Il governo della città e l’economia immobile

La ripresa del lavoro a settembre, dopo le vacanze estive, assomiglia, in economia, a quel che succede nei cenoni della vigilia di Natale: tra un pezzo di capitone ed una porzione d’insalata di rinforzo si ripensa a quanto è successo nel corso dell’anno; si leggono letterine fulgenti di buoni propositi; si finisce inevitabilmente con il bisticciare tra “parenti serpenti”. E Napoli, che di riti vive, non si sottrae al cerimoniale. Le vicende recenti dell’economia urbana e regionale sono sotto la lente di politici e media. Si ribadisce un prolungato stato di stagnazione dell’economia nazionale, solo parzialmente ascrivibile all’intonazione ciclica dell’economia internazionale, ma fortemente dipendente dalle scelte di politica economica dell’esecutivo nazionale; persiste una situazione di recessione nelle regioni meridionali, compresse, come ci ricorda la Svimez, dall’indebolimento dei consumi e dalla stagnazione degli investimenti privati che la spesa pubblica riesce sempre meno a compensare. In questo quadro di fondo i buoni propositi rischiano di costituire un esercizio intellettuale poco credibile: è del tutto illusorio pensare che, nel breve periodo e allo stato attuale dell’arte, il tasso di disoccupazione possa diminuire significativamente, che la crisi strutturale delle piccole e medie imprese registri inversioni di tendenza o che, infine, si risolvano i drammatici problemi della zona nord-orientale della città. Meglio sarebbe se l’esecutivo locale sostituisse, alla litania di buoni propositi e all’enunciazione d’interventi faraonici, un piano concreto d’interventi che partisse da constatazioni realistiche. La prima: a Napoli, come in Campania e nel Mezzogiorno, i legami tra economia e politica sono assai più radicati che altrove. Si tratta di legami nobili e meno nobili, tipici, tuttavia, di una struttura produttiva in cui il ruolo del settore pubblico nella determinazione delle scelte produttive è inevitabilmente preponderante. Tralasciando tutto ciò che a che fare con il codice penale, ciò fa sì che quei pochi imprenditori privati che vogliano programmare attività di non brevissimo periodo necessitano di sapere con quale esecutivo, e con quale responsabile dell’esecutivo, avranno a che fare negli anni futuri; checché se ne dica Margherita non èeguale a Democratici di Sinistra, Forza Italia non è fungibile ad Alleanza Nazionale. È la scoperta dell’acqua calda, vero, ma se i partiti della coalizione di governo cittadino decidessero in breve tempo il nome dell’aspirante primo cittadino alle prossime elezioni il clima economico della città ne guadagnerebbe di certo. Una seconda constatazione: piaccia o non e funzioni o non, gli unici fondi aggiuntivi che sono stati immediatamente immessi nel circuito cittadino e provinciale di spesa negli ultimi anni sono costituiti dalle spese turistiche. È una triste constatazione per chi ha sempre considerato il turismo complementare e non alternativo alle produzioni manifatturiere avanzate, ma tant’è . E se turismo siamo costretti a produrre e ad offrire, lo si faccia con qualche atto di furbizia in più. Il turista è scioccato dalla nostra città ben prima che nei salotti buoni delle piazze cittadine del centro sia scippato dal motorino: è sconvolto dalla disorganizzazione dal clima da casbah di Capodichino, dalle buche sul manto stradale di Via Marina, dal numero di automezzi privati che circolano sulle corsie preferenziali. È ben poco, ne siamo consapevoli, come politica di attrazione turistica: sarebbe più elegante ricordare l’importanza di un aeroporto alternativo, Grazzanise, di servizi shuttle verso i grandi alberghi, di severo controllo tariffario sulle strutture ricettive, di bando totale alle due ruote nel centro storico; ma l’arte del possibile deve prevalere sulla megalomania del futuribile. Un’ultima constatazione, ma forse quella prevalente: Napoli registra uno dei tassi d’inflazione più elevati d’Italia. Si tenti, con urgenza ed efficacia, di minimizzare quella componente dell’aumento dei prezzi sulla quale è possibile intervenire localmente. La specificità della maggiore inflazione locale è determinata da un triplice ordine di motivi: prezzo dei trasporti locali, assicurazioni e fitti nell’area urbana. Si evitino i tristi e vacui riti degli accordi con le associazioni di categoria; si potenzino gli osservatori sui prezzi; si apra un contenzioso vero con le imprese di assicurazione rifuggendo dalla convenzionalità inutile dei codici d’autocomportamento; non si continuino ad aumentare le tariffe dei trasporti locali sfruttando la rigidità della domanda. Contenere l’inflazione è anche un modo per frenare una tendenza “sudamericana” alla distribuzione del reddito tra le nostre classi sociali. Siamo, sì, confinati alle minimalia dell’arte del possibile, ma le piccole cose hanno, almeno, il vantaggio della constatazione immediata delle responsabilità.

Repubblica NAPOLI, 02 settembre 2005

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