Napoli, la cinquantaseiesima città.

Gianni De Falco, direttore Ires Campania

«Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». Marco Polo, in Le città invisibili di Italo Calvino.

Cinquantacinque città, mai nominate nell’indice del libro, rappresentano e descrivono il viaggio di Marco Polo rivisto e corretto da Italo Calvino nel libro, veramente magnifico, “Le città invisibili”. Città concrete rese visibili dalla parola e dal racconto, ma assolutamente virtuali, costruite, artefatte, inesistenti e, dunque, invisibili. La cinquantaseiesima città invisibile si realizza qui, a Napoli, in molte forme diverse: tutte umanamente tollerate. La più chiara e concreta struttura di una città è la sua toponomastica, la possibilità, attraverso un nome, una indicazione territoriale, di costruire i suoi percorsi, virtuali e concreti. Offrire un’indicazione toponomastica significa dare la possibilità di creare un percorso (ma possono essere anche tanti) per raggiungere una mèta seguendo semplicemente le indicazioni delle targhe stradali, il segno di riconoscimento più evidente per un luogo urbano. Le condizioni generali in cui queste versano, a Napoli, sono pietose: sporche, spaccate e cadenti, mancanti di numerose lettere (leggibili come un codice fiscale). Alcune anche con evidenti strafalcioni, cui si dovrà rimediare. In numerosi casi esse vengono addirittura staccate, meglio dire asportate, dagli angoli stradali e con esse anche le più piccole targhe dei numeri civici accanto agli ingressi dei palazzi. Questo rende impossibile individuare un indirizzo, soprattutto in quei dedali di stradine, vicoli e viuzze che costituiscono il Centro Storico o nelle aree di periferia. Anche su questi episodi si gioca il controllo del territorio da parte della criminalità organizzata che, in questo modo, sbeffeggia il re Ferdinando IV di Borbone che volle l’istituzione della toponomastica cittadina e dei numeri civici (1793/1794) proprio per meglio controllare i banditi e lestofanti napoletani, tra i quali, probabilmente, annoverava anche i giacobini. È una lotta impari: l’idea di rilanciare le strade e le vie dei canti e della poesia quotidiana viene frustrata dall’impossibilità di assegnarle un indirizzo e di riconoscerla come toponimo. La città si realizza così su due differenti piani: uno su carta, idealmente percorribile, riconoscibile e leggibile, l’altro, quello vero, di mattoni e cemento, di tufo, lava e piperno, di strade tortuose e piccoli budelli, irreale, fantasma, irriconoscibile. Città invisibile, appunto. La cinquantaseiesima.

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