DUE PAESI IN UNO. QUALITA’ DELLA VITA E DIRITTI DI CITTADINANZA.

DUE PAESI IN UNO. QUALITA’ DELLA VITA E DIRITTI DI CITTADINANZA.

FIGLI E FIGLIASTRI PER LA NOSTRA MAMMA ITALIA

Gianni De Falco, presidente Ires Campania e coordinatore AIM.

 

Siamo abituati ormai alle classifiche sulla qualità della vita ed anche alle polemiche che ne seguono. I due quotidiani economici nazionali ogni anno, in genere in collaborazione con istituti di ricerca, università e aziende, diffondono le loro classifiche, più o meno coincidenti e che riguardano le 107 province italiane.

Quella pubblicata da qualche giorno inquadra una qualità della vita “buona” o “accettabile” in 63 province su 107, lo scorso anno furono 60 su 107. Significa che 22milioni e 255mila residenti (pari al 37,4% della popolazione) vivono in territori contraddistinti da una qualità della vita di scarsa o insufficiente qualità.

Il gruppo in coda alla graduatoria nazionale comprende 28 province, 2 del Nord Ovest, una del Nord Est, mentre le restanti 25 sono dislocate nel Mezzogiorno (continentale ed insulare).

I parametri di riferimento sono in genere una decina e riguardano: affari e lavoro, istruzione e formazione, ambiente, sicurezza, tempo libero e turismo, dotazione infrastrutturale, sanità, pulizia delle città e percentuale di raccolta differenziata.

Spesso le critiche riguardano il fatto che alcuni parametri non sono presi in considerazione: per esempio la qualità dell’aria, o i giorni di insolazione o altri elementi che rendono la vita più piacevole nel Mezzogiorno di quanto uno possa avere nella pianura padana.

Ma in realtà tali classifiche rispecchiano il livello dei “servizi” a disposizione dei cittadini, piuttosto che la possibilità di trovare un lavoro facilmente o anche di avere l’accesso agli asili nido più facile, oppure la scuola a tempo pieno o la possibilità di avere attività di doposcuola, con insegnamento di una lingua o la frequenza della palestra, che favoriscono la crescita complessiva dei ragazzi. O servizi pubblici che evitino di possedere l’auto o la presenza di teatri o attività culturali in genere.

Quindi aldilà delle critiche, sempre possibili quando si fanno delle scelte rispetto ai parametri, ritengo che tali classifiche rispecchino complessivamente e sufficientemente la qualità della vita nelle diverse province italiane.

Ed allora una domanda sorge spontanea: come mai tutte le province meridionali si collocano, tranne rarissime eccezioni, nella parte bassa della classifica?

Se non si accetta la teoria lombrosiana che i policy maker meridionali sono meno capaci, più inadeguati, forse anche meno intelligenti dei loro colleghi settentrionali, allora deve esserci qualche elemento che fa si che il Mezzogiorno e le sue realtà provinciali siano in qualche modo in ritardo.

E ricercare le motivazioni per le quali vi è questa aggregazione di posizionamento in cluster ben definiti, con buona pace di chi sostiene che vi siano diversi mezzogiorni, per cui è difficile trovare Napoli ai primi posti piuttosto che Reggio Calabria e invece il palmares viene scambiato, di anno in anno, tra varie province tutte settentrionali.

Quest’anno la prima in classifica è Parma che toglie il podio a Trento.

Sostenere che tale classifica non può essere evidentemente frutto della casualità, ma vi devono essere delle ragioni strutturali, può non essere ipotesi campata in aria. Ma dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che tutto il Mezzogiorno soffre di un trattamento da parte dello Stato centrale “disuguale”, in termini di risorse, come dimostrato dalla diversa spesa pro capite, quelle di cui si parla quando si afferma che se dovesse essere uguale in tutte le parti del Paese il Mezzogiorno dovrebbe ricevere 60miliardi in più all’anno, cosa che corrisponderebbe ovviamente alla sottrazione di 60miliardi al Centro Nord.

Quindi tale squilibrio a favore del Mezzogiorno corrisponderebbe alla differente (ri)distribuzione dei quei diritti di cittadinanza che oggi segnano il Paese determinando una cittadinanza di serie A e una di serie B.

Questa alternativa e questo “squilibrio” potrebbe determinare una differente chiave di lettura con una classifica con le province “mischiate”, anche perché i buoni amministratori, statisticamente, dovrebbero essere distribuiti casualmente sul territorio.

Questo se non ci fossero elementi strutturali che influenzano la classifica ma, evidentemente, invece, ci sono.

Equiparare le risorse disponibili nelle varie realtà è cosa estremamente complessa, poiché è estremamente difficile togliere a chi ha già per ridistribuire. Molto più semplice non dare a chi non ha mai avuto: sarà più facile che non si lamenti più di tanto.

Ma fare in modo che in tutte le realtà italiane vi siano gli stessi diritti di cittadinanza è compito preminente non solo del Governo nazionale, ma preoccupazione anche di tutte le istituzioni del Paese, ognuno nel proprio ruolo, per cui dovrebbe essere tale obiettivo il primo da raggiungere e la preoccupazione prevalente di tutte le più alte cariche dello Stato, a cominciare dalla Presidenza della Repubblica, che dovrebbe denunciare se non continuamente certamente periodicamente, come peraltro ha fatto, la presenza di una tale disparità, che mette in discussione l’unità del Paese.

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