L’economia nelle mani della Regione

La valutazione della performance di una regione può essere effettuata ricorrendo a molteplici criteri interpretativi: si può, ad esempio, valutare quanto la congiuntura sia favorevole o avversa e dunque gli effetti su produzione e occupazione; si può scegliere, all’altro polo, di analizzare quanto le tendenze strutturali della struttura produttiva siano influenzate, positivamente o negativamente, dall’andamento ciclico dell’economia. Si può, infine, avere come centro dell’attenzione il ruolo che il settore pubblico e le istituzioni locali esercitano per accelerare il processo di convergenza di una regione allo standard medio dell’area valutaria in cui essa opera. È intuibile quanto le possibili letture non siano mutuamente in conflitto; anzi. Nelle esperienze delle regioni occidentali meno avanzate il successo delle politiche territoriali è stato sovente individuato nella capacità della politica economica di permeare l’economia locale da ripercussioni negative del ciclo economico. Se facessimo ricorso a un simile criterio, il giudizio che potremmo esprimere sulla situazione economica campana non potrebbe che essere positivo: la Nota Annuale che l’ufficio regionale della Banca di Italia dedica, come di consueto, all’economia campana ha dovizia di informazioni sulla resistenza campana alle avversità cicliche. Negli ultimi sette anni, c’informa la Nota, il prodotto interno lordo ha registrato tassi di crescita superiori alla media italiana; l’incremento occupazionale prosegue una tendenza apparentemente espansiva; la crescita del numero di imprese continua a essere significativamente superiore alla media meridionale e nazionale. Ma la Nota c’informa, con altrettanta onestà intellettuale, di un paradosso di non facile esplicazione: nonostante la capacità che la nostra economia dimostra nel resistere alle tendenze recessive, i suoi problemi strutturali tendono paradossalmente ad aggravarsi. Senza tediare il lettore con cifre miranti a rendere più convincente l’argomentare, basterà ricordare che la Campania, in Italia, registra la maggiore sperequazione nella distribuzione della ricchezza subito dopo la Sicilia; il tasso di incremento dei prezzi al consumo è maggiore che nel resto del paese; la capacità produttiva utilizzata delle imprese diminuisce, contraendosi al di là delle aspettative degli imprenditori; la quota delle esportazioni cala; la dimensione delle media delle imprese diminuisce il commercio si frastaglia ulteriormente. Questo il paradosso che la Banca di Italia evidenzia: un’economia non stagnante nel ciclo ma che non riesce a contrastare il suo depauperamento strutturale. E, muovendo da questa constatazione, le linee interpretative possono imboccare sentieri diametralmente opposti. Al centro della politica economica, in Campania così come nelle altre regioni meridionali, troviamo oramai le istituzioni locali e segnatamente quella regionale. In assenza di misure nazionali di politica industriale e di ridimensionamento dei fondi pubblici centrali È la Regione, piaccia o no, il soggetto di policy. E ciò avviene in ragione dei fondi a essa assegnati, della necessità di sopperire alle mancanze dell’Amministrazione centrale, di intermediare i fondi europei. Un primo filone interpretativo tenderebbe a sottolineare come sia stato merito della Regione essere riuscita a mantenere il ciclo sostenuto, nonostante la stagnazione nazionale. Ne farebbero fede l’utilizzo tempestivo dei fondi europei, la numerosità dei contratti negoziali, il flusso di incentivi destinati alle imprese. Ma i medesimi indicatori potrebbero essere adoperati da coloro che, in quest’effimero sostegno al ciclo e nel contemporaneo aggravamento dei problemi strutturali, intravedono i limiti delle istituzioni locali. Azioni tempestive di buon governo nell’utilizzo dei fondi e nell’erogazione degli incentivi non implicano, necessariamente, strategie lungimiranti e obiettivi meritori. Anzi, la subordinazione delle erogazioni a bisogni indifferenziati aiuta il ciclo ma procrastina ulteriormente il momento delle scelte. E quando esso arriverà, le tensioni dal mondo del lavoro, le resistenze imprenditoriali al rischio e il gap di competitività saranno esponenzialmente cresciuti.

Repubblica NAPOLI,  17 giugno 2004

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