Pensioni, una riforma per fare cassa che non elimina la gobba previdenziale
Per rendere sostenibile il sistema sul lungo periodo è indispensabile allargare al più presto la base produttiva
Dal 1 gennaio 2012 è operativa la riforma delle pensioni che prevede l'aumento dell'età pensionabile per le pensioni di vecchiaia e l'abolizione delle pensioni di anzianità contributiva. Le nuove prestazioni pensionistiche saranno denominate semplicemente “pensione di anzianità” e “pensione anticipata”. La riforma non trova applicazione per: a) i lavoratori che maturano i requisiti previsti dalla vecchia normativa entro il 31 dicembre 2011; b) le lavoratrici donne (autonome e dipendenti) con una anzianità contributiva di almeno di 35 anni (1840 contributi settimanali) ed una età anagrafica di 57 anni per le lavoratrici dipendenti e 58 per le lavoratrici autonome (artigiane, commercianti, eccecc.). Per queste ultime, fino al 31 dicembre 2015 è prevista la possibilità del diritto a pensione di anzianità, a fronte della scelta del sistema di calcolo della prestazione secondo il sistema contributivo e comunque con una decorrenza della prestazione entro il 31 dicembre 2015. Per la generalità dei lavoratori, fatta eccezione per le lavoratrici di cui al paragrafo precedente, tutti i contributi maturati a partire dal 1° gennaio 2012 saranno utili esclusivamente per avere diritto a pensione calcolata con il sistema a “calcolo contributivo”. Tale sistema, a differenza del precedente che si basava sulla media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni della vita lavorativa, tiene conto della totalità dei contributi versati durante l'intera vita lavorativa coperta da contribuzione. Pertanto, quei lavoratori che avrebbero avuto diritto ad usufruire di una pensione calcolata esclusivamente con il calcolo retributivo (tutti quelli che avrebbero maturato il diritto dopo il 31 dicembre 2011) avranno una pensione calcolata con entrambi i sistemi di calcolo.
Le donne iscritte all'AGO e forme sostitutive, a partire dal 1° gennaio 2012, conseguiranno a 62 anni ed entro il 2018 si dovrà arrivare a 66 anni di età. Dalla stessa data, per le lavoratrici autonome e le iscritte alla Gestione separata, l'età pensionabile è fissata a 63 anni e 6 mesi e per il 2018 a 66 anni di età. Le donne del settore pubblico iscritte a Fondi esclusivi dal 1° gennaio 2012 potranno conseguire la pensione di vecchiaia a 66 anni. Gli uomini del settore privato e pubblico, sia dipendenti che autonomi, già dal 2012 necessitano, per avere diritto a pensione, 66 anni. Per tutti, il requisito minimo per avere diritto a pensione è di almeno 20 anni. È stato abolito il meccanismo delle quote così come la finestra di scorrimento di 12 mesi di attesa (finestra mobile), pertanto la decorrenza della pensione dal 1° gennaio 2012 è fissata dal primo giorno del mese successivo alla maturazione del requisito.
L'attività di lavoro dipendente è incompatibile con il diritto a pensione, mentre è compatibile quella di lavoro autonomo. Per chi chiede la pensione anticipata prima dei 62 anni, la quota del trattamento pensionìstico maturato entro il 1° gennaio 2012 viene decurtato del 1% per ogni anno in meno al 62, tale riduzione sale al 2% per ogni ulteriore anno successivo ai primi due. E' escluso dalla riduzione chi matura il requisito dell'anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017. Aspettativa di vita Da 62 a 70 anni il pensionamento sarà flessibile applicando dei coefficienti di rivalutazione del capitale accumulato con il metodo contributivo fino ai 70 anni, fermo restando le norme ordinamentali del pubblico impiego. I lavoratori del settore privato che maturano entro il 31 dicembre 2012 quota 96 (36 anni di contributi e 60 anni di età oppure 35 anni di contributi e 61 anni di età) possono andare in pensione anticipata al compimento dei 64 anni di età. Le lavoratrici del settore privato che maturano 20 di contribuzione entro il 31 dicembre 2012 e che hanno raggiunto alla stessa data almeno quota 60 potranno andare in pensione anticipata al compimento dei 64 anni di età. Per il 2012 e 2013 è previsto il blocco dell'adeguamento all'inflazione per i trat tamentl pensionistici che superano €. 1.402,00 nell'anno 2011. Queste essenziali annotazioni sulla riforma delle pensioni, tradotte in cifre, fanno comprendere come siamo di fronte ad una “riforma epocale”, che facendo cassa cambia strutturalmente il rapporto tra età pensionabile, modalità di calcolo e rendimento. "Riforma epocale" ma forse epocalmente negativa per milioni di lavoratrici e lavoratori pubblici e privati. Il risparmio è stato quantificato nell'ordine di 40 miliardi all'anno, e poiché le proiezioni in campo previdenziale vengono fatte sul lungo periodo (minimo trenta anni) siamo di fronte al più gigantesco trasferimento di risorse che si conosca (1.200 miliardi) al debito pubblico. Così, sotto l'onda d'urto della crisi economica e finanziaria della globalizzazione, si è fatta un'operazione che cambia in radice uno dei pilastri fondamentali dello stato sociale.
Si poteva fare di più? No! Si poteva fare meglio? Sicuramente sì, e sul meglio dovranno cimentarsi i sindacati e le forze politiche presentì in Parlamento. Questione demografica e questione produttiva condizionano profondamente l'assetto delle pensioni dì un paese. In molte aree del Nord Italia il tasso di natalità è zero, e fa da corrispettivo ad un generale allungamento delle aspettative di vita, più lunghe per le donne, meno per gli uomini. Questo produrrà una gobba demografica mai quantificata esattamente che potrebbe minare alle radici il sistema pensionìstico attuale. Il nostro sistema infatti è universalistico, solidaristico e a ripartizione. I lavoratori attivi pagano le pensioni in rapporto ottimale di tre a uno attraverso un patto intergenerazionale garantito dallo Stato. Oggi i conti dell'Inps sono tenuti in ordine dai versamenti degli immigrati e dei lavoratori precari. Qualsiasi ipotesi di riforma pensionistica non può prescindere da questi dati di partenza, in particolare dall'allungamento dell'età. Scalini e scaloni, gradualità ed immediatezza sono stati le modalità con le quali governi di centrosinistra e centrodestra hanno gestito l'allungamento dell'età pensionabile. La gradualità tiene d'occhio l'equità, l'immediatezza bada solo alla cassa. Nella riforma Monti-Fornero, l'opzione prevalente è stata quella del fare cassa per fronteggiare l'immane debito pubblico. Se correliamo la riforma pensionìstica con quella degli ammortizzatori sociali, che ne riduce il tempo e il grado di copertura, si spiegano gli esodati ma anche gli effetti sociali dì un combinato disposto micidiale per le persone. Se non sì allarga la base produttiva creando un rapporto virtuoso tra attivi e pensionati il sistema pensionìstico sarà sempre un fiore di cactus esposto ai venti del deserto.
Le pensioni inoltre devono aderire al mercato del lavoro di cui sono espressione. L'età pensionabile non può essere uguale per tutti ma va flessibilizzata in relazione alle tipologie lavorative. Stabilita una soglia minima contributiva ed una socialmente accettabile di uscita, i rendimenti devono essere variabili a seconda degli anni di contribuzione. Servono incentivi alla permanenza e disincentivi per quelli che vanno via prima. Equità e sostenibilità sono garantiti e si rispettano le differenze (il minatore non è uguale all'insegnante, l'edile non è uguale all'impiegato del catasto). Lo scopo di queste proposte è quello di contribuire alla fuoriuscita dalla legislazione d'emergenza che sta caratterizzando il nostro Paese. Guardare oltre, fare “qualcosa di sinistra” vuol dire non considerare, come è adesso, “riforma” una parola malata perché evoca tagli e riduzioni delle tutele e dei diritti. Essa deve tornare al suo significato originario: cambiamento, miglioramento seppur graduale e progressivo. Vale per le pensioni ma anche in tutti gli altri campi.
Paolo Giugliano, Presidente Ires Campania Formazione & Ricerca
Ernesto Borga, Funzionario Vigilanza Inps
Anno X | n. 3/4 | maggio-agosto 2012