Il pensiero cattolico

A distanza di venti anni dall' ultima riflessione complessiva sui problemi del Mezzogiorno l'episcopato meridionale, su iniziativa del cardinale Crescenzio Sepe, si reinterroga - nel convegno dei vescovi meridionali appena concluso - sui travagli socio-economici delle nostre regioni. E lo fa forte del patrimonio culturale del meridionalismo cattolico, tanto influente e autorevole venti anni addietro, quanto secondario e marginale è divenuto oggi. Non tanto per demeriti propri: la globalizzazione e il prevalere di una visione del tutto disinteressata ai contenuti etici dei modi di produzione e di distribuzione del reddito rende i principi di solidarietà e d' inclusione sociale fastidiosi orpelli da affrontare, solo e per necessità, solo in caso di scadenze elettorali. E il cardinale Sepe, da sempre attento alla seminagione mediatica, ripropone il tema della possibilità di una valutazione "cristiana" del meridione attuale e di quanto, a partire da essa, sia possibile invertire la tendenza alla definitiva rimozione della questione meridionale. Una tendenza, sulla quale si è soffermato l' economista di riferimento del convegno Piero Barucci, che è possibile datare, all' incirca, proprio alla fine degli anni Ottanta, ovvero proprio quando l' episcopato italiano s' interrogava sul destino del Mezzogiorno. Era il periodo della caduta del Muro di Berlino e dell' unificazione tedesca, allorquando gli statisti cattolici della Repubblica Federale, con Helmut Kohl in testa, scoprirono l' esistenza del proprio mezzogiorno: gli inquinati e inefficienti Laender della Repubblica Democratica. Allora, contraddicendo pubblicamente le severe posizioni della banca centrale tedesca, la famigerata Bundesbank, Kohl originò la più gigantesca redistribuzione di reddito territoriale dell' ultimo cinquantennio a favore delle regioni orientali. Non fu sempre un' operazione efficiente, ma pur tuttavia funzionò: oggi il "mezzogiorno tedesco-orientale", come dicono sdegnati i banchieri di Francoforte è praticamente scomparso. Ma non solo la Germania: gli anni Novanta testimoniano della più radicale presa di posizione della Chiesa nei confronti del debito accumulato dai paesi del Terzo Mondo verso banche e istituzioni internazionali. Allora Giovanni Paolo II, significativamente in solitaria compagnia di Bono Vox degli U2 e di Bob Geldof, fu promotore di un' inascoltata campagna di cancellazione o, almeno, di moratoria degli oneri contratti da quei paesi razziati dal "mondo libero" e incapaci di pagare gli interessi sugli interessi dei debiti. In sintesi: nel momento in cui, in Germania o nell' audience globale, l' economia politica cattolica assume rilevanza operativa o mediatica, in Italia essa s' incammina, tristemente e inesorabilmente, verso il viale del tramonto. Non che essa mancasse da noi di autorevoli padri putativi o di un armamentario dottrinale poco raffinato: Pasquale Saraceno, la Svimez, un segmento della Dc avevano, nel trentennio precedente, teorizzato il principio cristiano di solidarietà e di "aggiustamento" delle distorsioni del mercato. Ma si trattava di armi spuntate: la crisi della Prima Repubblica, il progressivo insorgere di una fantomatica questione settentrionale, il tracollo delle imprese a partecipazione statale, che della politica economica sociale di mercato erano state il braccio operativo, sono tutte concause che determinano la messa in soffitta del pensiero cattolico sul Mezzogiorno. Di quella visione vengono meno i presupposti fondanti: la solidarietà è possibile in una società che crea risorse aggiuntive ed è disponibile a distribuirne una parte. E purtroppo con la visione solidale si accantona anche, piaccia o no, il meridionalismo. Dopo venti anni, dunque, Sepe riprende la riflessione su questi temi. Il suo argomentare è, come vi era da aspettarsi, poco economicistico, ma non per questo meno efficace. Supplendo, che lo voglia o no, al vuoto istituzionale di certa classe politica locale, il cardinale riafferma taluni punti che sono meritevoli di riflessione. Il primo: il dramma economico del Mezzogiorno preesiste e prescinde dalla drammaticità della crisi attuale. Ancora: lo smarrimento delle proposte attuali è tale che è persino difficile discettare sulla questione meridionale. Infine: nessuna ricetta, locale o nazionale che sia, può sperare di funzionare se non farà presa sulla speranza nel futuro, specie di quei giovani che si affacciano sul mondo del lavoro e dell' agire sociale. Proviamo a tradurne il messaggio nella triste terminologia economica: lo stallo meridionale preesisteva alla crisi in ragione di un deficit istituzionale mai attento al contrasto dell' egoismo e del deserto dei valori. Non ci s' illuda che una ripresa dell' economia nazionale possa trascinare con sé le regioni del sud: o si rifondano le regole del vivere quotidiano o bullismo, egoismo e distorsioni continueranno a essere i (dis) valori di riferimento.

Repubblica Napoli 16 febbraio 2009.

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