Il Sud che resiste

Pasquale Iorio, Il Sud che resiste, prefazione Guglielmo Epifani, postfazione Luigi Ciotti
Ediesse, Roma, 2009, € 11,00.

sud_che_tLa pubblicazione di un libro, a volte, può diventare l’occasione per l’apertura di un ampio confronto. È quanto sta avvenendo per il volume “Il Sud che resiste. Storie di lotta per la cultura della legalità in Terra di Lavoro”, con un’originale esperienza di partecipazione dal basso. Il suo autore, Pasquale Iorio, un sindacalista campano dotato di acutezza e tenacia, sta facendo di questa presentazione un vero e proprio tour in tutta Italia, tra grandi città e centri piccoli e medi.
Il volume, partendo dall’efferato episodio della strage di sei ghanesi a Castel Voltumo, pone in evidenza come il fenomeno della delinquenza organizzata condizioni l’economia, colpisca i più deboli, crei emarginazione e inibisca la vita associativa; in sintesi, deprima ogni aspettativa per l’avvenire.

Tuttavia, il libro non si ferma a queste constatazioni negative, ormai ricorrenti, ma si propone anche come un contributo di notevole interesse per la scoperta di buone pratiche di cittadinanza attiva e di legalità, in un’ottica di educazione permanente; come una narrazione serrata di storie di persone, associazioni e istituzioni di una provincia meridionale; come un paradigma dell’intero Sud e non solo delle vicende di una terra difficile, quale quella di Caserta.
Questo volume si affianca alla sempre più vasta letteratura sulla illegalità diffusa e sul sistema criminale del Mezzogiorno, analizzata da Saviano, Capacchione, Di Fiore, Cantone, Sales, Barbagli, Becchi e vari altri. Da questo contesto, si distaccano le opere di Siebert, La Spina e Fantò, dedicate, in particolare, al rapporto tra criminalità e sviluppo economico e il peculiare punto di vista di Piero Barucci sulla “intermediazione impropria”, ovvero sulla grave diseconomia meridionale rappresentata dai rapporti perversi tra politica, istituzioni e delinquenza organizzata. Tuttavia, scorrendo le pagine de “Il Sud che resiste”, viene alla mente un saggio di Tullio e Quarella, apparso nel 1999 sulla “Rivista di Politica Economica”, dal titolo “Convergenza economica tra le regioni italiane: il ruolo della criminalità e della spesa pubblica”. In questo studio, si sosteneva che l’incremento degli investimenti pubblici per contrastare la disoccupazione poteva essere inefficace o, perfino, dannoso, se fosse avvenuto in un ambiente caratterizzato: da un impiego delle risorse finanziarie indotto da ragioni politico?elettorali, anziché economiche; da estesi fenomeni di decadimento delle istituzioni locali; da stretti legami tra criminalità e politica; da una scarsa tutela dei diritti di proprietà. Infatti, il volume non è solo una testimonianza d’affetto e una memoria viva di questo territorio, ma rappresenta anche un concreto apporto alla costruzione di una speranza per il futuro. Le immagini che scorrono fanno parte del racconto di un Sud diverso dal senso comune prevalente: dagli imprenditori «dalla parte dello Stato», impegnati a fondo nella lotta al racket, agli esponenti di una Chiesa vicina ai più deboli, ai giornalisti anticamorra, alle associazioni giovanili e del volontariato, alle imprese e cooperative sociali, alle scuole aperte al territorio e alla multiculturalità, fino ai centri di insegnamento e di ricerca dell’università, viene un messaggio di notevole valore. Anche perché non si tratta, secondo l’autore, di esperienze isolate, di tante monadi a sé stanti, ma di un insieme di figure, attività e ricchezze, «che vanno messe in rete e governate». Questo obiettivo riguarda tutto il Mezzogiorno ed è il punto cruciale di un vero “nuovo meridionalismo”.
Se da un lato, il Sud è ricolmo di talenti e creatività disperse, di iniziative di piccole e medie dimensioni, dall’altro è difficile pensare che una stagione positiva possa riprendere solo con un intervento dall’alto, di tipo tradizionale. Allora, forse, il tema del protagonismo e della messa a sistema di questa ricchezza del Sud, fatta di energie! positive, cervelli e operosità, troppo spesso? abbandonata a sé stessa, può connettersi all’esigenza di una nuova fase di trasformazione e di superamento dei nodi strutturali del dualismo italiano.
Il libro sottolinea come l’assenza della politica rappresenti un fattore di forte svantaggio per un’azione di questa portata. E qui il discorso, che rimanda a una storia differente del Mezzogiorno, incarnata da politici interessati all’affermazione di un interesse generale della società e delle ragioni delle classi più disagiate, mossi da idee e valori di progresso civile, si fa più complesso. Rimanda alla possibilità di non sprecare o disperdere le energie positive, il capitale sociale dell’area meridionale, come il principale compito di una nuova classe dirigente, capace di sostituire quelle che hanno fallito. Chissà che una crescita dal basso, a partire da un impegno nelle pieghe della società, con la partecipazione di tanti alla costruzione di un’innovazione aperta del sistema culturale ed economico meridionale, non possa essere la più degna conclusione di un bel racconto, quasi di una parabola civile sudi noi.

Amedeo Lepore

La Repubblica Napoli, 20 giugno 2009.

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