Appunti sul Mezzogiorno per la Cgil Campania

citta fare1. La riaffermazione della centralità del ruolo del Mezzogiorno nel contesto socio-economico del paese muove, ancora una volta, dalla constatazione, certa quanto unanime, che esso sta pagando più di altre parti del Paese il costo della crisi: lo affermano concordemente Banca d’Italia, Ministero per lo Sviluppo e la Svimez. Il PIL è in calo anche per l’anno in corso, i dati della disoccupazione sono drammatici, tutti i settori produttivi sono in affanno.

Il Governo di centrodestra è nuovamente intervenuto nei mesi scorsi, come già aveva fatto con la Finanziaria, per sottrarre al Sud (ma il problema oggi si diffonde anche ad altre regioni) le risorse del Fondo per le Aree Sottoutilizzate smantellando programmazione unitaria e Quadro strategico nazionale.

2. Una simile centralità sarebbe riaffermata nei fatti se tanto le misure congiunturali quanto gli interventi di carattere strutturale avessero al centro dei propri obiettivi il riequilibrio delle regioni meridionali o, almeno, il raggiungimento di obiettivi diversi che siano compatibili con il vincolo del non-aggravamento della sperequazione territoriale.

Sarebbe necessario lavorare per rilanciare l’economia locale e rafforzarne gli elementi fin qui apparsi più fragili questo il compito precipuo delle politiche regionali: pensare ad interventi strutturali, evitando episodicità e mancanza di lungimiranza. Tale ambizione necessita di un ripensamento delle modalità di intervento sulla struttura produttiva meridionale.

Ciò che non va fatto è chiaro: il tradizionale governo dell’economia è avvenuto e, in molti campi avviene tuttora, tramite l’incremento dell’occupazione nel settore pubblico, l’allargamento della quota della domanda spiegata dai consumi e dagli investimenti pubblici, la determinazione di incentivi alle imprese solo in base a potenziali requisiti dei beneficiari.

Tutto ciò sembra non funzionare più. La valutazione comparata delle politiche regionali in Europa insegnano che efficacia ed efficienza di intervento spesso si accompagnano ad una ridefinizione delle strategie in cui il governo diretto è sostituito sempre più da forme di “governance”, ovvero di regolazione indiretta e duttile del processo produttivo.

3. L'utilizzo dei Fondi per le Aree Sottoutilizzate (Fas) sta diventando l'elemento cruciale di ogni trattativa tra il governo centrale e quelli locali.

I Fondi per le Aree Sottoutilizzate erano sostanzialmente fondi di investimento poi con il protrarsi della crisi e le successive vicende di governo, che a più riprese ha ridotto i trasferimenti verso i territori, sono divenuti Fondi a compensazione. Per questa ragione si sono via via trasformati in “fondi cassa” (una sorta di bancomat) a cui attingere per i più variegati scopi (primo fra tutti il recupero dei disavanzi della Sanità). Dunque, modificandone sostanzialmente l’obiettivo primario.

Necessariamente bisognerebbe tornare alla sostanza del provvedimento istitutivo liberandoli alla disponibilità originaria di “investimento” a sostegno dello sviluppo locale.

Per contrastare il disegno leghista di relegare il Mezzogiorno in una sorta di sopravvivenza controllata (che è la sostanza di fondo del “loro” federalismo) è necessario intraprendere una strada difficile ma inevitabile: quella di costruire un progetto unitario riguardante l’intero territorio nazionale, recuperando il metodo della programmazione, il che significa partire da una visione ampia dei problemi e proporre soluzioni proiettate in una prospettive di lungo periodo, ormai non meno del 2020.

4. La mancanza di coesione sociale è oggi il più grave problema dell'Italia.

Anche a livello europeo il tema della coesione sociale è percepito come un problema centrale e strategico per le istituzioni comunitarie. La coesione sociale, ovvero la capacità delle tante componenti soggettive e istituzionali di cercare compattezza e proposte unificanti, pur in presenza di spinte centrifughe, si può dire abbia costituito uno dei fattori di maggiore competitività del nostro modello di sviluppo. Lo sviluppo locale, infatti, non è stato solo sostenuto dalla coesione sociale, come elemento esterno, ma si è accresciuto in funzione di questa caratteristica collettiva, al punto che il venir meno delle esperienza di coesione nel corso degli ultimi anni ha depotenziato i processi di sviluppo. Il quadro reattivo delle "reti comunitarie" (famiglia, vicinato urbano e parentale, volontariato), la capacità delle aziende di produrre capitale sociale, la paura della criminalità e la sfiducia nelle istituzioni, i modelli di governance del territorio e dei processi produttivi, la crisi della concertazione, rappresentano oggi elementi ostativi ai processi di coesione. La visione e lo sforzo per tradurre in termini positivi questi elementi è l’obiettivo su cui impegnare fortemente il nostro lavoro.

5. Reintrodurre il credito d’imposta a favore delle imprese che assumono a tempo indeterminato.

Di fronte alla crisi dell’economia italiana, all’arresto della crescita occupazionale (specie nel Mezzogiorno) e all’espansione della precarizzazione del lavoro, l’Unione ha proposto la reintroduzione del credito d’imposta a favore delle imprese che assumono a tempo indeterminato (considerata forma normale di occupazione), il contenimento numerico delle tipologie di lavoro flessibile e la cancellazione di quelle più precarizzanti e, inoltre, l’adozione di iniziative di carattere legislativo per rendere certi i percorsi di stabilizzazione del lavoro e per monitorare la formazione professionale. In Italia, nell’ultimo trentennio, circa un quarto della forza-lavoro è stata rappresentata da disoccupati permanenti o da persone che operano permanentemente in condizioni di esclusione da ogni tutela (lavoratori irregolari, lavoratori formalmente autonomi ma operanti in condizioni di sostanziale dipendenza economica). A peggiorare il quadro della situazione in Italia, è stata – soprattutto in questi ultimi anni – la pesante frammentazione del mondo del lavoro.

 

 

6. Il Mezzogiorno è questione nazionale.

Può sembrare un’affermazione inutile, visto che è difficile trovare qualcuno che a parole sia contrario. Ma nella realtà non è così, perché l’attenzione alla questione del Mezzogiorno è decisamente scemata negli ultimi decenni (con la sola eccezione del periodo del governo Prodi II) per almeno due motivi:

-       l’aggressivo atteggiamento antimeridionalista tenuto dalla Lega, che all’interno dell’attuale governo è diventato un vero e proprio diktat;

-       un malinteso senso dell’autonomia praticato dalle regioni meridionali, che ha impedito una visione d’insieme del problema che permane in tutta la sua gravità.

Per citare solo alcuni dati eclatanti, il PIL per abitante nel Sud è circa la metà di quello del Centro-nord; il tasso di disoccupazione è più del triplo; il lavoro sommerso è il doppio; l’efficienza dei nodi e delle reti per la mobilità è meno della metà; la dotazione di reti idriche e fognarie è circa il 60 per cento. Come si vede sono differenze abissali, che incidono sia sulla qualità della vita delle persone che sulla competitività dell’apparato produttivo.

Come conseguenza inevitabile, è ripreso un flusso migratorio verso il Centro-nord che solamente nello scorso anno ha comportato per il Mezzogiorno una perdita di 70mila residenti, prevalentemente giovani con un buon grado di istruzione.

È necessario, allora, ribadire l’affermazione di principio che si tratta di una questione nazionale, essendo evidente che la pur solida economia del Centro-nord non riuscirà a progredire se un terzo del territorio nazionale – circa 21milioni di persone – non parteciperà a questo processo, e che ciò renderà sempre più difficile per l’Italia tenere il passo con gli altri paesi della Unione europea.

7. Le tendenze della società e dell’economia del Mezzogiorno sono inestricabilmente collegate con quelle nazionali.

Ancorché tali legami siano storicamente soggetti a mutamenti, ed è impossibile affrontarne i problemi solo come l’annosa tematica delle “regioni in ritardo” il Mezzogiorno, con le sue contraddizioni, le sue debolezze, la drammaticità dell’esclusione sociale e dell’emigrazione, anticipa, amplificandoli, problemi che l’economia e la società italiane già affrontano o affronteranno. La capacità di affrontarli costituisce una cartina al tornasole dell’adeguatezza della politica economica italiana, ma anche della capacità elaborativa della Cgil.

8. Il divario con il Centro-Nord permane elevatissimo.

Nonostante gli sforzi compiuti nel corso del dopoguerra per promuovere lo sviluppo economico del Mezzogiorno. Da tutto questo non si può certo trarre la conclusione che questi sforzi siano stati inutili, poiché in assenza di essi il Mezzogiorno si troverebbe oggi in condizioni assai più precarie. Il persistere di questi divari è un fattore permanente di crisi del tessuto sociale del Paese. E' dunque indispensabile farsi carico del problema e aggredire con politiche appropriate questi problemi. In tempi più recenti si è ritenuto che la fase degli interventi straordinari dovesse lasciare il posto a una politica ordinaria e si è ritenuto che bastassero le leggi specifiche a favore delle zone meno sviluppate, nonché i finanziamenti predisposti dall'Unione europea per le regioni meno favorite. Un esame della situazione attuale porta inevitabilmente alla conclusione che oggi non vi è più una sede nella quale le varie iniziative per il Mezzogiorno trovino una loro compiuta definizione. Le risorse disponibili sono gestite dai vari ministeri e, in alcuni casi, dalle diverse Regioni meridionali. La stessa utilizzazione delle risorse che l'Unione Europea mette a disposizione delle Regioni più svantaggiate è soggetta ad una serie di difficoltà ben note. La conclusione alla quale una riflessione attenta sul problema meridionale conduce, è che è indispensabile disporre di uno strumento di intervento destinato a prefigurare lo sviluppo complessivo delle aree meridionali.

Lo strumento non può che consistere nella creazione di un “Ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno” che abbia la responsabilità diretta dell'amministrazione delle risorse specifiche che la legislazione attuale destina alle aree del Sud e il potere di coordinare gli interventi dei vari ministeri destinati alle aree del Mezzogiorno.

9. La sommatoria di perverse politiche congiunturali diviene politica strutturale.

C’è un aspetto che meriterebbe maggiore attenzione: la sommatoria di perverse politiche congiunturali diviene essa stessa politica strutturale. Pensiamo a quel gruppo, non elevato ma significativo, di PMI meridionali che, pur tra mille difficoltà e non sempre con modalità qualitative alte, erano riuscite, sino a qualche tempo fa, a iniziare processi di ristrutturazione e di competitività nell’area dell’euro. Oggi queste PMI non seguono l'andamento generale della congiuntura, ma ne sono penalizzate oltremisura. A causa di due principali effetti: il primo, subiscono con effetto ritardato le flessioni della congiuntura, mentre nella successiva fase di ripresa devono recuperare terreno (sfasamento); il secondo, sono meno soggette alle variazioni congiunturali dell'occupazione e perciò hanno un effetto stabilizzatore su di essa.

Da una recente indagine si rileva che: il 64% di esse chiude il 2009 con un bilancio finale negativo (di queste il 18% con perdite gravi); l’indice Isae (sulla fiducia rispetto al sistema economico) risulta pari a 74,0 a fronte di un valore atteso pari a 76.

Anche se oramai tutti sembrano condividere l’idea che la crisi abbia toccato il fondo, questa consapevolezza non può spazzare via i danni causati al nostro sistema economico. Questa crisi ha paradossalmente punito le aziende più efficienti, quelle che hanno rischiato con investimenti in tecnologia e capitale umano e che ora si trovano senza risorse, con un futuro incerto.

Una simile disattenzione “congiunturale”, protratta nel tempo, diviene, pertanto, l’esempio più emblematico di una perversa politica strutturale verso le piccole e medie imprese.

10. Il sistema industriale paga l’assenza di investimenti.

Il sistema industriale è giunto a un punto critico e paga l’assenza di investimenti, la miopia delle strategie dei grandi gruppi e la priorità per troppo tempo data a scelte finanziarie rispetto a strategie industriali. I grandi gruppi controllano numerose e differenti attività produttive e di servizio e sempre più hanno spostato il loro “core business” dalle produzioni alle rendite immobiliari e finanziarie affievolendo il loro interesse all’area produttiva. A ciò non è del tutto estraneo il ricorso, nei fatti, ad un “modello centralizzato di cassa”. Evidenziare i rischi che derivano dalla centralizzazione delle risorse e denunciare la pochezza di una discussione incentrata sulla contrapposizione tra le diverse aree del Paese nell’utilizzo della spesa pubblica, non significa sottovalutare le disfunzioni e la sorda resistenza al cambiamento che hanno indebolito l’operato delle Pubbliche amministrazioni, né tantomeno mettere in ombra che il nodo centrale resta la lotta alla criminalità organizzata ed all’illegalità diffusa che inquinano la vita pubblica e l’economia di vaste zone del Sud divenendo facile scusa per il disimpegno del sistema industriale.

11. Le politiche economiche e di intervento.

Se il quadro fin qui ricostruito è corretto, e tutte le indicazioni quantitative, vanno in questa direzione, è necessario individuare un quadro di politiche economiche e di intervento che siano in grado di invertire, o almeno di attenuare, le tendenze in atto. Esse dovrebbero riguardare:

  1. lavoro, welfare e inclusione sociale;
  2. imprese e competitività;
  3. grande piano del settore pubblico;
  4. istituzioni e legalità.

a). Lavoro, welfare e inclusione sociale.

Scarti allarmanti di qualità differenziano Centro-nord e Mezzogiorno nei servizi essenziali per i cittadini e le imprese: Draghi cita, a questo proposito, istruzione, giustizia civile, sanità, asili, assistenza sociale, trasporto locale, gestione dei rifuti, distribuzione idrica.

La globalizzazione finanziaria dell’economia ha destrutturato il patto di civiltà fra capitale e lavoro garantito dalla democrazia. Vi è la necessità storica e strutturale di un nuovo patto per il futuro fra la sovranità costituzionale del mondo del lavoro e delle imprese per promuovere nuove relazioni di solidarietà interculturali centrate su ambiente, lavoro, welfare, democrazia.

Parliamo di sfide che investono soprattutto il ruolo del sindacato e della sua capacità di influire in maniera virtuosa sul governo della crisi; è anzitutto necessario progettare e reperire risorse per nuovi ammortizzatori sociali, questo significa mantenere il percorso di rivendicazione responsabile che si è espresso in questi mesi in un atteggiamento pragmatico e propositivo. A contenere i danni sull’occupazione ha contribuito l’uso degli ammortizzatori sociali, sia quelli ordinari che quelli in deroga, concordati tra le Parti Sociali e la Regione ma questi vanno contrattati temporalmente onde evitare un massiccio uso di questi strumenti come paliativi alle politiche per lo sviluppo. E’ un lavoro certamente faticoso ma estremamente necessario.

 

b). Imprese e competitività. 

Non riepiloghiamo qui le varie fasi del declino industriale del Paese, lasciamo a chi voglia il (dis)piacere di approfondire questo argomento. Sinteticamente attribuiamo questa decadenza al protezionismo che ha sempre assistito il capitalismo italiano, aiuto che lo Stato non ha mai mancato di dare verso l’industria, sia privata che pubblica, sotto varie forme e che ha “impigrito” le capacità manageriali, che pure ci sono, non rendendole sostanzialmente concorrenziali sul mercato mondiale, accompagnato da un’esplosione della spesa pubblica che ha bruciato ricchezza utile per nuovi investimenti e rinnovamento tecnologico (e organizzativo) disperdendo questa in mille rivoli senza alcuna programmazione e/o scelta strategica.

Naturalmente la ricetta che proponiamo, all’inverso di quello che si è fatto finora, è quello di evitare i protezionismi per stimolare le imprese a rinnovarsi con la concorrenza, contenere la spesa pubblica, investire nelle infrastrutture la cui carenza penalizza la nostra industria, ridurre i costi che gravano sulle imprese dei settori che producono inputs e servizi come: telecomunicazioni, trasporti energia, comunicazioni, servizi professionali, ecc.

i. la rottamazione trentennale.

    La cantieristica italiana e quella della costruzione dei veicoli ferroviari sta soffrendo in questo momento per la riduzione o la mancanza di ordinativi e commesse, si potrebbe intervenire con una congrua erogazione di contributi ed incentivi per la rottamazione delle “flotte” (navali e ferroviarie) dopo trent’anni di servizio, assicurando così sia un volume di attività più stabile sia un ammodernamento delle flotte viaggianti con evidenti benefici anche al sistema dei trasporti.

     

    ii. il rapporto delle PMI con il sistema bancario e i confidi

    E’ necessario continuare a garantire la liquidità alle aziende, da un lato introducendo una moratoria sul pagamento delle rate dei mutui e leasing in corso rinviando il pagamento della quota capitale e garantendo al sistema bancario la sola quota d'interessi, dall'altro pensando ad un'evoluzione delle norme di BASILEA 2 che porti a minori vincoli alle banche nell'erogazione del credito e ad una maggiore aderenza alla situazione attuale. Si potrebbe, oggi, sospendere l'applicazione degli studi di settore quale strumento di accertamento per presunte evasioni a fronte di un andamento dell'economia che ha completamente stravolto tutti gli indici storici. Nel contempo, in base alla convinzione che sia meglio un contribuente vivo che paga meno tasse, piuttosto di uno estinto che non paga più nulla, diventa altrettanto urgente, diminuire la pressione fiscale unico vero aiuto alle aziende senza incappare nella tagliola degli “aiuti di Stato”.

     

    iii. la contrattazione con grandi gruppi

    Il potere contrattuale dei grandi gruppi è cresciuto a dismisura nei confronti dei partiti, delle istituzioni e dei sindacati. Ma non solo. I grandi gruppi, e questo è ciò che preoccupa di più, sono diventati essi stessi soggetti politici, propongono modelli, cercano il consenso. Controllando in alcuni casi anche l'informazione, si potrebbe aggiungere, lo creano.  Perseguono anche la destrutturazione di tutte le forme contrattuali (imbrigliamento della contrattazione aziendale e svuotamento-eliminazione del CCNL) e quindi  attaccano anche il modello sindacale confederale italiano (in particolare quello della Cgil) a favore di un sindacalismo aziendalistico. La consapevolezza di trovarci in una fase di arretramento non deve tradursi in una discussione orientata a definire semplicemente cosa "mollare" e a sperare che basti. Il necessario realismo ci impone semmai di articolare, insieme con uno schema di riferimento ideale, anche una "scala del meno peggio" per orientare al meglio l'azione difensiva ed eventualmente anche qualche puntata controffensiva. Quindi, facendo riferimento agli aspetti strettamente salariali ed astraendo dalla necessità di distribuire le risorse ottenibili  nella contrattazione sulle varie voci:   

    1) Cercare di potenziare la contrattazione di primo livello definendo: 

    a) un ambito di consultazione con gli altri sindacati europei del settore. Con l’obiettivo di elaborare una analisi ed una strategia comune a livello europeo;  

    b) un ambito di coordinamento tra le categorie con la confederazione.  Formalizzare tale ambito non solo è utile (in una fase di arretramento come l'attuale) perchè meglio consente di definire un "piano di attestazione" contro l'offensiva dei grandi gruppi, ma anche meglio consente di garantire lo stesso ruolo delle categorie.

    2) Costruire un ambito di consultazione europea con le altre unità produttive delle aziende multinazionali.

    c). Grande piano del settore pubblico.

    i.      Il programma di infrastrutture nel Mezzogiorno.

    Il programma finanziato con le risorse del Fas per 7,4 miliardi di euro, risulta solo parzialmente attivato: il 47% dei finanziamenti è stato finora confermato dal Cipe. Alcune decisioni assunte dopo l'approvazione del Programma di interventi (Cipe 26 giugno 2009) potrebbero inoltre rimettere in discussione parte della programmazione e ritardare l'avvio dei cantieri.

    Tutti gli osservatori hanno ricordato che l'inadeguatezza di alcuni importanti fattori produttivi (Innovazione tecnologica, competenza umane, concorrenzialità dei servizi, dotazione infrastrutturale) - criticità che riguarda tutto il territorio nazionale - è particolarmente marcata nel Sud e hanno sottolineato la necessità di accompagnare la politica regionale europea da una azione incisiva delle politiche nazionali ordinarie a favore del Mezzogiorno per il completamento e l’arricchimento della sua infrastrutturazione.

    ii.   Il modello Obama.

    Tra le risorse su cui costruire processi auto propulsivi e duraturi (modello Obama): l’agricoltura di qualità, il patrimonio floro-faunistico, la difesa del suolo, la regolazione delle acque, la carenza di infrastrutture, la fragilità del tessuto produttivo, la qualità dei servizi sanitari e sociali, la riqualificazione delle aree urbane, la raccolta dei rifiuti, l’inquinamento del mare, oltre a quello enorme della legalità e del controllo del territoriole energie legate al clima, il turismo, i beni culturali e ambientali, la rete di porti, le università, la disponibilità di suoli, il capitale umano in primo luogo quello giovanile.

    iii.  Accelerazione del piano 2007/2013.

    Il recente “Rapporto strategico 2009” pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico evidenzia che, negli ultimi mesi, la congiuntura economica negativa ha portato il Governo a destinare ad altre finalità risorse nazionali originariamente destinate al Mezzogiorno. Una parte delle risorse europee è stata quindi utilizzata per sopperire alla mancanza di risorse statali, con conseguente riduzione del 15% dell'addizionalità delle risorse comunitarie prevista dal Quadro Strategico Nazionale 2007-2013. Di fatto, la quota di spesa in conto capitale destinata al Mezzogiorno si è limitata nel biennio 2008-2009 al 34,8% del totale nazionale. Solo attuando pienamente i programmi comunitari e nazionali previsti, e quindi rispettando il principio di addizionalità delle risorse europee, tale quota potrà tornare a crescere progressivamente da qui al 2013 (fino al 42%). Ma le ultime decisioni del Governo sui Fas non sembrano andare in questo senso perché destinano, di fatto, ad altre realtà geografiche risorse che, in base alla normativa attuale, dovrebbero essere destinate al Mezzogiorno.

    iv. La sanità.

    Dopo anni di contabilità libera e di risanamento economico a piede di lista, indipendentemente dalla quantità e dalla qualità delle prestazioni erogate, l’aziendalizzazione della sanità, con la definizione della spesa sanitaria entro limiti concordati, ha creato l’occasione, pur con aspetti talvolta discutibili, per dare valore alla qualità delle cure non solo per la dimensione più ovvia, quella gestionale e di controllo della spesa, ma anche per la dimensione tecnico-professionale e di relazione tra i diversi livelli di intervento. Un efficace ed appropriato uso delle risorse (di conoscenze ed economiche) può fornire sicuramente l’occasione di raggiungere livelli nuovi di qualità. La sfida è di rimodulare il rapporto tra rete ospedaliera e territorio restituendo un ruolo da protagonisti alle Asl e ai medici di base che costano meno dei nosocomi. Resta il problema dei fondi: la nostra regione è attualmente quella a cui spettano meno risorse (9 miliardi e 200 milioni di euro) poiché la sua popolazione è la più giovane d’Italia mentre il principale criterio alla base del riparto è l’anzianità degli abitanti. E allora la battaglia è quella di far passare altri criteri per ottenere maggiori finanziamenti statali. Sullo sfondo il braccio di ferro tra i governatori settentrionali e quelli meridionali: questi ultimi accusano Palazzo Chigi di dirottare la maggior parte dei soldi al Nord e chiedono un riequilibrio.

    v.   La riorganizzazione delle Autonomie locali.

    Il ritrovato interesse, soprattutto a livello politico e di opinione pubblica, verso il settore delle autonomie locali è sfociato, nell’ultimo decennio, in una serie di interventi normativi di ingente rilevanza, che hanno apportato profonde innovazioni di carattere organizzativo e funzionale. Il ruolo della Regione in un processo di riassetto funzionale del territorio appare indispensabile per realizzare futuri sostenibili fondati sulla crescita delle società locali e sulla valorizzazione dei patrimoni ambientali, territoriali e culturali. Questo processo non può prescindere dall’attivazione di nuove forme di esercizio della democrazia. Diviene allora essenziale recuperare, attraverso un nuovo disegno urbano, un’identità locale capace di riaggregare la società e gli interessi delle aree in un contesto di sviluppo coordinato che passi anche attraverso nuove forme di organizzazione territoriale; in particolare pensiamo ad un sistema articolato tra forme di concentrazione ed “integrazione reticolare”, legate a fattori di territorialità nei quali alimentare la produzione di “conoscenza” e “creatività” per esprimere nuove forme di polarizzazione con la realizzazione di differenti livelli di relazioni e di gerarchie tra Regione, Area e Città metropolitana e Municipalità.

     

    d). Istituzioni e legalità.

     

    i. Grava su ampie parti del nostro Sud il peso della criminalità organizzata. Essa infiltra le pubbliche amministrazioni, inquina la fiducia fra i cittadini, ostacola il funzionamento del libero mercato concorrenziale, accresce i costi della vita economica e civile. Questo perché alla radice dei problemi stanno la carenza di fiducia tra cittadini e istituzioni, la scarsa attenzione al rispetto delle norme, l'insufficiente controllo degli elettori verso gli eletti, il debole spirito di cooperazione: è carente il 'capitale sociale'.

    ii. Le ricette tradizionali sono inadeguate. È una valutazione che non va intesa come giudizio negativo su tutto quanto è stato fatto nell’ambito dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, perché in una prima fase (diciamo fino agli anni settanta) e per taluni aspetti (dalle bonifiche alle infrastrutture di base) questo intervento è stato incisivo e spesso risolutivo. Ma se guardiamo con attenzione a quanto è avvenuto successivamente, appare evidente la progressiva divaricazione tra l’entità delle risorse impiegate e la modestia dei risultati ottenuti. Per parlare della fase più recente, teniamo conto che tra il 2000 e il 2006 sono affluiti nel Mezzogiorno quasi 60miliardi di euro di fondi comunitari, ma che questi fondi sono stati dispersi in un numero impressionante di progetti: circa 259mila, per una media di 220mila euro a progetto! È evidente che una simile frammentazione non solo va a totale discapito dell’efficacia degli interventi, ma consente anche una circolazione delle risorse finanziarie poco trasparente, difficilmente controllabile e naturalmente funzionale a parassitarie intermediazioni, tutto a favore dell’illegalità e dell’affarismo che si annidano sempre più nel mondo politico e amministrativo. È questa deriva apparentemente inarrestabile che ha fatto radicare il convincimento – diffuso non solo nel Centro-nord e non solo negli ambienti più retrivi – che al Mezzogiorno siano state destinate fin troppe risorse; che queste risorse sono state usate in modo distorto; che bisogna interrompere questo flusso improduttivo perchè rappresenta un’emorragia per l’economia nazionale.

     iii. Come intervenire in tempi stretti? Valutando la possibilità di introdurre strumenti di vantaggio fiscale per il Mezzogiorno. Riducendo il carico fiscale sulle imprese che operano al Sud si renderebbe estremamente più attraente l'investimento in quest'area del Paese, riducendo i differenziali di redditività. Non si tratta di introdurre attraverso l'alleggerimento fiscale nuove forme di assistenzialismo che mantengano in vita imprese inefficienti altrimenti destinate al fallimento. Si tratta piuttosto di compensare i costi indiretti che le imprese del Sud sopportano per il solo fatto di operare in quest'area del Paese, attraverso misure collegate alle politiche strutturali di riequilibrio, dall'orizzonte temporale ragionevolmente limitato e adeguatamente graduate nel tempo. Affinché tutto ciò possa essere praticabile, la fiscalità di vantaggio potrebbe essere finanziata anche utilizzando parte delle risorse destinate a vario titolo al finanziamento delle iniziative imprenditoriali meridionali. Spostando il baricentro dell'intervento dall'incentivo diretto al beneficio fiscale si otterrebbe un enorme vantaggio in termini di efficacia e di tempestività.

     

     

    12. Promuovere politiche attive a favore dei giovani e a sostegno dell’occupabilità.

    Difendere il valore del lavoro, contro le gabbie salariali e la deregolazione contrattuale, promuovere il lavoro buono e legale, promuovere sviluppo basato sulla diffusione della formazione, dell’istruzione e dell’economia della conoscenza, combattere la disoccupazione e contrastare risolutamente le mafie, l’economia criminale e l’illegalità: questa la via maestra per affrontare e uscire dalla crisi nel Mezzogiorno e nel Paese tutto.

    La recessione intralcerà ulteriormente l'accesso dei giovani al mondo del lavoro. Si impongono perciò iniziative e misure straordinarie che consentano di sostenerli nella ricerca di un posto di “tirocinio” e di uno sbocco professionale prevedendo in particolare:

    - azioni di orientamento e formazione dei giovani a sostegno della cultura del lavoro e dell’occupabilità (rafforzamento del sistema delle competenze);

    - azioni di orientamento e formazione degli imprenditori a sostegno della cultura d’impresa e dell’imprenditorialità (rafforzamento del sistema delle competenze d’impresa);

    - attivazione della rete sociale locale con il coinvolgimento di istituzioni, parti sociali, scuole, centri di formazione e imprese;

    - modalità di sostegno alle imprese che si dichiarano disponibili ad ospitare i giovani in attività di tirocinio;

    - modalità di sostegno alle imprese che si dichiarano disponibili ad ospitare i giovani in attività di lavoro post-tirocinio.

    In questo ordine di idee, con l'intento di agevolare il passaggio dalla scuola obbligatoria alla formazione di base si tratta in particolare:

    - di intensificare le campagne e le iniziative volte a reperire un numero sufficiente di posti di tirocinio;

    - di promuovere, all'indirizzo dei giovani che incontrano difficoltà nello scegliere la professione o nel trovare un posto di tirocinio, attività di orientamento e di motivazione.

    In riferimento poi alla transizione dalla formazione al lavoro, si tratta segnatamente:

    - di sostenere l'organizzazione di corsi specifici in favore dei giovani che non hanno concluso il tirocinio. Senza una qualifica riconosciuta corrono il pericolo di incamminarsi verso un percorso professionale instabile;

    - di promuovere l'offerta di stages e periodi di pratica professionale nelle imprese;

    - di fare in modo che i periodi di disoccupazione siano impiegati per estendere la formazione acquisita (corsi di preparazione alla maturità professionale, occasioni di perfezionamento);

    - di riconoscere il sovvenzionamento di periodi di formazione linguistica anche all'estero.

     

     

    13. La contrattazione e la concertazione restano strumento principe per il sindacato per l’esercizio delle proprie funzioni, vecchie e nuove.

    E' la contrattazione, a tutti i livelli, lo strumento con cui il sindacato opera: dal salario alla riduzione dell'orario, dall'organizzazione del lavoro alla nuova frontiera dei rapporti di lavoro atipici e delle libere professioni. E' la contrattazione, nazionale, territoriale, aziendale, flessibile o articolata a consentire al sindacato di difendere gli interessi degli iscritti, dei lavoratori, dei giovani e dei pensionati. Certo è che chi crede nella politica crede, o dovrebbe credere, nel dialogo, nel confronto con gli altri, nelle altrui ragioni e motivazioni. La concertazione – ovvero “stabilire in accordo con altri” – è politica sindacale, è il momento del confronto e del successivo compromesso. Quando la politica, come è avvenuto in questi ultimi anni, non cerca il confronto, il dialogo, la concertazione, non si parla di democrazia, e questo non è accettabile.

    La Cgil ha bisogno di fatti non di parole, e sulla base dei fatti appone o meno la propria firma. La Cgil organizza e rappresenta interessi alle volte molto specifici e anche di parte, ma contemporaneamente, compie sintesi che vanno oltre questi interessi, per sostenere una visione sociale ed economica che sposi gli interessi generali e la solidarietà con i più deboli.

    Il problema vero oggi è quindi il modello che il nuovo sindacato potrà assumere nel prossimo futuro: dovrà essere un modello concertativo, perché solo in questo modo si consente la crescita e, contemporaneamente, si tutelano in via generale i più deboli da una economia di mercato sempre più competitiva e da regole economiche spesso brutali. Occorre, dunque, recuperare la concertazione, quale metodo di condivisione di obiettivi tra Governo e Parti sociali.

    25 Febbraio 2010.

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