La fobia del crollo.

Gianni De Falco, Paolo Giugliano.

 

al cinema “piovono polpette”, a Napoli balconi e cornicioni. Ora più che mai va diffondendosi la fobia del “crollo” dopo il triste episodio di Salvatore, il quattordicenne di Marano colpito, in via Toledo, da calcinacci staccatisi dalla facciata della Galleria e dal ferimento di una donna per il crollo di una consistente parte del cornicione di un palazzo di via Torino, nei pressi della Stazione Centrale. Due luoghi quasi agli antipodi della città storica ma accomunati dalle caratteristiche strutturali e di vetustà del tessuto immobiliare: costruzioni di fine ottocento in tufo. La città di Napoli, soprattutto nella sua parte centrale, è caratterizzata da questa tipologia edilizia risalente all’intervento del Risanamento che intervenne pesantemente, con abbattimenti, costruzione di nuovi percorsi stradali e nuovi edifici tentando di modificare quel “Ventre di Napoli” descritto da donna Matilde Serao. Ma il centro della città conserva ancora moltissimi manufatti di epoca ancora più tarda: la zona dei “quartieri” del cinque-seicento, il centro antico, la zona dei borghi, le quinte di via Foria, la zona del Pallonetto. Contemporanee, o quasi, all’area del Risanamento gli interventi del Vomero vecchio e di Posillipo (quello verde). Più recenti gli interventi di Fourigrotta, del nuovo Vomero, della mezza costa di Posillipo e di gran parte delle periferie. Ma anche queste aree non sono avulse dal problema crolli. Ce ne sono stati molti in un passato neanche troppo lontano. È il problema della manutenzione che manca, che non si sa chi debba realizzarla, che costa, costa troppo! Nel momento in cui si registra l’incidente se ne (ri)parla per un po’ e, qualche volta, in qualche modo, qualcuno cerca di porre rimedio. In questi giorni, immediatamente dopo l’incidente di via Toledo, nella parte storica (o comunque più antica) di Piazza Garibaldi e delle sue zone più vicine, per incanto, gli edifici si sono colorati grazie alla presenza di “reti di protezione” verdi o blu, per la maggior parte in plastica e fil di ferro, collocate sotto i balconi, o sotto i grandi cornicioni dell’ottocento, o ancora sotto le solette in cemento (già consumate e “spolpate” dei loro intonaci) dei più moderni edifici. La loro utilità è pari allo zero, infatti, per come sono collocate (per la maggior parte con chiodature) non sarebbero in grado di trattenere nessun grande peso che possa staccarsi per precipitare e, anzi, precipiterebbero anche loro trascinandosi altri pezzi di intonaco per via dello “strappo” che potrebbero ricevere. Oltretutto, in presenza di cedimenti impedirebbero a pietrine e polveri di precipitare ed essere quindi percepite come “allarme”. Intanto, chiunque, alzando per una volta lo sguardo al cielo può rendersi conto dello stato di tutte le emergenze dei vari palazzi. Il problema delle solette dei balconi (che pure c’è) è sovrastato dalla situazione dei cornicioni, che rappresentano, per aggetto (sporgenza), volume e peso, il più grave pericolo: consumati dalle intemperie, in gran parte già con problemi di distacco, in più punti spaccati dalle radici delle erbacce che vi crescono rigogliose, impregnati d’acqua (e quindi più pesanti di quel che dovrebbero). Chi può, chi deve intervenire? Certo non sono di alcuna utilità le reti e allora come intervenire? Bisognerebbe tracciare un programma di manutenzione straordinaria del patrimonio immobiliare a cominciare da quello pubblico (a proposito avete guardato i cornicioni della ex Pretura di piazza S. Francesco e quelli del vecchio Tribunale di Castel Capuano?) obbligando, se serve, ad un intervento capillare sul patrimonio privato. Ci si accorgerebbe che il costo di questi interventi (non solo economico) sarebbe sempre più basso ed irrilevante di quello della vita di un giovane ragazzo che per caso e a quell’ora si trovava in una via nel momento in cui un grosso pezzo di pietra o di pesante intonaco si staccava da un edificio storico della nostra città. Gianni De Falco, coordinatore generale Ires Campania. Paolo Giugliano, presidente Ires Campania.

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