I calcoli sbagliati sul costo della vita

Così come la musica, anche l’economia ha i suoi tormentoni estivi. Talora si tratta di nuove mode, una sorta di “Vamos a la playa” materializzatasi, ad esempio, negli anni passati nel dibattito sul potenziale inflazionistico della conversione in euro delle vecchie lire in cui i fratelli Righeira si trasmutavano nel ministro Tremonti; altre volte si tratta di remake, con il quale una vecchia canzone, in voga trent’anni prima, è ripresentata con un arrangiamento modificato. È il caso di questa estate: è bastato che l’Istat divulgasse qualche informazione sull’andamento dei prezzi al consumo nell’ultimo trimestre e che il ministro Calderoli, tra un brindisi e l’altro nelle ruspanti feste padane, ne fosse informato perché i juke-box mediatici s’inondassero di commenti estemporanei e, molto spesso, meritevoli solo di un test di etilometro per gli esternatori. Il tema, il lettore ci perdoni l’ennesima intrusione, è quello delle gabbie salariali, ovvero della possibilità che i salari monetari di una macroregione, nel nostro caso il Mezzogiorno, siano agganciati all’andamento del costo della vita in loco. Il sillogismo in voga è apparentemente lineare: poiché il livello dei prezzi è più basso al Sud rispetto al Centro-Nord, sarebbe equo che le retribuzioni meridionali siano differenziate dalla Padania e caratterizzate da una dinamica più contenuta.

Repubblica NAPOLI, 18 agosto 2009

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