DAL PIANO DI RILANCIO ALLA CRISI. Senza strategia e senza logica.

DAL PIANO DI RILANCIO ALLA CRISI. Senza strategia e senza logica.

Gianni De Falco, presidente Ires Campania. Coordinatore AIM (Alleanza Istituti Meridionalisti).

 

Conte RenziTanto tuonò che piovve. Finalmente è arrivato il piano ed è stato approvato anche su sollecitazione del Presidente Sergio Mattarella.

«Con la professionalità che contraddistingue questo governo e questo presidente del consiglio, più preoccupato a dare video di repertorio per il culto della sua immagine che ai contenuti del progetto per la Next Generation», questa l’accusa che avrebbe condotto Italia Viva e Matteo Renzi per altra via.

Il Piano è stato distribuito in zona Cesarini. Ben 178 pagine che i ministri hanno dovuto studiare in sole 24 ore. La tecnica è ormai nota, meno informazioni e meno tempo diamo, più è facile che passi. D’altra parte non avevano tentato di far approvare la “governance” con un emendamento alla Legge di Bilancio?

Tuttavia, seppure in fase terminale, Italia Viva e Renzi hanno richiesto, ed ottenuto, numerose variazioni. Al culto della persona hanno sottratto le variazioni ma sempre per altra via sono andati.

In conferenza stampa, per far capire l’andazzo, Renzi ha motivato l’uscita dal Governo più per la persona Conte che per i contenuti. Dimenticando una o due cose che so di lui.

Una per tutte la sua promessa di lasciare la politica se non avesse vinto i referendum di riforma costituzionale. Non lo ha fatto ma siccome c’è sempre un destino cinico e baro la politica ha abbandonato lui (Italia Viva = 2%). Colpito da una rara forma di culto per la “sua” immagine, e convinto di non aver raggiunto già l’apice della nefandezza politica, dopo aver lavorato alla avventura PD-M5s, dopo aver piazzato le sue donne ed i suoi uomini nelle sfere del Governo ha poi deciso, dopo, di formare un nuovo partito minando, di fatto, l’alleanza strategica PD-M5s (e Conte) e lo stesso PD (Zingaretti).

Memore della sua affermazione sul nefasto ruolo dei piccoli partiti negli equilibri del Governo della nazione (2017), ha aperto una crisi su cui moltissimi ancora si interrogano sulle motivazioni (in Italia e a maggior ragione all’estero) ha deciso, col suo 2%, di lasciare il Governo ritirando tutte le sue donne e i suoi uomini che prima lì aveva piazzato aprendo una crisi (che avrebbe avuto magari un senso in altri tempi) che se non risolta in poche ore apre prospettive tutt’altro che felici, a fronte di una instabile situazione pandemica (ancora circa 500 morti al giorno) ed economica (aiuti e gestione, a marzo, della scadenza del provvedimento di sospensione per i licenziamenti e la Cassa Integrazione).

Affiancato dalle due senatrici ministri uscenti (Bellanova e Bonetti) ha affermato che esse non potevano essere considerate due semplici “segnaposto” e in un’ora circa di conferenza, nella quale ha tentato invano di spiegare i motivi della crisi, non ha mai concesso loro la parola, segnaposto appunto o belle (mica tanto) statuine.

Torniamo mestamente al Piano che, a nostro parere, soffre di una mancanza di visione.  Sulle pagine del quotidiano economico di Confindustria, De Vincenti e Micossi sottolineano «la carenza degli investimenti logistici ai quali sono dedicati solo 4 miliardi quando sappiamo che essi sono la via maestra per consentire all’Italia, in particolare al Mezzogiorno, di essere protagonista degli scambi europei e mediterranei».

Mancherebbe, quindi, il vero “cavallo di battaglia” per i prossimi anni dell’Italia: la valorizzazione della sua posizione strategica nel Mediterraneo. Interpretando la funzione che gli ha dato la natura: quella di piattaforma logistica del Paese.

In ossequio ad una cultura politica “provinciale” si continuano a potenziare i porti di Genova e Trieste per accontentare le lobby settentrionali, che in una visione bulimica non vogliono cedere nulla.

E’ contro ogni logica? Pazienza, lo fu anche l’atteggiamento di Brenno che, secondo lo storico Livio, sfoderò la sua pesante spada e l’aggiunse al piatto dei pesi, da pareggiare con oro, rendendo quindi il calcolo ancor più iniquo. Fatto ciò esclamò «Vae victis» per significare che le condizioni di resa le dettano i vincitori sulla sola base del “diritto del più forte”.

Così poi altri progetti che potrebbero essere immediatamente cantierabili e che limiterebbero la distribuzione del reddito di cittadinanza al Sud creando lavoro vero, sono introvabili.

Nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) manca quel filo rosso (si può dire “filo rosso”?) che deve attraversare tutti gli interventi e che dovrebbe riguardare lo sviluppo di un terzo del Paese.

Capisco che sia difficile capirlo per chi vive a Cremona e pensa a collegamenti migliori con Milano, non capisco, invece, come non lo comprenda la piccola pattuglia dei Presidenti delle Regioni meridionali che sembrano rappresentare una società inerte e non reattiva, andando avanti con le loro ideologie di “decrescita felice”.

Non lo comprende la nutrita pattuglia dei 5stelle, eletti nelle aree meridionali, migliori alleati dei loro amici alla Toninelli (quello del tunnel del Brennero che non c’è) e dei “NO a tutto”. Le difficoltà che hanno avuto nel sostenere il NO Tav, nel Sud non le hanno, e siccome in una visione miope la messa a regime di queste terre senza occupazione non interessa ai settentrionali come invece li riguardava il metanodotto della Tap, non si attivano come hanno fatto a Torino o in Puglia con le madamine o con tutte le forze politiche riunite in un unico obiettivo.

Neanche il PD si mobilita a favore delle grandi opere nel Sud, anzi dà forza a quell’area massimalista vicina a Leu, che sul “NO a tutto” ha basato il suo credo, preferendo interventi teorici e di grande immagine, come la messa a regime delle aree interne o la parità di genere, con l’unico risultato di far continuare quell’emorragia di giovani che tanto danno sta facendo al nostro meridione.

Cosa chiedere al Piano? Meno assistenza e più investimenti. Meno mancette e redditi di cittadinanza e più occupazione vera. Meno aiuti a pioggia e più risorse per una vera alta velocità. Meno teorico turismo e più industrializzazione con le Zes.

Turismo teorico, perché poi non c’è nulla per far crescere le presenze turistiche dagli 80 milioni del Sud, poco più del solo Veneto, cosa che prevederebbe interventi seri come le “Zes turistiche”, ancora non previste in nessuna legge dello Stato.

Ma di tutto questo non vi è traccia in questo Piano puzzle di interessi, patchwork confezionato sulla base dell’antico e molto noto motto andreottiano «a Fra’, che te serve?». Ma gli interessi più forti abitano al di sopra della Linea gotica.

La strategia su tre assi: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale, deve attraversare il vero grande problema/opportunità del Paese: lo sviluppo del Mezzogiorno!

Le affermazioni del tipo «l’asse dell’inclusione sociale punta a diffondere lo sviluppo, al fine di ridurre i divari di cittadinanza: i divari infrastrutturali, occupazionali e di servizi e beni pubblici, fra Nord e Sud, fra aree urbane e aree interne o un’azione coerente di riduzione dei divari, che parta dalla prima infanzia e dall’istruzione con l’investimento negli asili nido e nelle strutture scolastiche, potrà liberare il potenziale di tutti i territori italiani, generando nuove opportunità di lavoro, di qualità nella transizione ecologica e digitale, soprattutto per i giovani e per le donne» sono solo parole buone per tesi di laurea ma che non incantano più nessuno.

Anche in questo Piano i “barbari” più forti, violenti e attivi hanno vinto, ma non avevano e non hanno nessuna capacità prospettica oltre a quella di obbedire alla legge della foresta: il più forte mangia il più debole per poi farsi mangiare da qualcuno più forte di loro.

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