La centralità del servizio sanitario nazionale pubblico.

La centralità del servizio sanitario nazionale pubblico.

A cura di Gianni De Falco, presidente Ires Campania.

tratto da: In salute, giusta, sostenibile. Ripensare l'Italia dopo la pandemia. sbilibri21. 2020.

 

corsia-barella-sanita-ospedaleAll’interno del sistema di welfare l’Italia vantava uno dei sistemi sanitari più avanzati in Europa, un sistema pubblico e universale che ha portato gli italiani ad avere una delle più alte speranze di vita del mondo, pur con un finanziamento inferiore a quello di paesi più avanzati. Quello che ha permesso al Servizio Sanitario Nazionale di reggere di fronte all’epidemia sono state le sue radici culturali e deontologiche, la sua natura di servizio pubblico definita dalla riforma istitutiva del 1978, la motivazione del personale della sanità che opera in questo contesto a tutela della salute di tutti.

Tutto questo è avvenuto nonostante le spinte alla privatizzazione della sanità di questi decenni, una strada sbagliata e pericolosa. La sanità privata è stata del tutto irrilevante di fronte all’epidemia e dove più si è sviluppata, come nella Regione Lombardia, più grave è stata l’incapacità di dare risposte all’emergenza.

Anche la frammentazione regionale del servizio sanitario ha portato a crescenti, gravi divari nelle prestazioni e nelle capacità d’intervento; andrebbe discussa una riorganizzazione su base nazionale.

Intorno alla salute ruota una parte importante delle attività del paese. La salute è al centro della parte più dinamica della ricerca scientifica, dell’innovazione nelle biotecnologie, dell’industria farmaceutica, delle produzioni di apparecchiature elettromedicali, dell’uso di tecnologie digitali, di servizi avanzati in vari ambiti. Quest’insieme di attività va considerato come un sistema da sostenere attraverso nuove politiche che, accanto alla spesa per i servizi sanitari, valorizzino e rafforzino le capacità produttive del nostro paese in questi ambiti.

Questo “sistema economico della salute” dovrebbe essere guidato da un’Agenzia nazionale che coordini strategie e investimenti, promuova la ricerca e lo sviluppo di nuove competenze produttive e di servizio, organizzi la domanda pubblica, orienti l’azione delle imprese private, facendo di questo sistema un punto di forza dell’economia del paese.

Interventi specifici sono richiesti per quanto riguarda l’industria farmaceutica e la protezione brevettuale dei farmaci. In questi decenni si è consolidata una forte concentrazione mondiale in poche grandi imprese farmaceutiche, nessuna italiana, e sono cresciute in modo estremo le rendite legate ai brevetti sui farmaci, i quali si basavano largamente sui finanziamenti della ricerca pubblica per la salute. I monopoli farmaceutici hanno portato a un forte incremento della spesa pubblica per farmaci e all’impossibilità per molti paesi, non più soltanto i paesi poveri, di acquistare i farmaci necessari di fronte alle emergenze sanitarie locali, a epidemie come l’Aids, a malattie come l’epatite C. Ora si deve affermare che l’interesse pubblico dev’essere superiore alla logica dei profitti privati. Per il vaccino e le cure contro il coronavirus sono già al lavoro moltissimi ricercatori pubblici, e occorre un accordo preliminare tra governi, ricercatori e imprese farmaceutiche per evitare brevetti privati in questo campo e assicurare l’accesso a tutti a farmaci a basso costo, forniti gratuitamente dai servizi sanitari nazionali. Come già in passato, in Italia si può creare un forte polo pubblico dell’industria farmaceutica, in grado di dare risposte ai bisogni del servizio sanitario nazionale, condizionare le dinamiche di mercato, favorire lo sviluppo della ricerca.

Si deve guardare alla salute non solo su base nazionale. La salute è un diritto e bene pubblico globale perché non può essere prodotto come una merce venduta sul mercato a consumatori individuali e perché è minacciato dalla mancanza di salute (o, appunto, dalla nascita di epidemie) in ogni punto del pianeta. Occorre coordinare le iniziative a livello mondiale attraverso l’OMS e a livello di Unione Europea, stabilendo regole e standard sanitari comuni che aumentino la capacità di prevenzione.

Anche per il sistema sanitario pubblico occorre un significativo aumento di spesa, dall’attuale 6,5% del Pil ai livelli di Francia e Germania che sono di due punti più alti rispetto al Pil.

Vanno ripensate molte politiche sanitarie: occorre puntare a politiche di prevenzione, alla creazione di una rete di presidi sociosanitari a livello territoriale, ridimensionando l’enfasi sulle prestazioni sanitarie e i grandi ospedali.

Le disparità tra regioni vanno rapidamente ridotte: l’aspettativa di vita in Campania è di 2 anni e 6 mesi inferiore a quella del Trentino; il modello regionale del passato che ha portato a tali risultati va riconsiderato. Il settore socio-sanitario, i laboratori di analisi e la riabilitazione sono ambiti ora in gran parte occupati da logiche di mercato; vanno riportati all’interno del servizio sanitario nazionale. Un’altra crisi sanitaria che riceve pochissima attenzione in Italia è quella delle morti e degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali; occorre spostarsi verso produzioni capaci di provocare meno danni alla salute di lavoratori e cittadini e verso un sistema di prevenzione più forte. Nell’attuale sistema sanitario, nonostante la copertura universale, restano ancora gravi disuguaglianze: le persone con livelli più bassi di istruzione, qualifiche e reddito si ammalano di più e muoiono prima degli altri. Un’assistenza sociale e sanitaria ugualitaria ridurrebbe in modo significativo i costi della sanità pubblica.

Nota a margine. Nelle possibili riforme per migliorare il sistema sanitario bisognerebbe traguardare gli obiettivi non esclusivamente all’abbattimento della mortalità registrata a causa del Covid19 (35mila circa dal novembre-dicembre dello scorso anno ad oggi), risolvibile nei termini della durata del virus e della sua diffusione ma, piuttosto, all’abbattimento del dato sulla mortalità per causa di infezioni contratte in luoghi sanitari, non collegato cioè a situazioni straordinarie come per la diffusione del Coronavirus.

L’ISS (Istituto Superiore della Sanità) riporta un dato annuale strutturale, che il sistema si trascina da anni, circa 49mila deceduti in ambiente clinico ed ospedaliero.

Ci siamo scandalizzati e preoccupati per i deceduti da Covid19 e nessuno si scandalizza per quel dato di mortalità intra moenia. Ci si potrebbe anche chiedere, quanti di quei deceduti per Covid19 potrebbero, invece, essere ricondotti ad altra causa? Per esempio a causa di batteri e virus prodotti dalla “terapia” di intubazione, primo protocollo adottato per la cura del Covid19, e successivamente smentita e sostituita da più “banali” farmaci anticoagulanti? Nessuno saprà mai…

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