Da Bretton Woods al default pilotato.

Gianni De Falco, direttore Ires Campania. Notiziesindacali.com 18/10/2011

 

Nell’aprile del 2009 l’Ires Campania, insieme con l’Istituto Fernando Santi e con l’alto patronato della Presidenza della Repubblica, concludeva un percorso di seminari “per la diffusione di una cultura europea nel Mezzogiorno”.

In molti parteciparono attivamente e ci sostennero in questa bellissima avventura, tra questi il professore Gaetano Arfè. Già gravemente ammalato (a distanza di un mese avrebbe concluso la sua vita) ci/si concesse una lunga intervista che serberò nello scrigno dei miei ricordi indelebili. Arfè sottolineò con forza l’insensata inettitudine con la quale i vari governi gestirono la fase di “condivisione” della “Carta europea”.

Dunque, Altiero Spinelli aveva ragione nell’affermare che il processo di acquisizione della Costituzione europea dovesse essere affidata al Parlamento europeo, sia per affermare la solennità di questo atto sia per evitare la gestione populista del processo esposto alle intemperie della politica di alcuni Stati politicamente deboli e di alcuni gruppi di pressione ostinatamente contrari all’affermazione dell’unità europea.

Credo che questo episodio ha segnato, e segnerà ancora per l’avvenire, i destini dei popoli d’Europa. Perché in quella occasione l’Europa ha rinunciato, forse definitivamente, a quel progetto di supremazia della politica nel governo continentale a favore di vari gruppi in rappresentanza di interessi economici e finanziari di élite (e non delle migliori).

Ciò che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti. Dalla fine degli accordi di Bretton Woods, il potere finanziario stabilisce in modo autonomo e sovranazionale il valore della moneta, sulla base delle gerarchie e delle aspettative che gli speculatori istituzionali di volta in volta definiscono: la pervasività dei mercati finanziari sulla vita economica e sociale degli abitanti della terra è tale che l’accesso a porzioni (sempre più decrescenti) di ricchezza sia condizionato direttamente e indirettamente dagli effetti distributivi e distorsivi che gli stessi mercati finanziari generano.

La finanza ormai esercita una piena governance planetaria, al di sopra delle leggi e degli Stati e oggi, attraverso una smisurata dotazione di capitali concentrati in pochissime mani, dispone, a monte, del futuro economico, e quindi sociale, di interi popoli. In questo processo l’Europa politica non c’è.

Non è un caso che a dettare tempi e, soprattutto, condizioni per affrontare questo periodo di crisi, voluto e sostenuto dai poteri finanziari, sia la Bce e il suo diktat ha come scopo quello di “favorire” la speculazione, non di contrastarla.

Solo il “diritto” alla bancarotta degli Stati europei può rappresentare una prima risposta efficace, da coniugare con la ripresa di un movimento transnazionale europeo che ponga al primo punto la costruzione di un budget fiscale europeo unico, una politica fiscale e di spesa pubblica che travalichi i confini nazionali.

Una exit-strategy (così come suggerisce il professore Andrea Fumagalli) che presuppone una radicale riforma dell’Europa, da attuare in tre mosse:

1) un vero fondo di garanzia finanziato dalla Bce;

2) un budget sociale europeo finanziato da ogni Stato con una quota pari all’1% del proprio Pil;

3) un piano europeo per una politica fiscale comune.

Punti chiave che rappresentano la base per consentire il passaggio della sovranità fiscale dal livello nazionale e quello europeo e consentire, in tal modo, di porre un contropotere al potere monetario e finanziario oggi dominante. Ma per raggiungere questi obiettivi è necessario che si sviluppino movimenti sociali fra loro coordinati, in grado di incidere nello spazio pubblico e comune europeo.

Dai sommovimenti, ancora nazionali, finalizzati a estendere il diritto all’insolvenza è ora di passare, tramite le reti studentesche, dei migranti, dei precari, delle donne, degli “indignati”, al diritto alla bancarotta su scala europea: perché tale diritto significa ipotizzare, per chi lo avesse dimenticato, che la moneta è un bene comune.

Ciò che vediamo accadere negli Stati Uniti (a Wall Street), che accade nella Spagna di Zapatero o nella Francia di Sarkozy o, ancora, nella Germania della Merkel o, in ultimo, nell’Italia di Berlusconi è qualcosa di straordinario e di commovente. Il premio Nobel Robert Solow, infatti, afferma: «Hanno ragione, chiedono giustizia, non sono movimenti organizzati attorno a richieste precise, ma esprimono un comune senso di frustrazione, i governanti invece di reprimerli dovrebbero ascoltarli» e ancora «Sono scesi nelle piazze di tutto il mondo, fra questa gente c’è un grande senso di impotenza, hanno perso il lavoro, i loro risparmi si sono ridotti brutalmente, la recessione non conosce via d’uscita, mentre vedono banchieri e finanzieri continuare a prosperare».

è necessaria una politica completamente nuova. Prima di tutto, bisogna risolvere il problema del debito pubblico. L'alternativa, così come afferma Loretta Napoleoni, può essere quella di un “default pilotato”, simile a quello fatto dall'Islanda, dove è stato garantito il sostenimento dell'economia nazionale attraverso la garanzia del debito interno.

L'Italia dovrebbe garantire la metà del debito nazionale che è nelle mani degli italiani e delle banche italiane, cioè 2.850 miliardi di euro. Per garantire questo debito  sarebbe sufficiente una patrimoniale secca, dunque un “una tantum” che colpisca con un 5% su quell'1% della popolazione, cioè quelle 70 famiglie che detengono da sole il 45% della ricchezza nazionale. Basterebbe questo per garantire il debito interno. Dopodiché per quanto riguarda il debito esterno, quello che è in mano alle banche straniere, bisognerà fare una ristrutturazione.

Si rinegozia, come è successo per esempio a Dubai. Io ti pago 45 centesimi per ogni euro e si stabilisce un programma di pagamento nei prossimi 5 o 6 anni e mano a mano si paga. Dopodiché l'uscita dall'euro permetterebbe di tornare alla lira che si svaluterebbe immediatamente dando una spinta alle esportazioni e alla competitività.

Questa soluzione, a detta della Napoleoni, è difficile che possa realizzarsi perché se l'Italia dovesse decidere di fare il default pilotato c'è il problema delle banche francesi che hanno una grandissima esposizione nei nostri confronti. L'uscita dell'Italia dall'euro senza un supporto da parte delle altre nazioni, per quanto riguarda le loro economie e le loro banche, potrebbe causare il crollo degli istituti di credito.

Quindi, afferma la Napoleoni, la situazione è complessa, però non così complessa da non poter essere risolta.

Serve un accordo a livello comunitario, serve, dunque, la politica. L’unica cosa, a ben guardare, attualmente assente dalle “politiche” europee.

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