Conversazione con Vittorio Foa sul riformismo

FoaQuesta intervista è stata realizzata in una giornata di sole, a dicembre a Formia, nella casa di Vittorio Foa, in coda ad una bella conversazione di Vittorio con Luigi Locoratolo, Antonio Alosco e Carlo Bensi, che era suo ospite, sugli anni del dopoguerra, il socialismo e i suoi protagonisti che sarà riportata nel libro di Luigi Locoratolo in via di pubblicazione per Lacaita Editore, Nel corso della conversazione, Vittorio ci ha detto che ormai, per problemi di salute, non scrive e non legge più, in compenso mantiene una invidiabile lucidità e memoria.

Esposito: Quale giudizio dai del Congresso di Pesaro dei Democratici di Sinistra, quali riflessioni ti suggerisce, quali sono state le novità più significative e le zone d’ombra? E i problemi che rimangono aperti?

Io ho molta stima di Fassino, della sua indipendenza e del suo pragmatismo. Pragmatismo inteso nel senso di non seguire canali astratti ma di riferirsi a situazioni e fatti reali. Detto ciò, vorrei muovere una critica al congresso: quello che è mancato è un esame degli anni novanta.

Esposito: A cosa ti riferisci in particolare?

Sul decennio trascorso c’è stato un silenzio tombale, quasi come se gli anni novanta non ci fossero stati, eppure sono gli anni della seconda Repubblica, dopo la caduta dei comunisti, dei socialisti e dei democristiani. Il silenzio sugli anni novanta può significare una richiesta di ritorno al passato.

Esposito: Perché?

Foa: Perché se voglio andare oltre gli anni novanta, cerco di capire sia i risvolti positivi che quelli negativi, mi interrogo sul perché sia finita la prima Repubblica, qual’era l’errore dei partiti che sono stati travolti. Se non dico tutto questo rischio che anche il Socialismo europeo resti qualcosa che è dietro, alle nostre spalle. Io so che i discorsi sono stati diversi, anche molto entusiasmanti, si sono create situazioni positive, però resto dell’opinione che il passato vada esaminato criticamente.

Esposito: Al Congresso sono stati ricordati ‘i trampoli di Proust’sui quali si ha la consapevolezza che del passato bisogna prendere ciò che rimane e staccarsi da ciò che deve finire, senza con ciò accettare il sonno della memoria; che le divisioni di una volta tra le forze di ispirazione socialista non fanno parte della politica, ma fanno parte della storia; che le varie componenti della sinistra devono ricordare che nelle loro vene scorre lo stesso sangue socialista e riformista. Tu che ne pensi?

È vero, io i trampoli li vedo più come una possibilità di guardare al futuro, se io salgo sui trampoli vedo un pochino più lontano degli altri, li amo per questo, anche se confesso che io, adesso li uso in servizio permanente (Foa si riferisce agli acciacchi dell’età che lo costringono a servirsi del bastone), i trampoli devono servire a guardare al futuro.

Esposito: Quali sono state, a tuo avviso, le novità del Congressso?

Fatta questa critica al Congresso per aver ignorato un decennio intero devo dire che ci sono alcune cose che mi fanno sperare. In primo luogo l’affermazione del primato dell’Europa. Io mi rendo conto che questo non è solo un problema ma anche una opportunità. Più che l’idea di andare alla ricerca di una tradizione socialista europea che non è, tra l’altro, molto brillante, dobbiamo vedere cosa sta cambiando in Europa e cercare di assecondarlo. Per chi come me ha vissuto l’Europa della Grande guerra e l’Europa degli anni trenta e alla fine degli anni quaranta e la guerra fredda, la situazione è entusiasmante. Certo, se poi guardi al ruolo dell’Europa nel mondo ti viene l’angoscia. Da un lato il confronto con il passato è entusiasmante: gli Stati che si ammazzavano tra loro, hanno ammazzato circa dieci milioni di giovani nella prima guerra mondiale, adesso collaborano. È una cosa meravigliosa, al di là e dentro all’Europa: vedi i Balcani. Poi vedi che l’America è con noi, siamo tutti americani, come loro sono europei, hanno bisogno di noi. Questo ai Ds pare una cosa importante ed è un punto a mio giudizio di netto scontro con il Governo Berlusconi. Forse sarebbe stato più utile affermare con grande chiarezza, nell’assise congressuale, che la Casa delle libertà è la negazione dell’Europa, il rifiuto dell’Europa, è il tentativo di scappare. È un tentativo che non riuscirà a durare molto ma bisogna stare molto attenti. Quindi l’affermazione dell’Europa è il primo elemento positivo del Congresso.

Esposito: Cosa è cambiato per l’umanità dopo l’11 settembre, e in che senso deve prenderne atto e agire una forza della sinistra riformista in Italia e in Europa?

Il secondo elemento positivo è la presa di coscienza che il congresso ha potuto prendere di cosa c’è dopo l’11 settembre. La tragedia dell’11 settembre è questa: noi dobbiamo renderci conto che un pezzo importante del Pianeta, più grande di quello che noi credevamo, vede con profonda diffidenza la parte progressista del pianeta, la forma elementare di questo fenomeno è l’odio e la diffidenza verso l’America. Ma non è questo, in realta è la diffidenza verso la parte agiata, che siamo noi, e non è un problema di distribuzione, no… non è questo. Non è perché sono poveri, molte di queste parti frustrate non sono povere, e non è esattamente una frustrazione: è il “sentirsi” inferiori, e questa è una cosa alla quale è difficilisssimo rispondere. A questo proposito io vorrei soltanto fare una osservazione: le risposte, se ci sono e si debbono trovare, sono globali.

Esposito: Quale atteggiamento bisogna assumere, a tuo avviso, nei confronti della globalizzazione in atto? E qual’è il tuo giudizio sul movimento no-global?

Ai nemici della globalizzazione io rispondo: guardate che quello che voi criticate non è la globalizzazione ma l’ingiustizia, cioè il fatto che si creano delle ingiustizie che crescono e non diminuiscono. Se vogliamo rimediare a queste ingiustizie le risposte sono necessariamente planetarie. Non ci sono risposte protezionistiche, singole. Berlusconi è il simbolo di un protezionismo stanco e chiuso quando nei fatti afferma: “ognuno faccia quello che vuole”. L’abusivismo è riconosciuto come legge morale. È una cosa orrenda secondo me. Invece, pensare al pianeta vuol dire avere la consapevolezza dell’unitarietà dei problemi. Quando io critico i no-global è perché penso che essi credono di essere contro la globalizzazione e, invece, non capiscono che la globalizzazione è l’unico canale per poter andare avanti. Le cose giuste che invece loro dicono, riguardano le ingiustizie e per questo bisogna muoversi, bisogna fare. Io credo che su questo punto il Partito darà molto, io lo spero. Se non riusciamo a dare qualcosa, qualcun altro ci penserà. Speriamo che siano gente perbene e non siano dei banditi. Se falliamo noi…

Esposito: Tu affermi che Berlusconi propone l’egoismo come categoria culturale agli italiani, non pensi che bisognerebbe contrapporgli valori alti, il socialismo?

Io sono convinto che la parola socialismo ritornerà, però non so bene come. Perché se ti riferisci al socialismo tradizionale, questo, ad un giovane di oggi, di venti o trent’anni, non dice molto.

Esposito: Io mi riferivo ai valori, alle cose di cui parli nel dialogo con tuo figlio in "Del disordine e della libertà".

Se vogliamo pensare al modo più giusto di organizzare il mondo, in senso grande e in senso piccolo, e se vogliamo chiamarlo socialismo, io sono d’accordo… figurati. Però non basta più che io dica: il socialismo. Devo spiegare cos’è!

[Mezzogiorno Europa, Novembre/Dicembre 2001, Anno II n. 5]

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