta di bilancio della sanità sarà devoluto l’eventuale incremento di tassazione, ma nemmeno quanto sarà possibile in concreto rastrellare. Forse su questi assunti si muovono le iniziative a tutto campo della giunta, ultima quella di stornare verso il debito sanitario 80 milioni d’euro destinati al fondo per la casa. Molti di noi considerano inderogabile il principio sociale del mantenimento della sanità pubblica e dunque il ricorso, in ultima istanza, a manovre di finanza straordinaria. Ma improvvisazioni e imprecisioni non fortificano, di certo, i nostri convincimenti.

Repubblica NAPOLI, 01 dicembre 2005

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