La terra perduta.

Gianni De Falco, direttore Ires Campania. Notiziesindacali.com 1/12/2011

 

Torna di attualità la questione "caporalato". Una realtà che non tocca soltanto il nostro territorio e il meridione ma, oggi ci si accorge, anche il nord del Paese. In un vecchio articolo scritto e pubblicato nel dicembre del 2011 portavamo in evidenza il "peso" economico di queste attività.

Da questo punto di vista sarebbe da valutare la reale possibilità di controllo del territorio da parte dello Stato, ma la realtà sembra offrire un quadro assolutamente impari. A fronte di milioni di euro che arrivano nelle casse delle organizzazioni criminali lo Stato non ha sufficienti risorse per approvvigionare di carburante le auto della Polizia e dei Carabinieri. Chi controlla, dunque, il territorio dei Mazzoni?

 

 

L’Espresso del 25 novembre scorso ha pubblicato un articolo di Riccardo Bocca dal titolo “Discarica Castel Volturno”, manco a parlarne dedicato alla questione dei rifiuti e dello smaltimento di questi in maniera illegale.

Dalla fine degli anni ’90 i clan camorristici sono divenuti i leader continentali nello smaltimento dei rifiuti. La stima della quantità sversata corrisponde a circa 30.000 Tir, per capirci parliamo di circa 341mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi, a cominciare dai fanghi dell’Acna di Cengio; di 160mila e 500 tonnellate di rifiuti speciali (quanto pericolosi ancora non è dato sapere) e ancora di 305mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, il tutto in oltre 5.000 discariche illegali.

La "Terra dei Mazzoni" e il litorale domizio, devastati dall'abusivismo edilizio, disseminato di cave abusive, di discariche abusive nelle quali sono stati sversati rifiuti tossici provenienti da tutta Italia, richiederà non meno di tre generazioni per la bonifica… se si comincia da subito.

In molti territori si vieta il pascolo, il movimento in entrata e in uscita di greggi, l'allevamento a terra di animali da cortile, la raccolta di alimenti zootecnici derivanti da produzioni nella zona.

Gli alimenti zootecnici, ovvero il foraggio, raccolti nella zona devono essere inceneriti presso impianti autorizzati, la motivazione è chiara: la presenza di concentrazioni elevate di diossina.

Migliaia di animali da allevamento sono già stati abbattuti per l’altissima percentuale di diossina riscontrata nel loro sangue.

L’Istituto Superiore di Sanità ha segnalato che la mortalità per cancro in Campania, nelle città dei grandi smaltimenti di rifiuti tossici, è aumentata negli ultimi anni del 21 per cento. L’associazione di medici condotti ha denunciato un’incidenza tumorale, nell’area, addirittura del 400% in più rispetto alla media nazionale. Tuttavia, anche di fronte a questa emergenza, si continua a non avere un quadro preciso della situazione sanitaria. La pubblica amministrazione sa e tace. La Regione Campania, in particolare, sa tace e, scandalosamente, affida all’oblio le pur gravissime statistiche riferite all’incidenza dei tumori e di tutte le altre malattie collegate alla malsana terra domitia.

I pozzi d’acqua sono in gran parte avvelenati. Sono a rischio le falde acquifere e il disastro ambientale sarà certificato, secondo molti esperti, entro il 2064, quando cioè il percolato altamente tossico che fuoriesce inesorabilmente dagli invasi sarà completamente penetrato nella falda acquifera che è collocata al di sotto dello strato di tufo sopra il quale si trovano le discariche. I veleni contamineranno decine di chilometri quadrati di terreno e tutto ciò che lo abiterà.

Ai contadini è stato semplicemente detto di non usare l’acqua dei pozzi sebbene non vi siano stati apposti sigilli. Chi lo fa lo fa a suo (e nostro) rischio e pericolo.

Nessuno però si assume la responsabilità di dire la verità. La salute dei contadini e di tutti i cittadini che abitano nell’area è dunque affidata alla responsabilità dei singoli, e la “strage” di uomini e animali che di qui a poco si potrà verosimilmente registrare ricadrà sulle spalle e sulla coscienza dei vari “don Antonio” o “don Ciccio” che continuano imperterriti a lavorare la terra, a produrre frutta e verdura veicolo di malattie e veleni.

Non si conoscono i risultati delle analisi sui prodotti ortofrutticoli: è difficile immaginare però che la diossina (presente in quantità stratosferiche) possa depositarsi solo sul foraggio.

Nella zona coltivazioni di pesche, mele annurche (coltivazione tipica, praticamente scomparsa), peperoni, broccoli, fragole, ciliegie e susine, belle a vedersi e, quindi, ancor più per questo pericolose. Chi non ricorda la scena del film Gomorra quando il contadino regala all’affarista/camorrista una cassetta di pesche e questi invita il giovane e ignaro collaboratore a sbarazzarsi prontamente del dono con il perentorio «jetta chella schifezza» (butta quello schifo).

Analisi ufficiali che certificano l’inquinamento della catena alimentare della zona non ce ne sono, che la terra abbia assorbito una notevole quantità di veleno, però, è provato dai fatti. E siccome il business del commercio della frutta è particolarmente attento ai rischi di contaminazione, i grossi commercianti di frutta del nord Italia e della Sicilia, che fino a qualche anno fa facevano capolinea in massa per le campagne dell’agro aversano ad accaparrarsi i prodotti agricoli tipici, sono praticamente spariti.

I centri di raccolta di Frignano, di Lusciano e degli altri paesi vicini, che ospitavano la domanda e l’offerta dei prodotti della zona sono pressappoco deserti. Per i contadini del posto non è rimasto altro che rivolgersi al mercato di Giugliano per piazzare i propri prodotti o, peggio, provvedono alla vendita diretta senza alcun controllo.

Ma l’area domitia non è solo rifiuti e veleni.

Tutta l'area è caratterizzata dalle presenza di laghetti artificiali (40) dovuti all'estrazione abusiva di sabbia per la produzione di cemento. Una sabbia corrosiva per via del sale che contiene che letteralmente “mangia” il ferro provocando pericolose condizioni di instabilità degli edifici nei quali viene utilizzata.

I "laghetti" di Castelvolturno sono la prova più evidente di quanto l'assetto idrogeologico del territorio sia stato compromesso dall'economia criminale, una evidenza che non sfugge nemmeno al satellite (basta guardare l’area su GoogleMap).

E visto che ci siamo sono utilizzati, naturalmente, per sversarvi rifiuti liquidi e solidi pericolosi che attraverso la sabbia finiscono in mare rendendolo non solo non balneabile ma pericoloso per la salute delle persone. Nei laghetti hanno ripescato di tutto camion, rimorchi, furgoni, automobili, bidoni di sostanze altamente tossiche.

Parlare di cemento significa parlare di edilizia e di “abusivismo edilizio”.

La “vampirizzazione” del territorio è una delle marche inequivocabili dell’organizzazione camorristica, che la distingue dalle altre forme criminali. A Castel Volturno si contano 6.600 famiglie per ben 24.800 abitazioni; a Mondragone, 8.100 famiglie per 13.100 abitazioni; a Villa Literno, 3.200 famiglie per 3.600 abitazioni.

Nell’area sorge il più grande agglomerato urbano abusivo d’Occidente: Pinetamare, 863mila metri quadrati occupati col cemento senza alcuna autorizzazione. Quintali di cemento armato hanno preso il posto di una delle pinete marittime più belle del Mediterraneo. Un’area parzialmente condonata con 100 lire, no non è un errore di stampa, avete letto bene… 100 lire degli anni settanta (corrispondenti oggi a euro 1,03!!!) e poi, dopo circa 400 cause e ricorsi, finalmente si è arrivati ad una cifra vicina ai 43milioni di euro. 3.500 abitanti che d’estate diventano 30.000, e un numero imprecisato ma abnorme d’invisibili, clandestini provenienti dall’Est e dall’Africa (mediamente tra i 10-12mila).

Il litorale domizio, da Gaeta a Napoli, avrebbe le potenzialità turistiche della riviera romagnola ed è invece abbandonato all'abusivismo (alberghi, ristoranti e bar, nonché lidi e spiagge più volte sequestrati) e allo spontaneismo imprenditoriale senza un piano regolatore paesistico che valorizzi l'area (circa 25.000 posti letto, prevalentemente in seconde case, è l’offerta ricettiva sommersa).

Il problema è che quasi dappertutto la malavita organizzata la fa da padrone favorendo ogni sorta di abusivismo, di speculazione, di smaltimento illecito di rifiuti pericolosi, risultato circa 25 km di costa gravemente inquinate (dal rivo Agnena fino a Pinetamare) su 45 totali, altri 15 km di costa in vario modo mediamente inquinate.

L’abusivismo “delirante” ha occupato quasi tutta l’area della foce Volturno, fuori e, per quel che più conta, dentro gli argini fluviali. Cosa significa sembra superfluo descriverlo, basta vedere ciò che è successo a Genova, o quel che successe ad Atrani (per stare dalle nostre parti).

Dall’edilizia e dall’abusivismo, quindi, passiamo all’immigrazione, altra fonte di guadagno per la criminalità organizzata.

Ho provato a calcolare il giro d’affari che attorno agli immigrati e al loro sfruttamento nel lavoro nero viene a determinarsi. Provo qui a “dimensionare” questo volume.

Il salario medio varia da 15 a 35 euro per giornata variando rispetto alla tipologia dell’occupazione e, spesso, rispetto alla prepotenza/disponibilità del padrone, per 11 ore di lavoro. Una schiavitù di fatto.

L’avvio al lavoro è strettamente controllato dai “signori del lavoro”: i caporali. Questi “collocatori” richiedono un contributo per “chiamato” pari a circa un’ora di paga: da 3 a 5 euro per giornata di lavoro.

Proviamo ora a calcolare il guadagno del caporalato nei due settori di maggiore utilizzo del lavoro nero: in agricoltura e in edilizia.

In agricoltura vengono avviati mediamente 2.000 lavoratori/giorno per 25 giorni/mese con un “contributo” di 3 euro/giorno, totale 1,8 milioni di euro.

In edilizia vengono avviati mediamente 2.500 lavoratori/giorno per 25 giorni/mese con un “contributo” di 5 euro/giorno, totale 3,75 milioni di euro.

Per una mal interpretata cultura delle Pari opportunità, l’organizzazione criminale avvia al “lavoro” anche le donne… alla prostituzione!

Si stima una presenza media di circa 500 prostitute alle quali vengono proposti particolari “contratti”… per la libertà (in realtà si tratta di “riscatto”). Per le donne sbarcate senza permesso e documenti si tratta di riscattare circa 40mila euro, per le donne immigrate con documenti procurati il riscatto ammonta a 50-60mila euro.

Il debito si estingue in circa due anni. Le prostitute pagano da 100 a 150 euro al mese per poter occupare il posto in cui lavorano (da 600mila a 900mila euro/anno).

Rientro medio annuo per l’organizzazione criminale sulla prostituzione è calcolato in circa 12,5 milioni di euro. La centrale di controllo del business sessuale di Castel Volturno, affidato alle “madames” nigeriane, controlla lo sfruttamento della prostituzione anche in altre zone d’Italia. Nell’area si trattano volumi d’affari provenienti dalla “strada” per circa 50milioni di euro.

Per completare il quadro la criminalità offre il suo lato “buono” intervenendo in aiuto degli immigrati per la loro regolarizzazione. Naturalmente a pagamento: da 500 a 4.500 euro per pratica.

Il quadro generale che ho brevemente illustrato è quello che rappresenta una terra di nessuno, dove lo Stato, con le sue regole, norme e leggi, è totalmente assente. Un pezzo d’Italia che pare non esistere.

Il governo di questo territorio è nelle mani delle organizzazioni criminali che si alimenta con un giro miliardario di risorse (ai milioni prima elencati vanno aggiunti i proventi dello spaccio di droghe).

Lo Stato ogni tanto eleva la sua voce e cerca di riaffermare una sua presenza con pochi uomini, qualche decina di “volanti” e “gazzelle” (ma senza benzina) e pochi (troppo pochi) coraggiosi magistrati. Una lotta impari che sottrae questa terra ad una qualsiasi parvenza di legalità e regolarità (un posto senza Dio e senza legge).

Una terra perduta.

Ma solitamente la “terra perduta” è mito, e il mito è inseguito e ricercato per riscoprirlo e valorizzarlo. Speriamo che questo, per una volta, accada nella realtà.

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