Nuove Municipalità e Area metropolitana

CASA DEL POPOLO

PONTICELLI

27 gennaio 2005

Nuove Municipalità e Area metropolitana

Relazione introduttiva al seminario

 

Giovanni De Falco

Responsabile attività scientifiche Ires Campania

 

***

 

A distanza di due anni dal dibattito proposto dalla Casa del Popolo sul tema “Area orientale, città e sistema metropolitano di Napoli: nuovi poteri e nuove prospettive”, in cui si ponevano le basi per una discussione “aperta” sui temi delle trasformazioni urbane in funzione di rinnovamento politico-amministrativo, dobbiamo rilevare che, in realtà, pur avendo individuato una serie di obiettivi l’elaborazione istituzionale risulta insoddisfacente.

Certo, immediatamente dopo quella discussione, il Comune di Napoli ha deliberato su un processo di trasformazione per una riorganizzazione amministrativa più razionale rispetto alle esigenze di snellimento della macchina comunale ed un più diretto rapporto con il cittadino ma, a nostro parere, le deliberazioni sono sicuramente parziali e non inquadrate in un sistema che tenga conto di alcuni essenziali punti di “efficacia ed efficienza” del processo trasformativo che, in altre città ed in altri territori, si è avviato.

Già il documento di discussione proposto nel precedente dibattito faceva cenno e poneva l’accento su un problema assai complesso rispetto all’evolversi ed al trasformarsi del luogo urbano in ragione di uno sviluppo metropolitano. Si sottolineava il valore di sviluppo metropolitano come terreno di “incontro, "teatro" in cui una molteplicità di attori sociali, politici, istituzionali concorreva, secondo diversi ruoli, al raggiungimento delle decisioni necessarie a "produrre innovazione" a livello urbano, di sistema, ed a livello politico, sociale ed economico”.

Le grandi città italiane continuano ad essere anticipatrici, rispetto al Paese, dell'innovazione e del cambiamento e ne sopportano i relativi costi economici e sociali, non sempre tutti positivi.

La conoscenza approfondita dei problemi posti dalla “nuova città” offerta da vari studi ha reso più significativa l'esigenza di avviare nuove intese, nuovi rapporti e nuove collaborazioni tra gli interessi locali e gli interessi nazionali in una visione che pone, appunto, il problema locale e urbano come problema nazionale di nuovi equilibri e di nuovi poteri.

Dopo le analisi sui mutamenti che le città stanno subendo in seguito alle evoluzioni tecnologiche, alla conseguente nascita di nuove professioni, nuove competenze e nuovi saperi e all'imporsi di funzioni strettamente legate al terziario, il dibattito da noi avviato intende portare l'attenzione su temi istituzionali, quelli legati al governo delle aree metropolitane che sono appunto crogiuolo delle trasformazioni.

Attraverso un'analisi a più voci, che è in sostanza l'analisi di più punti di vista, attiveremo confronti su sistemi, metodi e forme differenti di esperienze dirette e di conoscenze.

Vorremmo ricercare ed avviare un dibattito che prenda in esame i processi di governo e gli accordi tra enti nella promozione di progetti volti a trasformare la città metropolitana di Napoli, come affermammo nel precedente dibattito, da "città grande" a "grande città".

Un accento particolare sarà posto sul ruolo della Regione, della Provincia e del Comune in relazione al nuovo sistema di deleghe da gestire in materia e sulle difficoltà della collaborazione intercomunale, peraltro già sperimentata, inutilmente, nella fase di elaborazione della variante generale al PRG.

Questo dibattito intende tracciare alcune prospettive per il governo metropolitano facendo riferimento, in particolare, a condizioni necessarie di ordine tecnico, di ordine finanziario e soprattutto di carattere politico per una risposta concreta e istituzionalmente al passo coi tempi alle esigenze poste dalle innovazioni metropolitane in un ragionamento di “scala” che parta dal ridisegno funzionale dell’ambito delle Circoscrizioni cittadine fino alla possibilità che questo disegno possa coniugarsi con una prospettiva di volontà, vera, di realizzazione della Città Metropolitana.

In questo caso gli attori di tale cambiamento saranno più numerosi ed il dibattito più articolato con la possibilità di un superamento dell’ambito di Circoscrizione per arrivare alla definizione di Municipalità, con la conseguente rimessa in gioco dei comuni che fanno corona all’area cittadina napoletana.

Le delibere introducono una prospettiva di riarticolazione amministrativa del Comune di Napoli tenendo conto della sola variabile demografica, non sufficiente – a nostro avviso – a ridisegnare un quadro equo e solidale del territorio.

Non siamo affascinati dalla discussione sulla numerosità delle “parti” amministrative. Siamo interessati, invece, alle funzioni che a loro saranno affidate, al loro grado di interazione, alle capacità reali di produrre innovazione, alla capacità di coinvolgimento dei cittadini in maniera e forme più dirette nella gestione amministrativa.

In queste prime delibere non vi sono risposte a tali curiosità.

Ancora. Qual’è il livello e la qualità dell'autonomia effettiva degli Enti Locali (intesi in senso ampio, comprendendo anche le aziende municipalizzate) nell'acquisizione e nella gestione delle risorse, non solo finanziarie, necessarie per realizzare i loro compiti istituzionali ed i loro obiettivi programmatici?

Sarà interessante valutare ed analizzare, rispetto alle esperienze già realizzate, gli strumenti adottati dagli Enti Locali (agenzie di sviluppo, uffici customer, uffici di piano ecc.) per la valutazione della produttività del lavoro, i comportamenti di autonomia impositiva (tema sempre più rilevante nel contesto dell’attualità politica), le possibili modalità di gestione del patrimonio immobiliare e delle aziende partecipate, l'autonomia progettuale ed operativa nella realizzazione dell'innovazione istituzionale.

Temi tutti su cui non si potrà giungere a conclusioni univoche, ma sarà possibile individuare le zone d'ombra e le cause di successo/insuccesso dell'attività degli Enti Locali, puntualizzando i dati di fatto e le potenzialità che caratterizzano il governo locale di una grande regione italiana (ed europea), in un momento, difficile ma potenzialmente fecondo, di transizione istituzionale.

Diviene allora essenziale recuperare, attraverso un nuovo disegno urbano, un’identità locale capace di riaggregare la società e gli interessi delle aree in un contesto di sviluppo coordinato che passi anche attraverso nuove forme di organizzazione territoriale; in particolare si pensa ad un sistema urbano articolato tra forme di concentrazione ed “integrazione reticolare”, legate a fattori di territorialità nei quali alimentare la produzione di “conoscenza” e “creatività” per esprimere nuove forme di polarizzazione con la realizzazione di differenti livelli di relazioni e di gerarchie tra regione, Città metropolitana, Municipalità e aree di corona, teoricamente proposte dalla “variante di piano” e, di fatto, ampiamente superate alla luce dei nuovi indirizzi di sviluppo locale.

Numerosi esempi sono alla portata di chiunque voglia approfondire questi temi basta rifarsi alle esperienze italiane in corso d’opera, come per esempio all’esperienza di Roma, o a quelle in via di elaborazione, come per esempio quella bolognese.

In ambedue i casi il ridisegno territoriale è utilizzato per ridefinire i diritti di cittadinanza. Il primo tema che si deve porre, se si vuole seriamente ripensare il problema dei diritti è il loro rapporto con la territorialità, nel duplice senso del legame che essi hanno con un certo ambito e del potere che le istituzioni che governano quel certo ambito detengono nel promuovere e assicurare quei diritti.

Dunque un discorso sui diritti che voglia essere efficace deve poter ridefinire sia gli ambiti territoriali più opportuni per situarvi certi diritti, sia la capacità dei sistemi di governo locali (che sono qualcosa di più complesso rispetto alle articolazioni oggi vigenti) di interagire con altri soggetti per declinare sul territorio l’esercizio di quei diritti la cui definizione avviene a un livello più generale.

Si tenga conto che già la sola definizione di una “circoscrizione di esercizio di diritti” implica, di fatto, un meccanismo di creazione di comunità: la promozione di questi diritti, la creazione di meccanismi di gestione e di controllo, generano, se correttamente applicati (cioè se non si limitano queste dimensioni all’ambito rituale e burocratico), quantomeno embrioni di comunità.

Dire che i vecchi confini del Comune sono scarsamente significativi è come sfondare una porta aperta: ormai tutta l’area di “corona” è di fatto integrata in una conurbazione che vive in assoluta simbiosi e che rappresenta l’area territoriale nella quale si ha l’effettivo esercizio dei diritti da parte di coloro che vi risiedono.

Se prendiamo come punti di riferimento il sistema sanitario nella sua ordinarietà, quello scolastico, quello stesso del lavoro, vedremo chiaramente delinearsi un’area di fruizione che autonomamente delinea i confini che sarebbero necessari a un potere di coordinamento, ma che già esistono come sistema di fruizione integrata (catena gerarchica della medicina, della scuola, del lavoro, ecc.).

È il vecchio discorso dell’Area Metropolitana, che, come già affermato, venne promosso anni fa ed è poi stato lasciato cadere per inerzia e soprattutto per incapacità politica nell’affrontare il trauma del rimescolamento delle carte che era implicito nella costituzione di una nuova struttura istituzionale.

Tuttavia il tema va assolutamente ripreso, poiché, come è chiaramente emerso nella gestione di una serie di problemi senza la definizione di un ambito che tenga conto dei confini della nuova comunità sociale ed economica si può fare ben poco.

Per poter essere efficace il discorso deve però avere il coraggio di affrontare due temi:

 

  1. la nuova istituzione non può arrivare semplicemente per somma delle istituzioni attuali, ma deve azzerarle e ricostituirle;
  2. se la nuova istituzione nasce come istituzione federale, non è possibile che essa erediti dal precedente assetto la logica dell’esclusività e della primazia dei poteri in capo a quello che si verrà definendo come l’organismo politico-amministrativo centrale.

 

Il problema del rinnovamento delle istituzioni territoriali va affrontato e risolto, così come è stato fatto nel caso di tutte le grandi città (Londra e Parigi, per fare due esempi) che hanno un sistema unitario in cui prevale l’identità storica come momento conglomerante, mentre il territorio è suddiviso in una serie di municipalità più o meno tutte con lo stesso peso.

A garanzia dell’operazione bisogna però introdurre il secondo punto della riflessione: la natura federale del nuovo sistema di governo locale. Essa implica che ci sia qualcosa di abbastanza diverso da una semplice trasposizione di un sistema del tipo “comune + quartieri” in cui l’autorità di governo della nuova Area Metropolitana assume i poteri dell’attuale Comune trasformando le municipalità aderenti in qualcosa di simile agli attuali quartieri.

Al contrario, essa deve essere fondata su un meccanismo federale che salvaguarda l’esclusività ed il carattere originale di una serie di poteri che resterebbero affidati alle municipalità, mentre l’Area Metropolitana (intesa come istituzione) conserverebbe poteri altrettanto esclusivi, ma a cui sarebbe preclusa l’invasione alle autonomie delle municipalità se non in casi di stretta necessità. Questo tema potrebbe trovare conforto dall’analisi delle esperienze in atto e dall’approfondimento del dibattito in corso.

La discontinuità rispetto al passato è frutto principalmente di tre dinamiche tra loro fortemente contraddittorie:

-       la crescita esponenziale dell’interdipendenza, che pone il problema del ruolo odierno dell’ente locale;

-       la centrifugazione delle funzioni dalla sede istituzionale, che solleva il tema di come governarne lo svolgimento;

-       la concentrazione dei poteri pubblici e delle relative responsabilità in sedi limitate, che pone la questione delle forme della democrazia in ambito locale.

 

La costituzione di un’autorità metropolitana (quali che ne siano le forme e la natura) è più un punto di arrivo che di partenza, mentre il problema attuale è quello di porre mano alle regole della cooperazione tra enti, ossia alle regole della rete.

Le regole vanno individuate in un insieme di government, cioè di punti fermi definiti in via autoritativa dai livelli istituzionali di governo, e di governance, cioè di regole della cooperazione tra soggetti pubblici e tra pubblico e privato agendo, congiuntamente, sull’uno e sull’altro fronte.

Quanto al government non è possibile affidarsi alla cooperazione senza la definizione di un quadro di riferimento chiaro e stabile, cui possano rifarsi le opzioni pubbliche e private.

Di conseguenza, alcune scelte di fondo sperimentate nelle esperienze attualmente in corso d’opera (riequilibrio dello sviluppo insediativo, residenziale e infrastrutturale, sviluppo sostenibile e qualità dell’ambiente, internazionalizzazione) non possono che costituire elementi fondanti definiti a priori (e congiuntamente) a livello napoletano e regionale, in modo da rappresentare il parametro di riferimento necessario per le diverse politiche di settore.

Del quadro di riferimento, inoltre, sono elementi costitutivi la natura e la provenienza delle risorse finanziarie, che investono la responsabilità politico-amministrativa e quella tributaria degli enti coinvolti, nonché la precisa indicazione dei beni o interessi di particolare rilievo sottratti all’ambito della contrattazione.

Resta da affrontare il tema della concentrazione dei poteri e delle responsabilità, per chiedersi in che modo ovviare o almeno attutire le dinamiche che rischiano di alterare l’equilibrio democratico del sistema locale, sia nel senso di un eccesso di poteri condensato su sedi monocratiche come quella del sindaco, del presidente della Giunta regionale e del presidente della Provincia, sia (e solo apparentemente) al contrario, nel senso cioè di un enorme sovraccarico di responsabilità politiche e istituzionali a cui spesso non corrisponde un’effettiva disponibilità di poteri (assemblee elettive).

Le ragioni di seria preoccupazione su questo fronte sono le stesse che invitano a non coltivare illusioni sulla possibilità di identificare a breve, se non contropoteri, almeno credibili garanzie in grado di ristabilire l’equilibrio che appare compromesso.

Eppure qualcosa è necessario proporre e provare, per evitare che il sistema politico locale si avvii ad essere, per questi aspetti, un sistema di feudi chiusi all’esterno e dominati da oligarchie poggianti sul combinato sindaco/fondazioni ex-bancarie/sistema delle società miste nel campo dei settori pubblici e dintorni, in grado di condizionare significativamente (tramite le esternalizzazioni e l’outsourcing) l’area della piccola e media impresa, dei soggetti del terzo settore, delle sedi universitarie, di una parte non trascurabile delle attività autonome o professionali.

Il municipalismo monocentrico di Napoli ha costruito mura possenti – tutt’altro che virtuali – attorno al sempre più asfittico, inquinato e congestionato territorio comunale. Dal 1990 si parla di Napoli “città metropolitana”. Ma Napoli città metropolitana fa paura.

Non la vuole la Regione. Tanto meno la Provincia. Non la vuole il Comune capoluogo perché teme di perdere la sua supremazia. Non la vogliono i Comuni limitrofi perché temono di restarne schiacciati.

E tuttavia la sola possibilità di avviare un nuovo progetto di organizzazione urbana e territoriale – come hanno fatto o stanno facendo le maggiori città europee – è quella di costruire una realtà plurale, una comunità di città, un sistema territoriale coordinato e solidale di nuovi municipi a pari peso istituzionale.

Temi che chiamano in causa la Regione e vanno affrontati a una scala di governo che sappia ragionare e agire secondo logiche di insieme e non per frammenti.

Il progetto di riorganizzazione del territorio dovrà svolgere un doppio ruolo. Innovativo e, a un tempo, tradizionale: di continuità, nel riconoscere il ruolo delle risorse e dei patrimoni ereditati; di grande innovazione, nel perseguire una nuova idea di città complessa e multiforme.

Una città che dal mare ai comuni di corona diventa metropoli, ma articolata, al suo interno, in una pluralità di presenze istituzionali.

Vanno allora innanzitutto individuate, inizialmente all’interno del territorio napoletano (area daziaria), delle “entità municipali” nuove, che sostituiscano e superino le vecchie circoscrizioni, dotate di risorse e poteri autonomi in grado di dialogare tra loro e con i comuni dell’hinterland. E di formare, tutti assieme, una città metropolitana concepita come una città di città.

I nuovi “municipi urbani”, o meglio le nuove municipalità, frutto della ripartizione del Comune, e dei Comuni, in aggregati territoriali, identificati dalla storia e dalla personalità dei luoghi, dai requisiti economici e culturali e dalla volontà dei cittadini che li animano, potrebbero così diventare la base di un progetto di riforma che esalterebbe il pluralismo e le nuove forme di partecipazione democratica diretta dei cittadini.

This content has been locked. You can no longer post any comment.

Cerca nel sito

Incontri

Fut Rem

 

.

 

Chi è online

 20 visitatori online