Lettera aperta a Mariachiara Carrozza e Marco Rossi Doria

Paolo Giugliano

 

Carissimi per voi inizia un lavoro complicato e difficile; provare a cambiare in meglio la scuola Italiana.

Un mastodonte a legame debole, come lo definisce la sociologia composto da oltre 13000 mila istituzioni scolastiche un milione di operatori , ottomilioni di studenti.

Una scuola che Sabino Cassese, autorevole giurista definisce “ senza qualità e senza merito” .

Ma che tipo di merito e di qualità dovrebbe esprimere un istituzione dai connotati incerti e dalla missione sfocata?

 Il suo compito è quello di trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio di sapere e valori a cui è giunta una determinata società per assicurarne la riproduzione e l’evoluzione.

Prima tutto era più semplice. La scuola era l’unica agenzia formativa deputata a questo compito, oggi nel tempo della comunicazione diffusa quali sono i contenuti da trasmettere a ragazzi già alfabetizzati dai mas e personal media?

Ragazzi che tra l’altro mutuano gran parte dei loro modelli  (dis)valoriali da quella cattiva maestra “ che secondo il filosofo Karl Popper  è la televisione.

  1. sono le risposte che si sono avute a questa vera e propria domanda di senso che attraversa la scuola, da parte di insegnanti sull’orlo di una crisi di ruolo e di nervi.

Una tecnica, l’altra sociale.

La prima: c’è chi si è rinchiuso nell’orto delle proprie competenze pedagogiche e didattiche perché ritiene che il compito del docente sia solo quello di istruire nella convinzione, che socializzare sottrae tempo allo studio.

La seconda : c’è chi prova a dare risposte educative alle complesse patologie della modernità ( aids, tossicodipendenze ,bullismo ) per rendere più appetibile la scuola a una platea più vaste ed eterogenea del passato.

Due “A” ( apprendimenti e atteggiamenti) che denotano  idee diverse di essere e fare scuola.

Se non si parte da qui parlare di merito e di qualità rischia di diventare un mero esercizio retorico.

Alle nostre spalle abbiamo decenni di “riforme invisibili” portate avanti dai ministri che si sono succeduti a i Viale Trastevere,  riforme che non hanno prodotto risultati concreti.

E’ accaduto così che le buone riforme hanno lasciato intatta la cattiva scuola e che la buona scuola sia andata avanti indipendentemente dalle cattive riforme.

I genitori continuano a preferire la scuola pubblica a quella privata, ma non sono soddisfatti del suo funzionamento.

 Gli studenti vivono la scuola come una necessità piuttosto che un valore e uno strumento di promozione sociale.

Gli insegnanti oscillano generosamente fra l’assillo di essere moderni e accattivanti e l’angoscia del programma da rispettare. Insomma un’Istituzione stressata in bilico fra rassegnazione e speranza.

Che fare?    

Per cambiare occorre intervenire contemporaneamente sulla struttura (gli Ordinamenti , la cultura ( i programmi) e sul governo ( ministero, organi collegiali autonomia scolastica) del sistema .

 Rivelatesi improponibili le ricette illuministiche del centro sinistra perché non sono pensabili riforme senza “popolo” che facciano a meno cioè del protagonismo e delle condivisione dei docenti.  

Altrettante sbagliate le formule del centro destra che in nome di un astratta libertà di scelta  portavano a più disuguaglianza e più discriminazione sociale. Dobbiamo tutti insiemi ridefinire un idea di scuola. La ripartenza poggia su tre  motori: lo studente al centro del sistema, soggetto di diritti ma anche di doveri. L’insegnante professionista della formazione e non intellettuale massa da assimilare all’impiegato pubblico. Il territorio inteso come luogo vissuto e non solo abitato che esprime precise domande di istruzione e formazione che la scuola deve saper cogliere ed interpretare. Forse i  progettualisti  riterranno minimali questi propositi, credo invece si tratti di indicazioni  che se rispettate potrebbero vaccinarci da fallimenti che , al punto in cui siamo non possiamo più consentirci.

 In questo quadro c’è la scuola del mezzogiorno. Ma non è un’altra storia se trattata con la logica della discriminazione positiva ( dare di più a chi ha di meno)sapendo di riconoscere le differenze ed adeguare ad esse gli  interventi.

Riusciranno i nostri eroi? 

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