Napoli est seguiamo l’esempio di Londra

Ci troviamo di fronte ad un momento cruciale del futuro produttivo della città di Napoli. Muoviamo, pur semplificando, da alcune considerazioni. La prima: la possibilità di sopravvivenza e di miglioramento del futuro produttivo di un territorio è strettamente legata alla consapevolezza che la comunità d’appartenenza ha della propria crisi e delle sue determinati. La seconda: una discussione del futuro produttivo che abbia come solo argomento la riaffermazione dei poteri di organismi contrapposti e non collaborativi ha, come unico esito, quello di eliminare l’oggetto stesso del contendere, e cioè lo sviluppo futuro. La terza, e ultima, notazione: progetti che aspirano a modellare il futuro del territorio se prescindono dalla propria storia produttiva per inseguire le chimere del modernismo a tutti i costi sono inesorabilmente votati al fallimento e alla delusione di eventuali aspettative irresponsabilmente alimentate. Proprio in questi giorni riprende animato il dibattito, ci si passi l’eufemismo, sulle modalità d’intervento nella zona orientale della città. È pensabile che la discussione in corso soddisfi i requisiti cui abbiamo appena fatto cenno? Assolutamente no. È certamente vero che la riconversione produttiva di Napoli e della sua zona industriale è tanto più difficile giacché essa è inestricabilmente collegata alla riconversione urbana: l’esperienza dell’ultimo decennio insegna quanto sia stato più difficile, proprio nei grandi centri urbani, la riallocazione tra settori, poiché lì il degrado industriale si coniuga con quello urbano e le scelte di policy non hanno sempre soddisfatto obiettivi talora contrastanti. Ma nella nostra città il ritardo è ancor più preoccupante. È certamente vero che la consapevolezza della gravità del degrado produttivo della zona orientale è unanime e diffusa nelle istituzioni locali: di questa consapevolezza sono state espressioni la formazione di società quali la Società consortile Napoli Orientale nel 1997 e, tre anni dopo, la Napoli Est, società, specie la prima, che ben poco hanno eseguito sul piano della risoluzione dei problemi dell’area e assolutamente nulla nell’individuazione delle strategie di sviluppo dell’area. Di recente Londra, ma siamo sicuri che il paragone sarà immediatamente bocciato in nome del trito rito della complessità e dell’articolazione della nostra città, ha pensato bene di dotarsi, per individuare e dare una gerarchia agli intereventi nella metropoli, di una Development Agency, e cioÈ di una struttura fornita di personale e di fondi, le cui finalità sono state istituzionalmente definite dal mayor della città. L’agenzia di sviluppo, a sua volta, ha ritenuto opportuno effettuare una serie di studi propedeutici agli interventi urbani e produttivi che hanno riguardato il deficit imprenditoriale nelle industrie manifatturiere, la complementarietà tra servizi manifatturieri e servizi avanzati, la centralità del valore aggiunto manifatturiero. L’aggetto qualificativo comune agli studi è manifatturiero. L’avanzata, turistica, innovativa swinging London ha, dunque, ben compreso che il concetto di industria è troppo serio per essere confinato alle banalizzazioni del post-fordismo e della new economy. Saggiamente la municipalità della città crede concordemente che i fondi stanziati e le misure da prendere non debbano riguardare solo l’incentivazione d’iniziative, quelle di ricettività turistica e di rafforzamento del reticolo finanziario. Una seria politica del territorio, afferma il rosso (di capelli) sindaco Livingstone, deve ambire a modellare, e non solo a prendere atto notarilmente delle tendenze in atto; l’economia della città, aggiunge, deve misurarsi con quanto d’essenziale tende a scomparire o fatica a nascere, e cioè il tanto vituperato settore industriale. E l’affermazione è corroborata dagli studi di settori di numerosi economisti. Torniamo a noi. Si costituisca un’agenzia di sviluppo per Napoli Est. All’Agenzia si dia il compito, entro scadenze certe e non procrastinabili, di formulare le linee di sviluppo della zona orientale, sulla base dei vincoli del Piano regolatore. L’Agenzia determini l’ammontare dei fondi necessari per l’attrazione di iniziative locali e non locali ma squisitamente industriali e le implicazioni in termini di crescita del prodotto locale in un orizzonte di medio periodo. Una volta approvate queste linee si passi alla sua esecuzione e se ne assuma la responsabilità politica. Forse quella dell’Agenzia è una proposta ingenua, ma talora l’ingenuità e l’impoliticità di una proposta sono strettamente correlate all’urgenza del fare: le discussioni di metodo e di potere si risolvono, forse, nel lungo periodo ma certamente, diceva Keynes, nel lungo periodo siamo tutti morti.

Repubblica NAPOLI, 18 gennaio 2004

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