Grandi risorse piccole organizzazioni

La politica del turismo è una strana creatura che è costretta a scontare, da un lato, la molteplicità delle tematiche che la coinvolgono e dall’altro, specie qui da noi in Campania, il pressappochismo e il dilettantismo di chi è chiamata a gestirla. E mentre gli altri settori produttivi vanno, più o meno meritatamente, in vacanza, il turismo della nostra regione rinnova e palesa la crisi strutturale che lo attraversa da, oramai, più di un lustro. I dati, nonostante la visibilità mediatica di assessori che ci assicurano nel loro furore itinerante dei salti di qualità del settore, sono purtroppo incontrovertibili: Banca di Italia e Svimez, che non hanno elettori da irretire, stimano un calo di quasi il 6 per cento delle presenze turistiche negli esercizi ricettivi regionali. Il calo è generalizzato a tutte le categorie ricettive, a tutte le nazionalità di turisti, a tutti, o quasi, i poli turistici della regione. È intuibile che una parte di questo collasso debba essere imputata a problematiche e carenze più generali dell’Italia e del Mezzogiorno: in primo luogo la concorrenza in atto nel bacino del Mediterraneo. Le regioni meridionali si trovano, infatti, a dover affrontare una duplice concorrenza: da un lato quella delle destinazioni mature della riva nord del Mediterraneo, la Spagna e la Grecia, che riconvertono saggiamente l’offerta per soddisfare una domanda diversificata e per destagionalizzare i flussi; dall’altro lato la competizione innescata dai paesi della riva sud, nord-africana e medio-orientale, più appetibili in termini di costo. E questa contesa dovrebbe portare i nostri responsabili a un vaglio attento dei fattori che possono incentivare l’attrattività del territorio, consapevoli che l’immagine di una regione e del suo capoluogo sommerso di rifiuti sia difficile da rimuovere nella pubblicistica internazionale e che essi non possano svolgere compiti di controllo sul territorio della piccola e grande criminalità. Ma essi, i nostri responsabili, dovrebbero sapere che i paesi vincenti, per tutti la Spagna che oramai rastrella da sola un terzo delle presenze straniere nei paesi del Mediterraneo, hanno stabilito indirizzi, bacini e strumenti separati per i tre maggiori canali di domanda di svago: il turismo culturale e artistico, il turismo balneare, il turismo da divertimento. Tali canali hanno fruitori, livelli di reddito e livelli di cultura e di sensibilità differenti, spesso tra loro inconciliabili. La movida delle ramblas di Barcellona, ad esempio, non entra mai in contatto con i frequentatori del Museo Picasso; il British Museum di Londra, pur non distante da Trafalgar Square e da Charing Cross, è parte ideale integrante di Bloomsbury e della tradizione vittoriana. Offerte di gadget, potenziamento della capacità ricettiva, incentivi alla sopravvivenza della tradizione artigianale sono, in Europa, mirati a specifici target di mercato. Qui da noi, inconsapevoli di quanto il settore turistico sia un settore produttivo tout court, abbondano fiere per le province, un proliferare di bed&breakfast generosamente finanziati da contributi comunitari, una molteplicità di eventi musicali con grandi stelle e piccole organizzazioni: per ultimi il concerto di Bob Dylan in un Tempio di Paestum nascosto letteralmente dai tubi del palco o le rappresentazioni nell’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, nel quale la malinconica trascuratezza del sito si sposava con maleauguranti cumuli di immondizia all’ingresso. Ma non c’è da disperare: gli orribili orologi in dono ai turisti, testimonianza al quarzo della nostra incapacità di assicurare passeggiate tranquille, tra qualche semestre saranno distribuiti. Qualcuno, si dice, propone anche mascherine protettive, ovviamente firmate dagli artisti di regime, per ripararsi dalle esalazioni dei rifiuti. E il peggio, prima o poi, passerà: basterà, mentre Spagna, Croazia e Grecia continuano a rafforzarsi, solo aspettare l’esaurirsi della stirpe dei dilettanti allo sbaraglio.

Repubblica NAPOLI, 23 luglio 2006

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