Depresso il bancario che consiglia titoli sbagliati

E Freud fece capolino nelle aziende di credito. Una ricerca condotta dal sindacato dei bancari aderenti alla Cgil, con il patrocinio del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl di Napoli ci informa che il lavoro condotto è fonte di stress e depressione, specie per alcune figure di bancari. I risultati dell’indagine, di per sé, potrebbero non apparire sconvolgenti. Nessun lavoro che si rispetti, nella realtà meridionale odierna, è esente da un qualche grado di tensione emotiva: non è sicuramente rilassato il lavoratore di un call-center che può essere informato della indisponibilità dell’azienda ad utilizzare le sue prestazioni solo tramite un sms la sera precedente; non riteniamo che faccia sonni tranquilli un lavoratore che di questi tempi si trovi a lavorare in una qualche fabbrica dell’indotto della Fiat. Il settore bancario, tuttavia, presenta aspetti peculiari: se in altri settori può capitare che un dipendente, ad esempio della Pubblica Amministrazione, entri in contatto con una clientela rilassata e propensa a rapporti positivi con il resto dell’umanità, l’operato del sistema creditizio nel Mezzogiorno è oramai fonte di angoscia e di tensione per la totalità della clientela con cui viene in contatto. Il sistema creditizio meridionale ha subìto mutazioni considerevoli nell’ultimo decennio: il numero di banche con sede legale nel Sud si è dimezzato per acquisizioni di intermediari non locali; i ricavi si sono diversificati poiché sempre meno incidono gli impieghi alle imprese a favore dei servizi finanziari e dei nuovi prodotti offerti alla clientela. A seguito di questi mutamenti la redditività delle banche meridionali ha registrato una significativa ripresa, registrando, nel 2003, utili lordi pari al nove per cento, circa, del capitale. Il dato non può che rallegrare quanti hanno a cuore le sorti dell’imprenditoria, industriale e finanziaria, delle nostre regioni; tuttavia i costi economici, sociali e, perché no, psicologici del ripristino della redditività non vanno trascurati. Il tradizionale, ruspante rapporto di clientela tra il responsabile di agenzia, il depositante o il piccolo imprenditore è venuto meno: se prima l’alternativa al deposito bancario era costituita, eccezionalmente, dai titoli di stato o da obbligazioni di imprese reputate, oggi per l’addetto commerciale della banca il risparmiatore deve essere considerato come un potenziale speculatore, non una «vedova», come si indica in gergo nei mercati finanziari anglosassoni un soggetto avverso al rischio. Al risparmiatore va solleticata la «pruderie» speculativa esibendo attività finanziarie ed elevata volatilità di rendimento, spesso tramite la recita di un rosario di tecnicismi e di anglicismi che hanno come fine ultimo quello di far sentire del tutto «retrò» e «demodé» gli impieghi tradizionali in depositi e titoli. Non è un caso che nella ricerca del sindacato bancario compaia, quale fonte di stress, l’effetto «pacco», e cioè la mancanza di convinzione sulla bontà del prodotto da vendere. Dal lato degli impieghi le fonti di tensione non sono da meno: il piccolo imprenditore, privo di più che robusti requisiti patrimoniali, che tentasse di ricorrere al finanziamento bancario per un qualche nuovo investimento, non avrà più come controparte un direttore di filiale cui perorare la bontà del progetto, esercitando retorica e ottimismo; la sua richiesta sarà inviata alla «routine» del computer della «sede centrale» che, immancabilmente, esprimerà un responso negativo. Inutile rivolgersi ad un’altra banca: per accordi il «rating» di un cliente è patrimonio interbancario comune. La presunta relazione neutrale e impersonale del sistema bancario attuale è dunque quanto di più soggettivo ed umanamente perverso si possa immaginare: per il cliente che della banca percepisce la tendenza antagonista e non più collusiva e per il bancario che, suo malgrado, del nuovo banchiere è cinghia di trasmissione. Non sarebbe una cattiva idea se le banche organizzassero «setting» gratuiti di psicoterapia di gruppo per dipendenti e clientela. Rigorosamente, come è ovvio, dopo gli orari di ufficio.

Repubblica NAPOLI, 10 marzo 2004

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