Il lavoro femminile in Campania e a Napoli.

Giovanni De Falco, direttore IRES Campania

Lisbona è molto lontana da Napoli, sia fisicamente sia concettualmente se ci riferiamo agli obiettivi che l’Unione Europea ha fissato per il lavoro. Di lavoro femminile, poi, neanche a parlarne… Se in molte regioni si lavora per il raggiungimento degli obiettivi la Campania arranca disperatamente con un tasso di occupazione femminile che nel 2006, ultimo dato certificato, è pari a quasi la metà del dato nazionale (28,4 rispetto al 46,3%). Il capoluogo regionale registra un tasso addirittura inferiore (24,8%).

Uguale andamento è registrato dal tasso di disoccupazione: ad una percentuale nazionale di disoccupate pari al 8,8% la Campania rilancia doppiando il dato con una percentuale pari al 17,9% e Napoli, per non essere da meno, rilancia ancora con una media del 20,9%.

Ma il lavoro e l’occupazione nel Mezzogiorno, ed in Campania in particolare, sono da sempre problemi “irrisolti” e, sembrerebbe, “irrisolvibili”.

Nonostante gli ultimi anni abbiano visto una leggera inversione di tendenza nell’accesso al mercato del lavoro, grazie soprattutto ad una legislazione a sostegno delle pari opportunità che, per certi versi, ha soprattutto funzionato nella creazione di impresa in rosa, la stagnazione dell’economia campana non ha fatto altro che peggiorare tutta una serie di indicatori collegati allo sviluppo e, conseguentemente, ha prodotto una vera e propria emergenza occupazionale.

Questo perché al di la dei numeri e delle statistiche, ciò che fortemente è peggiorata è la condizione del lavoro che c’è.

Il ricorso sempre più accentuato al lavoro precario, combinato ad una già debole condizione di ricchezza del territorio ha prodotto una forte ripresa dell’emigrazione.

Un’emigrazione che colpisce soprattutto la popolazione giovanile e le donne, che decidono di spostarsi, prevalentemente, in altre regioni con la speranza di poter incontrare occasioni di lavoro stabili, più che ben remunerate.

Ma la povertà del mercato del lavoro locale produce anche altri effetti: il lavoro nero ed irregolare.

Questo interessa una quantità di giovani e donne che ne restano coinvolti, loro malgrado, pur di inseguire il sogno di un reddito che sia in grado, non tanto di rendergli l’indipendenza economica, ma di integrare lo scarno reddito familiare.

I settori che maggiormente beneficiano, se così si può dire, di questa condizione sono quelli del commercio e più genericamente del terziario, che a Napoli rappresenta circa il 60% delle attività economiche, e del tessile, abbigliamento, calzaturiero, quest’ultimo settore, in particolare, con condizioni di lavoro vessatorie e di accentuato sfruttamento della manodopera.

Uno studio dell’Ires Campania stima in circa 660.000 gli addetti coinvolti in questo giro di irregolarità a fronte di un totale occupati pari a 1.700.000. Soltanto in questa condizione di precarietà ed irregolarità Lisbona diventa un obiettivo quasi raggiunto, infatti, si stima una percentuale di donne lavoratrici a nero pari al 54% del totale.

Ma non è questo l’obiettivo che speravamo di centrare...

Rassegna Sindacale settembre 2008

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