Memorie di un sindacalista

Antonio Lombardi, Memorie di un sindacalista, presentazione di Antonio Crispi, prefazione di Antonio Alosco, postfazione di Gilberto Marselli, Napoli 2001, esaurito.

lombardi cop aQuesto libro non è, apparentemente, un libro di storia piuttosto di storie. In alcuni momenti potrebbe ricordare, per le atmosfere e per i tratti delineati dei vari personaggi (tutti reali), i Tre operai di Carlo Bernari.
Antonio Lombardi tende a ridurre queste sue testimonianze semplicemente a ricordo senza accorgersi, o forse viceversa essendone ben conscio, che invece esse disegnano uno spaccato sociale e politico che attraversa la storia del nostro Paese e di Napoli.
Antonio Lombardi ha sentito sulla sua pelle la difficoltà dell’emigrazione che ha colpito la sua famiglia vivendola però non dalla parte di chi parte ma dalla parte di chi resta. È un punto di vista quasi mai indagato ed egli ce ne traccia tutti gli elementi: il dolore per gli affetti divisi, la complicata lotta per la sopravvivenza e, soprattutto l’abbandono (forzato) della scuola e il suo difficile rapporto con gli studi che resterà il suo più grande cruccio. Le difficoltà della vita non lo hanno dunque risparmiato.
È stato difficile anche il suo rapporto con il lavoro, così come d’altra parte resta ancor oggi difficile per chi viva a Napoli e nel Mezzogiorno.
I suoi ricordi diventano di grande interesse perché testimoniano di una serena esperienza e una pacata riflessione e conservano una piacevole freschezza dialettica tutta napoletana.
Antonio non racconta la storia, si diceva, ma descrive una evoluzione sociale storica, una trasformazione epocale che lui ha ben conosciuto. In questa lunga epoca Antonio Lombardi lascia una traccia, indelebile, nella storia del sindacalismo napoletano prima ed in quello regionale poi.
Lombardi è stato un vecchio socialista, sempre vicino alla Cgil così come, per la verità, lo sono molti altri sindacalisti a riposo. Anche se le loro vite sono state attraversate da differenti esperienze essi conservano una condivisa passione civile, sociale e politica.
Queste sue storie, ironiche, minimaliste, appassionate, per certi versi addirittura romantiche, segnate dalle passioni umane, costituiscono una testimonianza di come, in ogni circostanza, anche la più difficile, l’azione politica e civile del sindacato abbia realizzato continui avanzamenti sociali. Antonio Lombardi è nato nel 1921 ad Acerra ed è morto a Napoli il 4 marzo 2010.

 

Il Mattino 20 ottobre 2001

Tempi perduti di una Napoli battagliera

Antonio Ghirelli

 

Io stesso ho molte volte sbagliato, ma certamente il contributo che il sindaca­to, la Cgil in particolare, ha dato allo sviluppo e al bene della gente e dei lavoratori, è incommensurabile”. Cre­do che questo sia il passaggio più significativo del libro che un vecchio sindacalista napoletano, Antonio Lombardi, ha dedicato (parte in prosa, parte, curiosamente, in dolcissimi versi) ai suoi ricordi di vita, di lotta e d'amore. Il libro (Memorie di un sindacalista, Novus Campus editore) verrà presentato oggi alle 9.30 a Napoli, presso la Camera del Lavoro, in Via Torino 16. Quell'accen­no ai propri errori e al “bene” della gente testimonia l'umanità e, vorrei dire, il candore con cui l'autore si è impegnato, sin da un'infanzia segnata da una difficile situazione familiare, ad aprirsi una strada nella società e nel modo del lavoro, senza mai smarrire una legge interiore fatta di totale devozione alla milizia sindacale ma anche di rigore intellettuale e dì un napoletanissimo senso dell'umorismo.

Lombardi racconta soprattutto le battaglie condotte tra gli anni '50 e gli anni '70 del secolo scorso, anni durissimi non solo per le condizioni di una città come la nostra, annientata nelle sue strutture industriali e nelle infrastrutture civili dalla guerra perduta, ma altresì per il severo scontro di classe con un blocco sociale cementato tra destra politica e imprenditori anche dalle asprezze della guerra fredda. Fu un'epoca di violenti settarismi che resero impervio e rischioso l'impegno dei sindacalisti dentro e fuori i cancelli della fabbrica, esponendo gli stessi lavoratori alla rappresaglia dei padroni e dei sorveglianti, quando non anche alle minacce della camorra e ad una sgradevolissima guerra tra poveri per strapparsi un misero posto di lavoro.

L'autore di queste memorie rievoca con amarezza le vessazioni che s'imponevano allora agli operai, il licenziamento talora motivato esclusivamente, dalla lettura de “l'Unità” o de “l'Avanti!”, l'obbligo di recarsi al lavoro (prima del varo dello Statuto dei lavoratori) anche se si era febbricitanti. Racconta pure, tuttavia, il suo disagio da buon riformista per le troppo frequenti contaminazioni tra politica e sindacato e la riprorevole tendenza di qualche dirigente dell'organizzazione a fare il “capetto”. Non tace l'emozione sua e la commozione di Giuseppe Di Vittorio di fronte alla tragedia della rivoluzione di Ungheria, stroncata brutalmente dall'Armata Rossa. Non nasconde la sua adesione al centro?sinistra e l'irreparabile danno che venne ai socialisti dalla scissione del Psiup favorita sotto banco dai sovietici. Nel capitolo conclusivo Lombardi dice, infine, con grande schiettezza la sua sugli sbagli, i ritardi, i compromessi di cui la sinistra italiana sta ancora pagando a carissimo prezzo lo scotto: dalla mancata formazione di nuovi quadri nel sindacato e nei partiti all'insufficiente sfruttamento delle grandi possibilità offerte dallo Statuto dei lavoratori, dal ritardo nella cultura di governo del Pci agli spropositi del Psi al momento del crollo del muro di Berlino, per finire con l'illusione di Occhetto e dei suoi compagni di trarre vantaggio dalla bufera di Tangentopoli, da cui sono stati travolti democristiani, laici e socialisti, per evitare un dibattito approfondito sui motivi di fondo del naufragio comunista in Urss e dintorni, quindi sulle proprie contraddizioni.

“Tutto ciò, – scrive il sindacalista napoletano – ha avvelenato i rapporti politici con la rottura delle forze a sinistra ed ha contribuito alla sconfitta della politica”, anche perché “in questo clima rovente si è inserita l'azione della magistratura che in molti, casi, con un accanimento evidente ad ogni occhio sereno, ha dato la stura ad un vero e proprio furore giustizialista”. Come si vede, la sua appassionata appartenenza alla Cgil non vela la capacità di giudizio e di critica che caratterizza Lombardi non meno della sua bonaria ironia e della delicatezza dei sentimenti che improntano la seconda parte del libro, le “quatto cusarelle”, come egli ha pudicamente definito i suoi versi. Dei quali vorrei almeno citare quelli dedicati a sua moglie:

È notte. Duorme ancora

ma 'nfaccia'a tte

i' veco già ll'aurora!

addò stanno, allora

'e sittant'anne tuoie

dimme, addò stanno?

'0 tiempo pe'tte

nun è passato

e i' saccio pecché:

si sempe bella

'o tiempo s'è fermato!

 

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