Est! Est!! Est!!!

Gianni De Falco, direttore Ires Campania

 

Si narra che al seguito di Enrico V di Germania nel suo viaggio per quel di Roma destinazione Vaticano viaggiasse il vescovo Johannes Defuk, fine intenditor di vini. Questi soleva mandare in avanscoperta il suo fido coppiere, tal Martino, con l’incarico di assaggiare e segnalare all’alto prelato le località nelle quali poter degustare il buon vino. I due concordarono che in presenza di tal condizione il fido coppiere avrebbe scritto sulla porta della locanda una parola, intesa come codice: «Est» (c’è), e se la qualità fosse stata giudicata ottima il codice si sarebbe raddoppiato (Est Est).

Giunto a Montefiascone, nel viterbese, il buon Martino, assaggiato il vino locale, per segnalare l’eccezionale qualità del “nettare” locale non trovò di meglio che rafforzare il segnale convenuto ripetendolo per ben tre volte, non solo, ma a maggior sostegno di questo giudizio accompagnò la parola con ben sei punti esclamativi: «Est! Est!! Est!!!». Il vescovo, arrivato in paese, apprezzò e condivise il giudizio del coppiere e prolungò la sua permanenza in quel paese per tre giorni. Al termine della missione imperiale in quel di Roma vi tornò, fermandosi fino al giorno della sua morte. Venne sepolto nella chiesa di San Flaviano, dove ancora si può leggere, sulla lapide, l'iscrizione: «Per il troppo Est! qui giace morto il mio signore Johannes Defuk».

Questa leggenda in premessa mi consente di ricollegare il codice, la parola Est utilizzata dal buon Martino, per utilizzarla in contesto differente e abbinando ad essa altro significato. Est, infatti, può essere inteso come punto cardinale, come sininimo geograficamente indica il levante, figurativamente quella parte di cielo dove si vede nascere il sole, o oriente. Nel nostro caso, dunque, l’area Orientale di Napoli.

Che c’entra l’area orientale di Napoli con il codice utilizzato del coppiere Martino? Ebbene questo codice, rapportato ai nostri giorni e all’argomento che trattiamo, potrebbe significare che l’affare (il buon vino) «c’è».

Gli interessi per l’area orientale di Napoli, fino a qualche anno addietro, la vera e “sola” area industriale napoletana (Bagnoli arriverà poi dopo) sono stati sempre notevoli.

Gli amministratori laurini e democristiani fecero salti mortali per occultare e violare il PRG del 1939 e quando vennero esaurite le risorse lecite qualcuno pensò che fosse opportuno prendere pastelli e colori intervenendo sulle tavole del piano modificando la destinazione d’uso di molte parti di città a vantaggio dei proprietari e dei costruttori. Non operarono soltanto sulle parti più squisitamente abitative (Posillipo e Vomero, su tutte) ma anche sulle aree industriali.

Successivamente il PRG del 1972 individuò nella realizzazione del Centro Direzionale il suo fondamentale obiettivo. L’idea però nacque nel 1964, e nel periodo tra l’ideazione e la realizzazione si attuò una delle più grandi operazioni speculative sulle proprietà fondiarie. Tra i protagonisti: Società assicurative, Banche, imprenditori del mattone (i soliti noti insomma).

Molti urbanisti ed esperti criticarono questa scelta, già da anni superata dalle moderne teorie urbanistiche, anche perché le aree interessate, di natura alluvionale, non avrebbero garantito la stabilità geologica. Apriti cielo! Eresia! Condanna al rogo per gli “untori”… Recenti studi hanno dimostrato, però, che tutta l'area del centro sprofonda di qualche centimetro ogni anno. Il geologo Riccardo Caniparoli ha definito il Centro Direzionale «come una barca con delle falle dove entra acqua».

Le garandi aree urbane hanno rappresentato il luogo in cui tutti gli squilibri territoriali, risultati di una cultura dello sviluppo prevalentemente quantitativo e di speculazione, prima fondiaria e poi immobiliare, hanno prodotto disuguaglianze sociali, emarginazione nella ristrutturazione dei cicli produttivi e riproduttivi, in una logica astratta di ricollocazione di funzioni.

A causa dell’effetto terremoto (1980) questi specifici connotati hanno assunto forme ancora più evidenti e gravi in termini di scelte politiche territoriali e di modalità d’uso della spesa pubblica con una crescita delle forme di criminalità organizzata, di altissimi tassi di inoccupati e disoccupati e di un devastante processo di deindustrializzazione.

In questo contesto nasce la proposta della Filcea Cgil di Napoli (con la collaborazione della Facoltà di Architettura della Federico II) per imprimere una svolta nelle politiche di sviluppo a partire da una riqualificazione del tessuto urbano caratterizzato da idee-forza di alto contenuto sociale e la realizzazione nell’area orientale di un polo Tecnologico e scientifico (TecnoNapoli) per la messa in comunicazione ed in sinergia dei fattori della ricerca, della produzione, della formazione ai fini di una ricaduta positiva per il sistema industriale in grado di accrescere la competitività internazionale. Idea di alto spessore e ricchezza culturale. Apprezzata ma non sostenuta né mai realizzata, si sa la cultura non paga!

Successiva all’iniziativa della Cgil il vulcanico ministro Pomicino lanciò il progetto “Napoli2” con la costituzione della società Polis2000. Il progetto pomiciniano fu ben descritto da un documento dell’Osservatorio Napoli della Camera del Lavoro di Napoli, ampiamente citato nel libro di Rita Pennarola e Andrea Cinquegrana ‘O Ministro. La Pomicino story: bilancio all’italiana, ed. Publiprint, 1991. Il documento, nel riepilogare l’analisi sui progetti urbanistici per la città di Napoli, quello per l’area Orientale e il famoso progetto Neonapoli, così commentava: «disegnano scenari fantastici, fanno intravedere enormi capacità progettuali ed infinite risorse da impegnare per la loro realizzazione. Hanno aggregato (e cooptato) molti onesti professionisti ed intellettuali sulla scorta di obiettivi anche condivisibili, di natura sociale, culturale, artistica, formativa, imprenditoriale e così via, ma crollano miseramente rispetto alle prime osservazioni di merito: progetti di contenitori più che di contenuti. In molti, alla fine, si sono defilati o dissociati.»

Il libro La via napoletana all'urbanistica. 1970-1990: dal PRG al preliminare di piano di Bruno Discepolo, Lacaita editore, 1991, riprende un altro passaggio del documento: «gli Enti locali, rappresentativi di uno stato politico di facciata, sono incapaci di produrre politiche di indirizzo e di sviluppo. Il vuoto istituzionale viene dunque occupato da chiunque sia in grado di proporre un qualsivoglia progetto che abbia un benché minimo contenuto (illusionistico): fa capolino la cosiddetta “urbanistica dei promotori”. Nascono così formule fortunate, dalla “città infinita” (una specie di megalopoli sottovuoto) ai “superluoghi” (contenitori concettuali multiuso per architetture firmate, residenziali e non residenziali) in grado di veicolare anche contenuti rilevanti verso finalità a dir poco deludenti».

Il 3 novembre 1997 nasceva la «Napoli Orientale Società Consortile per Azioni». Presidente della società Fabiano Fabiani, ex presidente di Finmeccanica. La finalità principale che la società si propose fu quello di promuovere la rinascita e la valorizzazione dell’area orientale di Napoli, attraverso il riorientamento della stessa in logica metropolitana, di procedere al risanamento sociale e civile del relativo territorio, ottenendo così un bacino di promozione economica ed occupazionale deputato sia all’accoglienza di insediamenti industriali, artigianali e commerciali di provenienza locale, nazionale ed internazionale, sia ad influire sul sistema a monte e a valle, creando ulteriori opportunità per il riassetto complessivo. Risultati: zero!

Domanda: ma cosa è cambiato da allora ad oggi?

Ebbene, oggi salutiamo la nascita ufficiale di Naplest. Una nuova iniziativa imprenditoriale annunciata da Marilù Faraone Mennella. Un’idea che entro il 2016 consentirà a sedici società di realizzare diciotto iniziative che costeranno 2,3 miliardi di euro e saranno capaci di generare 15mila posti di lavoro nei cantieri, e 26mila posti stabili quando tutte le attività andranno a regime. Scorrendo l’elenco delle iniziative, però, scopriamo che alcune di esse sono già state avviate nel 2008 (due anni fa) e che di altre si parlava, in termini di programmazione, già in passato.

La sensazione è quella di trovarci di fronte ad una nuova operazione “Progetto Napoli”, promosso dal Ministero del Bilancio (ebbene si, sempre lui Cirino Pomicino) a metà anni ottanta. Una serie di iniziative e progetti sparsi sul territorio con l’intenzione di “fare massa” (finanziaria) e proporre una facciata di iniziativa politica ed imprenditoriale di qualità a fronte di nessun progetto di assett territoriale, di nessun indirizzo strutturale, di nessuna utilità allo sviluppo locale.

E' assai preoccupante verificare che una tale iniziativa raccolga progetti, tra cui alcuni già avviati, che potranno modificare in tutto o in parte le attuali destinazioni d’uso di molte aree prima industriali. La giunta laurina e gli imprenditori dell’epoca lavorarono di pastello e colori, oggi si utilizza la peggior calamità (non naturale) degli ultimi anni in Campania: il Piano casa. Paragonabile per dimensioni alla colata lavica del cemento negli anni ‘50, quello delle mani sulla città, che credevamo amputate dal senso di pudore che finanche i costruttori sembravano aver decorosamente assunto.

Sarebbe utile capire le conseguenze (vere) che si avrebbero sul territorio in termini di ritorno economico per la collettività (chiamata in causa per l’occupazione e per l’utilizzo di alcune funzioni non chiaramente individuate), e per gli imprenditori, a fronte dell’impegno di spesa di 2,3 miliardi di euro.

Per questo motivo alle porte della locanda “Napoli orientale” ho trovato scritto il messaggio di Martino «Est! Est!! Est!!!», ma, purtroppo, non è di vino che si tratta!

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