È stato colpito un simbolo

Esistono luoghi che l’immaginario collettivo eleva, più o meno consapevolmente, a simbolo. E tale transfert accade, per lo più, a seguito di ferite collettive, delle quali la coscienza civile rivendica il rispetto per un duplice motivo: in primo luogo il ricordo assume il significato di memento affinché il torto non abbia a ripetersi; in secondo luogo perché il rispetto del sito diviene il paradigma su cui giudicare la reale volontà di cambiamento rispetto al passato. E così è stato per lo spazio delle Twin Towers a New York: in quell’area la comunità americana giudica irriverente anche la sola edificazione di un qualche monumento alle vittime, nella presunzione che, come per le parole rispetto ai sentimenti più profondi, una qualche edificazione finisca per svilire la drammaticità del dolore collettivo. E il ricordo simbolico è lasciato ad un fascio di luci che, di notte, squarciano lo skyline di Manhattan, quasi penetrando nelle coscienze dei suoi abitanti. A Berlino, il check point Charlie, luogo di controllo nel passaggio tra la zona orientale e quell’occidentale della città, è stato elevato a simbolo del ricordo della divisione tedesca, della sua amministrazione da parte delle truppe alleate, della Guerra fredda, degli scambi notturni di spie, dei morti lungo il muro. Il simbolo, quale che sia, assume il compito di muta dichiarazione collettiva del «mai più così». A Bagnoli l’area dell’ex Italsider era assunta a simbolo collettivo di ricordi, di nostalgie e di speranze: il ricordo di uno stabilimento storico smobilitato, in pochi anni, al culmine delle sue potenzialità produttive; la nostalgia di una solidarietà sociale che la cultura operaia assicurava; la speranza che l’intervento delle istituzioni, pubbliche e sociali, uscisse dall’immobilismo e dallo stallo dell’ultimo decennio, per imboccare la strada della riconversione urbana e del rispetto paesaggistico. Così non è stato. La decisione di trasferire in quella che è stata l’acciaieria i rifiuti non smaltiti offende la simbologia collettiva e denota limiti enormi di lungimiranza politica. Si dirà che il trasferimento è momentaneo, limitato e frutto dell’emergenza che la regione affronta in questi giorni bui: ma anche se un solo cumulo fosse stato portato a Bagnoli per un solo giorno, l’offesa al simbolo della riconversione sarebbe stata inevitabile. Che piaccia o no, i simboli e le decisioni politiche sui simboli vivono una vita propria che travalica anche la buona fede di chi tali decisioni assume. Meglio sarebbe stato, come monito agli ultras e alle società per com’è stato ridotto il gioco del calcio, utilizzare temporaneamente per i rifiuti il terreno di gioco del San Paolo. Ma la vicenda non ha solo valore dal punto di vista sociale, essendo i danni vistosamente estesi anche sul terreno economico. Pur evitando le facili, ma non infondate, demagogie del passaggio dalla Coppa America all’immondizia e i probabili autocompiaciuti risolini di Bertarelli, deve amaramente essere ricordato che l’immagine, oramai da tempo, ha un sua precisa valenza economica, e non confinata al terreno strettamente mediatico. Una società che investe in ricerca e sviluppo, un’impresa che miri ad esaltare le caratteristiche di “pulizia” dei propri prodotti, un quadro qualificato che debba decidere se trasferirsi o no in nuova località valutano con estrema attenzione il messaggio che le istituzioni inviano alla società, non tanto e non solo sul piano ambientale, ma su un ambito ancor più importante: la capacità di saper portare a coerenza le decisioni di breve periodo con le scelte di lungo periodo, ovvero la sapienza nell’affrontare le contingenze dell’emergenza senza derogare agli indirizzi strutturali. A voler essere ancor più chiari: chi potrà rassicurare con assoluta certezza quei manager internazionali, abituati all’asetticità di Francoforte, di Tolosa o di Cork, che, venuti a Napoli, non s’imbatteranno in impreviste, ingestibili emergenze della città?

Repubblica NAPOLI, 28 marzo 2004

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