PrezzI: la corsa della Campania

L’andamento degli indicatori economici nel nostro Paese, nonostante i continui tentativi di prevederne al meglio il loro esito, ha spazzato via ogni minimo dubbio: tendenziali o consolidati che siano - almeno per l’anno passato e per i primi sette mesi del 2004 - hanno inequivocabilmente tracciato uno scenario preoccupante e fortemente negativo. L’incidenza nefasta che essi hanno per l’economia del sistema Italia e per il cittadino é così riassumibile: le imprese, nella stragrande maggioranza, accusano un mercato ipertrofico; gli indici di produzione sono negativi ed il ciclo, corroborato dal continuo calo degli indici di consumo, tende a ripetersi; i cittadini consumano di meno poiché i prezzi al consumo hanno avuto e continuano ad avere una significativa tendenza al rialzo.

In Italia l’inflazione tendenziale oscilla tra il 2,3 e il 2,5%; naturalmente se si analizzano sul campo gli indici generali ci si accorge che il “dato inflattivo reale”, che chissà per quale libera interpretazione è definito “inflazione percepita”, va ben oltre il 7%. Se si tiene conto che il salario reale ha recuperato soltanto il 2,1% dell’inflazione si comprende la ragione dei bassi consumi.

In Campania le cose, se possibile, vanno ancora peggio. Alle cause generali quali la congiuntura internazionale, la grande distribuzione, la vendita al dettaglio e la diminuzione della produzione, si aggiungono politiche locali delle tariffe che innalzano il costo degli indici dei prezzi al consumo al 4,1% tendenziale per il 2004, che sale però ad un valore stimato tra gli 8 ed i 10 punti per gli indici generali.

L’istituto IRES Campania (Istituto per le ricerche economiche e sociali) ha verificato, nel mese di dicembre, i reali andamenti delle variazioni percentuali su un pacchetto ridotto di prodotti rilevando ingiustificati ed inspiegabili aumenti. L’analisi si è realizzata con l’utilizzo del modello Arima (Auto Regressive Integrated Moving Average), che consente di isolare le diverse componenti di una qualunque serie storica relativa ad una variabile, cioè il trend, il ciclo e la stagionalità.

Applicando questa metodologia ai dati ufficiali dell’Istat sulle vendite del commercio al dettaglio in sede fissa è stato possibile individuare i comparti merceologici, (i gruppi di beni che presentano la “stagionalità” più elevata) cioè i settori nei quali la formazione del fatturato si concentra, più che in altri, in un particolare periodo dell’anno, anziché ripartirsi in misura regolare nell’arco dei 12 mesi.

Una ricognizione sul campo riferita alla spesa mensile immaginata per un nucleo familiare di quattro persone (due adulti, un giovane ed un bambino) ha avuto come risultato un costo maggiore oscillante tra i 70 ed i 90 euro (cioè 840 o 1080 euro all’anno).

Una considerazione di carattere generale riguarda non tanto “gli articoli da consumo” inseriti nel paniere ufficiale che concorre a determinare l’inflazione quanto il “metodo” usato per determinarne il loro peso specifico. In buona sostanza appare arduo, se non impossibile, spiegare aumenti che oscillano intorno all’8-10% della spesa mensile, contro il 2,8% assegnato dall’inflazione a Napoli: una spiegazione potrebbe venire dal fatto che i pesi affidati ad ogni singola voce siano poco rispondenti alla realtà cui si riferiscono, o che le rilevazioni effettuate avrebbero bisogno di maggiore attenzione ed eventuali correzioni specifiche in sede di analisi. Inoltre, é lecito chiedersi se in un quadro così fuori controllo, ci siano strumenti e istituzioni che abbiano il compito di operare controlli, applicare sanzioni o, in via subordinata, suggerire indirizzi, realizzare opera di moral suasion.

Non basta, dando per scontato che siano operanti misure di controllo “a campione”, il panorama complesso ed articolato del mondo della distribuzione all’ingrosso ed ad dettaglio suggerisce piuttosto interventi articolati che abbiano lo scopo di incentivare il rispetto delle “regole del gioco” piuttosto che applicare multe, poiché la sanzione penalizza - in modesta misura - il venditore ed aumenta in modo risibile le entrate pubbliche lasciando inalterato il “danno” scaricato sulle spalle del consumatore.

Forti critiche alle metodologie di rilevazione ed alla composizione del paniere sono state sollevate dall’Ires che, con forza, ha sostenuto la necessità di una più puntuale e, soprattutto, “reale” rilevazione dei prezzi al consumo. Dobbiamo registrare, con piacere, che questo appello è stato raccolto dalla Regione Campania che ha deliberato la costituzione di un Osservatorio sui prezzi con la partecipazione di tutte le associazioni di categoria interessate. La prima fase di questo progetto sperimentale tenderà a monitorare i prezzi di un paniere di beni per costruire un primo quadro di analisi sulla variabilità di alcuni prezzi nelle diverse aree della regione. L’obiettivo più ambizioso che però si pone l’osservatorio è quello di studiare la dinamica della formazione del prezzo di quei prodotti con più evidenti variazioni attraverso analisi di filiera.

Possiamo considerare, questa iniziativa sperimentale, unica ed originale e sarà interessante seguirne le fasi di realizzazione.

Basterà, forse, a dimostrare che l’introduzione della moneta unica europea non è stata, di per sé, la causa scatenante della rincorsa dei prezzi. D’altra parte, gioverà ricordare che il Governo con una mano accusava i commercianti di aver speculato raddoppiando, in alcuni casi, i prezzi e con l’altra decretava la giocata minima del lotto da euro 0,50 ad euro 1,00 (+100%). Qualcuno, certamente, ci accuserà di banalizzare ma anche questa è economia baby!

 

Data: 22 dicembre 2005

Stampa: CorrierEconomia inserto settimanale del Corriere del Mezzogiorno 

 

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