La buona scuola. Le cattive riforme.

Paolo Giugliano

 

Dl scuola si parla ad ogni inizio di ogni anno scolastico (tagli,precari, edilizia, dispersione),in autunno segue il rito stagionale delle occupazioni studentesche, analizzate più per evitarle che per comprenderne le ragioni, a fine anno scolastico si consuma la liturgia degli esami, quelli che non finiscono mai,che creano ansia solo per il voto ottenuto perché il loro esito è

ampiamente scontato.

Intanto nell'indifferenza generale languono i problemi degli insegnanti, i quali mentre cercano di rendere più accattivante e moderno il loro insegnamento, sono stretti dalla necessità di portare a temine il programma.

A nessuno interessa che milioni di alunni frequentano la scuola più per consuetudine  che per convinzione e che le famiglie italiane, pur preferendo la scuola pubblica a quella privata, hanno nei suoi riguardi un rapporto più conflittuale che collaborativo.

La politica è sempre intervenuta a gamba tesa sulla scuola con riforme calate dall’altro che non hanno mai prodotto reali cambiamenti. È accaduto così che la buona scuola sia andata avanti indipendentemente dalle cattive riforme e che la cattiva scuola sia rimasta impermeabile  a quanto accadeva dentro e intorno a sé. Tra queste una in particolare ha riguardato l’assetto organizzativo della scuola con I’ obiettivo di superare un centralismo ministeriale che non aveva più ragione di essere. Alle scuole italiane è stata conferita  autonomia finanziaria,organizzativa, didattica e di sperimentazione perché ero - gassero un servizio scolastico differenziato, più aderente ai bisogni educativi degli alunni di un determinato territorio. Corollario a tutto questo è stata l’istituzione di una dirigenza scolastica più orientata ai risultati che al rispetto formale delle norme e  dotata per questo di maggiori responsabilità e poteri gestionali. Niente di tutto questo è accaduto, infatti il ministero dell’ lstruzione è rimasto uguale, le direzioni scolastiche regionali che dovevano superare le vecchie prefetture scolastiche (i provveditorati) sono diventate tanti ministeri bonsai e le scuole autonome,prive di risorse e di personale, non sono in condizione di gestire i compiti loro assegnati e vivono una condizione di caos calmo. A dimostrazione che il centralismo non è una distanza geografica, ma una logica di governo.

In questa situazione di "non più e non ancora” le burocrazie non riescono più ad essere garanti della continuità e della stabilità del sistema scolastico,perdono anch'esse continuamente colpi come dimostrano le vicende di questi giorni relati

ve alle nomine dei vincitori dei concorsi.

I governi che si sono succeduti in questo paese hanno dimenticato che la scuola non è solo governo (autonomia, ministero,organi collegiali), ma anche struttura (ordinamenti) e cultura (i programmi) e se non si interviene sinergicamente su questi tre elementi si possono provocare più guasti di quelli che si vogliono riparare.

Alla scuola servono urgentemente idee, strumenti e risorse per ridefinirne la mission- Una cosa è certa: il maggior investimento in questo settore va fatto sugli insegnanti, sul loro reclutamento,sulla loro professionalità, sulla loro valorizza

zione sociale.

I docenti non sono semplici operatori applicati ad un lavoro intellettuale di massa, ma professionisti della formazione la

cui crisi va al di là delle dinamiche sindacali e superarla è interesse dell’insieme società. 

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