150 la gallina canta…

Gianni De Falco, direttore Ires Campania

 

Il titolo di questo articolo prende spunto da una allegra filastrocca di bambini che chissà quante volte ci è stata cantata dai nostri genitori e nonni ed abbiamo poi noi cantato ai nostri figli e nipotini… una filastrocca cantata al sud come al nord, insomma, una filastrocca di unità di culture popolari, di esperienze comuni, di affetto famigliare (fondamento di quella società tipicamente italiana). Ha la fortuna, oggi, di contenere quel fatidico numero “150” che nella filastrocca non aveva un senso compiuto, se non quello di far rima, potrebbe averne oggi riferendoci a quelle “150 galline” che cantano per davvero dicendo, ahimè, un sacco di fesserie sull’Unità di questo Paese.

L’Unità d’Italia è un fatto certo ed acclarato, alla faccia di chi, nato sotto l’ombra dello stellone, oggi rinnega la sua appartenenza nazionale e rifugge dalle tante iniziative a ricordo di questo evento. Che dire, se proprio continuano a sostenere questa “loro” differenza non vedo il motivo e la necessità perché siedano nei banchi del parlamento nazionale pagati da uno Stato (cioè da noi cittadini italiani) che rinnegano. Per loro solo vergogna e umana pietà.

L’Unità d’Italia va festeggiata nonostante le “galline” monarchiche. Il disagio che portano si accompagna alla loro “povera” storia  di cultura di governo che ha arricchito le loro già ricche casate e il loro “ciarpame” di nobiltà che, tranne per pochi ed eletti casi, ha espresso soltanto il bisogno di “amenità”, lusso e prevaricazione sul popolo, governandolo nell’ignoranza (come stato e condizione). Per loro, in senso assoluto (come la monarchia), solo scorno e misera considerazione.

L’Unità d’Italia va festeggiata al Sud nonostante le “galline” neoborboniche vadano rivendicando (e farneticando) di uno Stato “giusto” e “buono”. Non è vero. Il regno borbonico aveva sì industrie ma erano rade e non erano nostre. Ha avuto grandi personaggi nel campo delle arti, della filosofia, della rettorica, della letteratura ma li ha poco amati e quando questi, per primi, si resero conto di cosa in verità fosse la monarchia e quella casata e quale cultura retrograda e ingiusta rappresentasse (feste, farina e forca) si rivoltarono in nome della cultura, della libertà e di una rivoluzione (che di questa fece bandiera) furono perseguitati, torturati, esiliati e uccisi negandoci, per gli anni a venire (fino ad oggi), di quella società borghese ed intellettuale che è stata fondamento delle democrazie europee. Un peccato.

L’Unità d’Italia va festeggiata ancora nonostante sia stata ingigantita a dismisura l’impresa dei “mille” che appena dopo lo sbarco mille non furono più. A Calatafimi ad affiancare i mille composti soprattutto da lombardi, veneti e poi emiliani, toscani, liguri (piemontesi pochi), come ricorda ingiustamente Vespa, c’erano già più di trecento “picciotti” e con l’avanzare delle camice rosse crebbero sempre di più e sempre più furono Italiani e sempre di più le popolazioni del Regno (quello giusto e buono, che i neoborbonici rivendicano) si ribellarono al giogo borbonico e inneggiarono a Garibaldi e all’Italia unita e repubblicana. Realizzarono la prima cosa e non la seconda che avrebbe portato a liberarci anche della casa Savoia rimandando questo evento a circa ottant’anni dopo. Ma, comunque, l’impresa di “liberazione” del Sud e di unità nazionale fu una coraggiosa e grande impresa.

L’Unità d’Italia va festeggiata nonostante i problemi del Mezzogiorno che restano irrisolti. Le diseguaglianze di inizio avventura unitaria restano pressoché uguali. Galasso sottolinea che la massima inadeguatezza del Sud possa rappresentarsi con la torrenziale emigrazione verso le Americhe, oggi poco sembra cambiato. Certo la quantità di persone che emigrano non è così rilevante come a fine ottocento e inizio novecento ma ciò che si è modificata è la “qualità”: dal 2000 ad oggi ben 330mila giovani tra i 20 ed i 40 anni si è trasferita all’estero e quasi tutti diplomati e laureati. Siamo più poveri, dunque e non solo il Mezzogiorno ma l’Italia intera. Quante occasioni perse e quale ricchezza dissipata.

L’Unità d’Italia va festeggiata, dunque, nonostante le 150 galline che cantano contro, nonostante molti abbiano conosciuto e capito il “Canto degli Italiani” soltanto dopo la lectio magistra di un comico come Benigni e nonostante molti comincino a capire che questo Paese, immeritatamente, è governato da un certo signor Berlusconi oramai ridottosi a comico.

Auguri Italia, paese nostro e mio.

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