Cinque linee di ricerca per il Mezzogiorno

Sviluppatosi a partire dalla fine del XIX secolo, il welfare si è diffuso in Europa e negli USA nel corso del Novecento quale sistema di protezione sociale che, attraverso la redistribuzione di opportunità e di risorse agli strati sociali più deboli, attenua le tensioni sociali, incorporando spinte al cambiamento che altrimenti avrebbero potuto assumere caratteristiche antisistemiche.
Esso è stato lo strumento principe del cosiddetto compromesso fordista tra capitale e lavoro, per il quale il primo concede al secondo, attraverso la fornitura di prestazioni, una redistribuzione di una parte dei profitti in cambio di una gestione pressoché esclusiva dei sistemi e modi di produzione.
Oltre che come mero fornitore di beni e servizi, il welfare si è storicamente caratterizzato anche come complesso di pratiche che, attraverso la relazione tra operatori ed utenti, ha diffuso una cultura attenta ai bisogni sociali nella consapevolezza che la promozione dei diritti di cittadinanza ha un impatto significativo non solo sui diretti beneficiari, ma anche sulle comunità di cui fanno parte.
Con lo svilupparsi dei processi di globalizzazione e il connesso depotenziamento dello Stato nazionale, gli interventi di politica economica keynesiani hanno perso la loro efficacia, e così è iniziato una profonda riflessione sulla funzione e sul ruolo del welfare.
Allo stato attuale sembra prevalere tra i governi europei, anche a seguito dell’azione delle lobby padronali più influenti, la trasformazione del welfare in workfare, dispositivo quindi non più di promozione di diritti, ma di supporto ai processi di flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro attraverso lo strumento della cd. flessicurezza1.
Questa profonda trasformazione dello Stato Sociale ha suscitato e suscita enormi perplessità tra le organizzazioni sindacali2 e tra i tanti operatori sociali che insieme ai cittadini fruitori dei propri servizi hanno nei decenni costruito percorsi di emancipazione ed inclusione.
Nondimeno essa deve fare i conti con le esperienze concrete di applicazione della Legge 328 che, seppure tra tante difficoltà e contraddizioni, ha diffuso tra le comunità locali la consapevolezza che il Welfare di comunità non è solo la corresponsione di un salario indiretto e/o differito, ma è soprattutto uno strumento di promozione sociale indispensabile per garantire accettabili livelli di qualità della vita per coloro che condividono il proprio destino con le donne ed uomini che partecipano alla propria esistenza.
Ed in una terra difficile come il Mezzogiorno d’Italia la costruzione ed il consolidamento di politiche di welfare partecipate non può che essere uno strumento indispensabile per liberarsi dalla secolare arretratezza che costringe le sue popolazioni al sottosviluppo e spesso al degrado.
Il modello di welfare campano

La Regione Campania, con l’approvazione della legge n. 11 del 2007 “Legge per la dignità e la cittadinanza sociale” e prima ancora le Linee guida triennali 2007–2009 - VI annualità -, significativamente titolate «Verso il Piano Sociale Regionale. Il sistema di welfare della Regione Campania», ha promosso un modello di welfare dei diritti come forma sociale di garanzia della giustizia in democrazia.

«Il welfare dei diritti di cittadinanza effettivamente esigibili non è una forma risarcitoria di una opportunità non fruita, di un destino individuale e collettivo infelice, non è solo un servizio di compensazione della mancanza di lavoro, della disabilità e della povertà. Il welfare è la protezione necessaria per le opportunità uguali per tutti, è sancito nella Costituzione repubblicana, è riaffermato come effettivo esercizio dei diritti nella Carta Sociale europea ed è ispirato idealmente alla Carta dei diritti fondamentali dell’uomo. Il welfare è la condizione strutturale per una migliore qualità della vita, per garantire adeguati Indici di Sviluppo Umano nel mondo e per promuovere il patto di giustizia su cui fondare un modello di sviluppo sostenibile»3.
Nell’attesa del Piano Sociale Regionale, le Linee Guida hanno anticipato alcuni elementi strutturali di programmazione strategica promuovendo un sistema integrato di servizi più fortemente legato alla integrazione delle politiche e delle risorse e allo stesso tempo più fortemente centrato sui bisogni essenziali dei cittadini, attraverso:
- la promozione dell’Ambito Territoriale, il Distretto Sociale, quale livello istituzionale a più stretto contatto con i cittadini stessi e, di conseguenza, il più idoneo a monitorare i reali bisogni degli abitanti di un territorio, a mettere in campo le risposte più adeguate, a verificare la qualità ed il grado di soddisfazione dei cittadini-utenti in modo integrato con il Distretto sanitario ed Distretto Formativo- Scolastico;
- l’utilizzo della Mappa Regionale dei Bisogni Sociali (Ma.R.Bi.S) e dei Profili di Comunità (PdC) per produrre, con indicatori quali-quantitativi, e, attraverso una sistematica attività di lavoro in rete, l’indispensabile lettura condivisa dei bisogni del territorio;
- l’attivazione del Sistema Informativo Sociale e della Comunicazione Sociale, per dotare il Sistema Integrato dei Servizi Sociali di una infrastruttura immateriale che, attraverso un’attenta attività di networking coordination, attivi e gestisca una Banca Dati dei Servizi e delle Strutture, per fornire notizie sulle tipologie di prestazioni offerte e sulle modalità di accesso, e che con una strategia complessiva di comunicazione sociale opportunamente sensibilizzi l’opinione pubblica ed i cittadini su un modello culturale di welfare fondato sui diritti di cittadinanza;
- il passaggio dalla programmazione annuale a quella triennale, per consentire una maggiore stabilizzazione del sistema integrato ed unitario dei servizi, sia rispetto alla fruizione dei cittadini che al superamento della precarietà e instabilità della qualità del lavoro degli operatori sociali;
- l’istituzione del Fondo Sociale Regionale (FSR) per garantire i Livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS) con standard di prestazioni, di personale e di risorse coerenti con la mappa sociale regionale dei bisogni;
- l’utilizzo della programmazione partecipata per promuovere un reale confronto sull’analisi dei bisogni territoriali dei cittadini e delle comunità, propedeutico alle scelte di programmazione strategica, finalizzato a rendere il Piano Sociale di Zona  il frutto di una concertazione sociale e di una co-progettazione di una pluralità di attori, pubblici e privati che partecipano all’erogazione delle prestazioni;
- la promozione del processo di valutazione partecipata di qualità per la valutazione quali-quantitativa degli obiettivi raggiunti nei Piani Sociali di Zona fondata su 5 parametri fondamentali (livelli di programmazione partecipata; procedure di trasparenza amministrativa; grado di soddisfazione delle persone utenti; garanzie delle prestazioni essenziali di assistenza; monitoraggio dei flussi finanziari e della capacità di spesa);
- l’obbligatorietà degli Accordi di programma socio-sanitari e socio-formativi tra i livelli regionali e territoriali delle istituzioni sociali, sanitarie e scolastiche, e dei Progetti Sociali Individualizzati socio-educativo e/o socio-sanitario per legare le risorse ai bisogni veri e per promuovere la centralità della persona e della presa in carico dei suoi bisogni;
- l’impegno di considerare il welfare dei diritti di cittadinanza come strettamente connesso a un modello di sviluppo sostenibile, in cui si auspica il rallentamento progressivo e sistematico dei consumi a vantaggio del riequilibrio delle risorse finite del pianeta.

Cinque possibili linee di ricerca

Se quello campano rappresenta senz’altro un modello di welfare molto avanzato ed attento alla tutela reale dei diritti di cittadinanza, non si può non riconoscere la sua intrinseca fragilità causata in primo luogo dalla necessità che il suo avvio richiede un forte impegno politico degli amministratori locali. D’altra parte, per le profonde trasformazioni che introduce, esso non può prescindere da una riflessione condivisa dei processi economici e sociali sui quali insiste, che tenga conto sia delle contraddizioni che apre, sia delle opportunità cambiamento che propone.
Alla luce di tali considerazioni è allora necessario promuovere una riflessione ampia che per la natura delle problematiche sottese vada oltre i confini campani e trovi nel Mezzogiorno d’Italia il campo nel quale sviluppare saperi che, a partire dalle specificità locali possa fornire strumenti di trasformazione attraverso l’analisi delle questioni più rilevanti.

1. Il tema del rapporto tra diritti sociali e diritti civili è particolarmente significativo. Nel corso del Novecento, infatti, si è assistito ad una accentuata dicotomia tra l’area dei paesi cd. occidentali (in cui mentre i diritti civili sono stati formalmente riconosciuti e tutelati, quelli sociali raramente sono stati garantiti) e i paesi del cd. socialismo reale (in cui invece a fronte di un ampio soddisfacimento dei bisogni di riproduzione materiale dell’esistenza i diritti civili sono stati spesso completamente disconosciuti e disattesi). Ancora, nell’Italia meridionale, area particolarmente problematica dal punto di vista economico e sociale, in cui vi è una pervasiva presenza di organizzazioni criminali, i diritti civili e sociali spesso non sono esigibili, determinando condizioni di vita scadenti per milioni di cittadini.
Alla luce di tali considerazioni, una linea di ricerca che esplori le relazioni tra diritti civili e diritti sociali, che a partire dal loro “disaccoppiamento” storicamente determinatosi ne evidenzi invece le intrinseche connessioni a partire dalle interessanti sperimentazioni che pure esistono, può essere un utile contributo per promuovere buone pratiche di governement e governance.

2. Le strategie e le misure di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale hanno un’enorme importanza per il Mezzogiorno d’Italia. Infatti, come è noto, il Sud è tra le aree d’Europa in cui maggiormente si concentra la povertà (sia assoluta che relativa). Se in Campania è stata senz’altro utile la sperimentazione del reddito di cittadinanza, l’assenza di una riflessione aperta e condivisa dell’efficienza, efficacia ed impatto di tale intervento, lascia piuttosto sconcertati, suscitando il legittimo sospetto che, al di là delle più o meno trionfalistiche valutazioni che pure nel corso degli ultimi anni si sono lette sulle testate locali, si sia trattato di un intervento estemporaneo incapace di aggredire un fenomeno le cui cause sono profondamente radicate in un modello di sviluppo che a livello locale come a livello globale esclude strati crescenti di popolazione.
Avviare una linea di ricerca che esplori le peculiarità dei processi di inclusione messi in campo correlandole alle caratteristiche dei processi di esclusione, è di grande rilevanza per una riflessione strutturata in grado di stimolare policy finalizzate ad intervenire strutturalmente sulle cause piuttosto che a adottare iniziative di mero controllo sociale.

3. Il tema dei bisogni sociali e la loro rappresentazione è particolarmente problematico. Se infatti è senz’altro complesso definirne un elenco esaustivo, cogliendone la composizione, l’articolazione e la diffusione, una puntuale mappatura dei bisogni sociali é senz’altro indispensabile per costruire risposte attente alle necessità delle comunità, in grado di stimolare interventi utili per la loro emancipazione sociale e civile, prima ancora che economica.
L’attivazione di una linea di ricerca finalizzata a promuovere la rappresentazione integrata dei bisogni sociali in tutte le regioni del Mezzogiorno, correlata con le altre aree italiane ed europee, non può che costituire un importante contributo alla costruzione di risposte multiple ed articolate, attente alle specificità dei contesti economico-sociali del Sud Italia e che al contempo tengano conto delle dinamiche strutturali che si sviluppano a livello continentale.

4. L’integrazione sociosanitaria è oggi un’area estremamente significativa per garantire accettabili condizioni di vita agli strati sociali più fragili della popolazione meridionale. La complessità intrinseca di costruire puntuali risposte personalizzate per un’utenza multiproblematica, si deve confrontare con un diverso grado di sviluppo dei sistemi sanitari e sociali. Mentre il primo, presente da un trentennio, negli ultimi anni sta vivendo un profondo processo di aziendalizzazione fortemente condizionato sia dall’influenza di potenti lobby professionali che da una crescente scarsità delle risorse disponibili, il secondo sconta un’insufficiente infrastrutturazione materiale ed immateriale, causata sia da un impianto normativo ancora troppo recente che da un finanziamento che sistematicamente sottostima il fabbisogno degli interventi integrati.
Particolarmente significativa è l’esperienza campana relativa ai progetti individualizzati per anziani e disabili, che legano strutturalmente le risorse economiche con le azioni poste in essere così imponendo una sintesi operativa di tecnostrutture diverse.
Ripercorrere ed analizzare i processi di integrazione esperiti nelle regioni del Mezzogiorno, ricercando le analogie e le peculiarità, ed attraverso esse tracciando i punti di forza e di debolezza, costituisce una linea di ricerca di grande utilità per promuovere riflessioni critiche in grado di strutturare corrette istanze finalizzate a favorire i necessari aggiustamenti.

5. L’etica della responsabilità dell’operatore sociale pubblico e la qualità della rappresentanza, last but not least, sono tematiche di estrema rilevanza, anche in considerazione della immanente crisi politica che investe l’Italia e che nel Mezzogiorno è resa ancora più grave dalla pervasiva presenza di potenti ed aggressive organizzazioni criminali. Se per un operatore sociale l’etica professionale è necessaria a garantire il rispetto dei diritti di cittadinanza ed il buon esito dei processi di emancipazione delle persone più deboli, per un operatore sociale pubblico l’etica della responsabilità è indispensabile per il corretto esercizio del proprio ruolo, necessario a contrastare le frequenti sollecitazioni dei gruppi dominanti che tendono a favorire i propri interessi privati, sia attraverso la delegittimazione dell’azione pubblica che attraverso l’immanente tentativo di distrarre a proprio vantaggio le risorse collettive.
Appare quindi di grande importanza una linea di ricerca che rilevi e valorizzi l’etica della responsabilità grazie alla quale molti operatori sociali pubblici, spesso in condizioni ambientali difficili e rinunciando a vantaggi personali derivanti da ingiuste rendite di posizione, riescono a sviluppare strategie e pratiche in grado di fronteggiare gli occulti processi di privatizzazione e di smantellamento dello Stato Sociale, ed a tutelare i cittadini più fragili beneficiari delle proprie attività.



1 V. nota sulla Flessicurezza della Commissione Europea del luglio 2007.

2 Cfr. Newsletter del settembre 2007 del Segretariato Europa CGIL su www.cgil.it/segretariatoeuropa.

3 «Verso il Piano Sociale Regionale. Il sistema di welfare della Regione Campania», pag. 9.

Cerca nel sito

Incontri

Fut Rem

 

.

 

Chi è online

 17 visitatori online