Pozzuoli oltraggiata da una politica senza progetti

Così come un’accaldata Pozzuoli, il dibattito sui malinconici destini produttivi della città va in vacanza. È sintomatico che una provocazione, la mia, abbia sortito effetti opposti a quelli prevedibili: una messe, insperata, di contributi e di lettere che riprendono, articolandolo ma mai rigettandolo, il modello dell’inviluppo economico puteolano, ovvero “Monterusciello-metro-movida”; un silenzio assordante dell’esecutivo locale. Ma, come diceva Manzoni, il coraggio chi non lo ha non può inventarselo; ed ecco il cavaliere della Tavola Rotonda di turno, l’onorevole Gambale che, con fraseggio da politichese della prima Repubblica,  ci ricorda che lo scempio di Monterusciello è opera di qualche generazione di politici fa; che la dovizia di fondi destinata a Pozzuoli avviene con la benedizione compiaciuta del governo regionale; che saranno i posteri, ovvero gli elettori, a giudicare l’operato e la correttezza della classe politica locale. A voler essere chiari e sintetici mi permetto di rilevare, ancora, che il keynesismo delinquenziale di Monterusciello si perpetua oggigiorno con pratiche estese di voto di scambio; che l’elargizione generosa di fondi regionali e comunitari, tramite la selva di acronimi Pit-Por-Pun, accomuna nel giudizio negativo la giunta regionale e non costituisce, giammai, una prova a discapito del capitale umano politico puteolano.
È vero: saranno gli elettori a decidere, speriamo nel più breve tempo possibile e non nel lungo periodo. Keynes affermava che nel lungo periodo «siamo tutti morti», con metafora lugubre, ma efficace, per indicare l’incancrenimento dei problemi ove non tempestivamente affrontati. E a Pozzuoli - come ci ricordano tutti i contributi fin qui giunti e che hanno animato questo dibattito, se si eccettua quello del tutto disinteressato dell’onorevole Gambale, eletto in loco con l’appoggio dei partiti di governo della città - la cancrena del blocco sociale affaristico punterà sulla spesa pubblica le proprie speranze di rielezione. In fondo anche il Titanic era ritenuto inaffondabile da armatore e capitano. Poi andò in un altro modo come tutti sanno. È sera: e mentre la disumana allegria della movida si riconosce da rasoiate di fari alogeni e gas di scarico; la malinconica umanità delle carcerate cerca negli scambi di segnali di luce con l’esterno una speranza al proprio futuro. Aveva ben ragione Fabrizio De Andrè, in una delle sue più celebri canzoni: dai diamanti (della spesa pubblica Rione Terra) non nasce niente, dal letame nascono i fiori.

Repubblica NAPOLI, 17 agosto 2005

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