Il conflitto sindacale nella storia di tutti

CdL Na 940207Il movimento sindacale e la Cgil in particolare ha segnato in modo significativo il Novecento per la capacità che ha avuto, al di la delle divisioni che pure hanno caratterizzato la sua storia, di emancipare le massa popolari e portarle pienamente, da protagoniste sulla scena della vita politica e sociale del Paese.

Nella storia del sindacalismo italiano il movimento meridionale ha giocato un ruolo importante ma spesso sottovalutato.

Il movimento sindacale meridionale si sviluppa, alla fine dell’Ottocento, su basi solidaristiche e con una forte connotazione autonoma e urbana attraverso una delle prime forme generali di organizzazione del movimento dei lavoratori: le Camere del Lavoro. La Camera del Lavoro di Napoli, una delle prime in Italia, più antica della Fiom, nasce nel 1894 promossa da leghe e società mutualistiche e dà un forte spirito solidaristico alla tutela di attività non direttamente industriali. Si definisce un modello di tutela e rappresentanza che solo in parte coincide con quello della media e grande azienda che pure è presente ed operante già prima della legge del 1904 che dava un deciso influsso alla formazione di una vera e propria Napoli operaia.

La Camera del Lavoro fino all’avvento del Fascismo sarà, in prevalenza, un organismo di mediazione e rappresentanza cittadina dell’insieme composito e frammentato universo del lavoro e per questo a Napoli e nel Torrese svolgerà una funzione pedagogica di emancipazione e autonomia di segmenti significativi delle masse urbane.

Nel dopoguerra è nel meridione che si rifonda il sindacalismo unitario con uno scontro tra i fautori dell’autonomia del movimento sindacale dai partiti e quelli, vincenti, che ritennero che il movimento sindacale andava rifondato a partire dalla convergenza tra i grandi partiti di massa (Il Patto di Roma). Quel sindacato però non resse alla guerra fredda e il movimento dei lavoratori si divise, anche se l’autonomia rimase nel dna di tutto il movimento sindacale e si manifestò, negli anni ’50, con la condanna di Di Vittorio dell’invasione dell’Ungheria e, negli anni ’70, con la rivendicazione di autonomia dal governo del sindacalismo cattolico e il ritorno alla pratica unitaria confederale.

Gli anni ottanta e novanta sono stati contrassegnati da forti divisioni che hanno riallontanato il cammino dell’unità.

Il sindacalismo confederale unitario ha contribuito non solo all’affermazione dello stato sociale ma anche alla modernizzazione dell’intera società italiana attraverso una pratica pedagogica di emancipazione delle masse.

L’attuale divisione risponde ad uno schema tripartito non più presente nella società e nella politica e non può essere superato di nuovo con l’unità dall’alto dei Lama, Carniti e Benvenuto bensì solo con una nuova unità dal basso, aiutata dalla legge sulla rappresentanza, che, attraverso la riaffermazione dell’autonomia del lavoro e del conflitto quale elemento vitale della dinamica dell’impresa e quindi elemento di modernizzazione e crescita della stesa, consenta ai lavoratori, come già avvenuto in passato, di dare il loro contributo al rilancio del sistema Paese che per arrestare il suo declino ha  bisogno del contributo indispensabile di una grande forza di tutela dei diritti del lavoro complessivamente inteso secondo i principi del solidarismo associazionistico dell’autonomia politica e del federalismo strutturale: il sindacato.

[Napolipiù 29 febbraio 2004]

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