Mezzogiorno: una questione nazionale

Giovanna Altieri ed Emanuele Galossi, a cura di, Mezzogiorno: una questione nazionale, prefazione di Vera Lamonica
Saggi e contributi di: Giuseppe Travaglini; Giovanna Altieri, Francesca Dota e Giuliano Gerrucci; Lorenzo Birindelli e Riccardo Sanna; Emanuele Galossi; Mauro Di Giacomo, Elio Montanari e Clemente Tartaglione; Francesco Prota e Maria Jennifer Grisorio; Elena Battaglini; Serena Ruggiero, Sandro Notargiovanni e Emidio D’Angelo.
Ediesse, Roma, 2010, € 20,00.

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La questione meridionale è questione nazionale, la più complessa e difficile che il paese deve affrontare per uscire dalla crisi e costruire nuove prospettive di sviluppo e di coesione economica e sociale.
È la grande ed irrisolta questione che accompagna tutta la storia nazionale e presenta, oggi più che mai, nodi che chiamano in causa la natura e la qualità delle politiche nazionali, gli obiettivi strategici del paese, il rapporto con la dimensione mediterranea dell’Europa.
Il tema è scomparso per anni dal discorso pubblico, sostituito dalla ben più ingombrante «questione settentrionale» (peraltro questione tutta politica...), ed è ricomparso, da qualche tempo, più come effetto delle contraddizioni interne ai rapporti politici che come problema, e opportunità, da cogliere e valorizzare per concrete decisioni di policy.

Negli anni in cui il tema scompare, a partire dai primi anni duemila, nell’area si consumano processi profondi: si bloccano i segnali di crescita, si fanno più deboli le differenziazioni interne, decresce la quantità di spesa per investimenti pubblici e privati e si approfondiscono tutti i dati tradizionali del divario, iniziano alcuni processi regressivi che saranno destinati a segnare pesantemente il futuro dell’area, quali il calo della popolazione, la crescita del numero dei disoccupati e soprattutto degli «inattivi», la ripresa, a ritmi uguali a quelli degli anni Sessanta, delle migrazioni interne che questa volta riguardano essenzialmente i giovani altamente scolarizzati.
La crisi, su questo tessuto e con queste premesse, fa esplodere una drammatica questione sociale, accelera vistosamente il processo già in atto di desertificazione industriale di intere aree, e mostra, in tutta evidenza, la pochezza di una risposta politica, quella del governo, da una parte incapace di cogliere i dati nuovi della questione e di comprendere che l’inabissamento del Mezzogiorno è destinato a segnare il destino di tutto il paese, e dall’altra intento ad una sistematica opera di smontaggio della programmazione esistente, di saccheggio e trasferimento al Nord delle risorse destinate al Sud che oltretutto vengono trasformate da spesa di investimento in spesa ordinaria.
Non perché non andasse effettuata un’analisi rigorosa della qualità della spesa nel Mezzogiorno, e quindi della qualità del governo locale e regionale che lì si esprime. Tutt’altro: il più grande dei problemi aperti rimane, nell’analisi della CGIL, il vero e proprio «deficit istituzionale» che caratterizza il Mezzogiorno, il ruolo di «intermediazione impropria» che vi esercita la politica diventata spesso, in assenza di lavoro, di produzione, di servizi, il canale privilegiato di uso distorto della spesa pubblica, insieme ad apparati amministrativi funzionali a quella trasformazione del diritto in favore che caratterizza ampie aree.
Ma trasformare la lettura del paese in una facile, quanto scontata, contrapposizione tra una «Padania», motore dell’economia e destinata a rimanere in Europa, ed una «Gomorra», assistita e sprecona, destinata alla deriva nel Mediterraneo, verso l’Africa, è un’operazione politica e propagandistica inaccettabile.
Operazione peraltro poco contrastata, anche sul piano culturale, dalle forze di opposizione, incapaci anch’esse di svolgere una severa autocritica sulle esperienze di governo consumate nel Sud in questi anni e finite malamente, a parte l’eccezione di Puglia e Basilicata, e sull’incapacità persino di organizzare una risposta sovraregionale all’attacco che il governo veniva portando.
Il tema oggi, anche per le forze sociali e per la CGIL, diventa quello di come si coagula nel Sud una domanda politica innovativa, capace di intervenire sui nodi concreti della crisi che sono quelli comuni a tutto il paese, ma che al Sud si presentano con maggiore acutezza: quali politiche industriali, quali percorsi di innovazione, quali risposte di welfare, quali vere riforme dell’amministrazione sono necessari per dare una svolta e disegnare un futuro possibile.
Prima di tutto in direzione della salvaguardia dell’apparato pro­duttivo rimasto, che, nella ristrutturazione in corso, rischia di scomparire senza essere sostituito da nulla, ed insieme della scelta, che va finalmente compiuta, di non considerare il Mezzogiorno come terra dove l’unica prospettiva per attrarre investimenti è data dal basso costo del lavoro, ma come luogo dove sperimentare innovazione a costruzione di lavoro «buono», capace di rispondere alle nuove sfide della competizione globale e nel contempo di far leva e dare risposte alla parte più in sofferenza di un mercato del lavoro disastrato, i giovani e le donne, guardando alla prospettiva di creare sufficiente «capitale sociale» per invertire le tendenze profonde di quella società.
Si tratta con tutta evidenza ditemi relativi a politiche nazionali, che non possono essere risolti solamente dentro gli obiettivi della politica regionale, pur fondamentale, ma non sufficienti a determinare il salto di qualità necessario.
Le politiche regionali, ed il loro parziale fallimento, hanno svolto un ruolo che non gli era proprio: hanno in gran parte supplito alla carenza di spesa ordinaria, soprattutto in conto capitale, ed anche per questo, seppur non solo per questo, hanno fallito l’obiettivo della convergenza. Obiettivo che invece, in poco più di un decennio, hanno realizzato le altre regioni dell’Europa a 15 che partivano (la condizioni simili al nostro Mezzogiorno.
I fondi strutturali, il cofinanziamento nazionale ed il FAS vanno quindi mantenuti nel loro impianto integrato; semmai ne vanno riviste le priorità, ne va corretta la dispersione, soprattutto ne deve rimanere fermo il carattere di addizionalità che dovrebbe contraddistinguerli.
Infatti, anche in tempi in cui sembra partire la discussione sul federalismo fiscale – di cui non bisogna aver paura ma del quale van110 tenuti presenti tutti i rischi – è necessario ribadire l’esigenza che l’obiettivo delle risorse aggiuntive per lo sviluppo venga mantenuto e che la perequazione riguardi non solo il costo dei servizi ma anche la loro quantità, qualità e diffusione.
Non servono Partiti del Sud, né coalizioni «collusive» del tutti insieme a difesa dell’esistente. Al contrario serve anche una nuova intensità del conflitto sociale, e la capacità d’individuare «sentieri» per lo sviluppo da far vivere anche con gli strumenti della contrattazione sociale e territoriale.
Tra gli elementi che ci fanno insistere su quanto sia sciocca l’illusione che si possano dividere le sorti del Nord e del Sud, c’è la questione relativa al peso delle mafie, tradizionalmente considerata affare del Sud «arretrato» e di cui al Nord si poteva vivere al massimo qualche effetto secondario ed episodico.
Quanto accade in questi anni ci dice che oramai l’espansione delle mafie, e specialmente della ‘ndrangheta, al Nord è larga e diffusa, si muove dentro i circuiti dell’economia legale, e rischia di inquinare profondamente il tessuto delle imprese, della finanza, della proprietà immobiliare.
Le risorse immense dei traffici illegali vengono oramai riciclate a tutto campo ed investite fuori del Mezzogiorno, mentre quest’ul?timo, e specialmente alcune sue regioni, fungono da piattaforma sulla quale il controllo è asfissiante e totale.
Se non si vince contro le mafie, il destino del paese rischia di esserne pesantemente condizionato. Per questo la battaglia per la legalità è centrale per ogni prospettiva di sviluppo, e per questo pensiamo che i pur significativi successi ottenuti dalla magistratura e dalle forze dell’ordine contro l’<ala militare» delle organizzazioni criminali non basta e che bisogna affrontare fino in fondo il tenia del contrasto anche e soprattutto sul terreno dell’economia.
Ma è un circolo vizioso. Le mafie sono la causa prima del mancato sviluppo, ma se non si crea lavoro, se non si danno risposte ai bisogni sociali, se lo Stato non afferma presenze e regole, esse diventano, nei fatti, coloro che «rispondono» e tengono sotto ricatto popolazioni intere.
Questo volume sul Mezzogiorno curato dall’Ires, che riprende a ragionare su questo tema dopo alcuni anni, non vuole essere una risposta a tutto questo, né intende dare indicazioni di policy che definiscono le linee di azione e le strategie della Cgil. Si tratta di una scelta di temi su cui si sono condotte un’analisi ed una riflessione, che si arricchirà di altri contributi nei prossimi mesi, e che si propone di mantenere alto il profilo dell’analisi e della discussione su un tema, quello del Mezzogiorno, che ha bisogno sempre più di impegnare i luoghi di ricerca per la sua complessità, per l’inestricabilità di alcuni suoi nodi, e per aiutare una ripresa di dibattito che ancora fatica a diventare, anche tra i meridionali, concreto e orientato alla proposta e all’azione.


Vera Lamonica, Segretaria confederale della Cgil

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