L’economia è debole se prevale la politica

La conduzione dell’economia campana è compito improbo e, al contempo, affascinante: improbo a causa del profondo travaglio che attraversano le attività economiche della regione; affascinante perché l’articolazione dei modi produzione presenti in Campania esigono comprensione dei fenomeni e capacità di indirizzo. Il nuovo esecutivo regionale, da pochi giorni insediatosi, dovrà essere in grado di superare alcuni limiti evidenti che hanno caratterizzato il quinquennio precedente e di cui dovrebbe essere del tutto consapevole chi è ora chiamato ad affrontarli. Ma andiamo con ordine. Le debolezze più macroscopiche della politica economica regionale della precedente giunta regionale sono state costituite dall’assenza di efficacia e di selettività. Non che di tutto l’operato debba essere dato un giudizio negativo: il tempestivo utilizzo delle risorse regionali e comunitarie ha consentito, ad esempio, che la recessione e la deindustrializzazione fossero tamponati da un flusso consistente di spesa pubblica; le decisioni qualificanti di spesa sono, se si esclude qualche strappo relativo alle tariffe nei trasporti, avvenute in quadro di collaborazione con forze sindacali e imprenditoriali. Ma efficacia e selettività non si sono coniugate con il buongoverno quotidiano. L’efficacia nell’indirizzo delle attività produttive richiede la capacità di rispondere ad alcuni quesiti fondamentali. Se, tanto per fare un esempio non casuale, il settore campano dell’abbigliamento denota inefficienza dimensionale, scarsa competitività e proliferazione abnorme sul territorio, un governo dell’economia regionale che sia tale dovrebbe saper rispondere a quesiti del tipo: è la crisi dell’abbigliamento un fenomeno strettamente campano? Qual è il punto di debolezza più palese? Quali sono i costi di breve periodo, per esempio in termini di occupazione, di una razionalizzazione del settore? Tutto ciò è mancato poiché la politica regionale non è stata in grado di essere selettiva. Essa, in altri termini, non è riuscita ad esprimere una gerarchia chiara di interventi strategici inderogabili, rispetto ai quali altre finalità avrebbero dovuto essere sacrificate. Se ad esempio si ritiene che i settori industriali innovativi debbano essere privilegiati, è cruciale che essi siano rigorosamente identificati. Ciò è fin qui mancato in ragione di responsabilità equamente ripartibili tra rappresentanze politiche ed attori sociali. Per ciò che concerne le forze politiche il modello prevalente di governo dell’economia campana è stato, nel recente passato, il risultato delle richieste, delle forze cattoliche centriste, di partecipare in prima persona all’erogazione dei fondi regionali e della sostanziale subalternità intellettuale, all’altro estremo dei verdi, di Rifondazione e dei Comunisti italiani, all’esecutivo. Francamente non ricordo, nel passato quinquennio, clamorose fratture sull’interpretazione della crisi nel settore automobilistico o sulla debolezza dei distretti locali di sviluppo: su chi dovesse presiedere Asl o su rifiuti ideologici in termini di politica energetica certamente sì. D’altra parte l’incapacità di definire un quadro rigoroso di priorità strategiche è originata dall’ostinatezza con cui le accreditate, e più disparate, associazioni di categoria difendono la centralità del proprio particolare. Tutte le volte che il dibattito, istituzionale e non, sugli indirizzi della politica economica regionale si è misurata sulle grandi opzioni strategiche di fondo dell’economia campana prossima ventura la visione additiva ha prevalso su quella selettiva: non solo industria avanzata, ma anche turismo, ma anche piccola impresa, ma anche beni artistici, ma anche agricoltura, ma anche cooperazione, ma anche artigianato e così via. Ovviamente quando tutto è strategico nulla è strategico, ma la comprensione di questa banale identità dovrebbe far premio sull’ostinatezza che la realtà che si rappresenta è l’ombelico del mondo. È comprensibile che la politica economica sia mediazione di interessi diversi, articolati e, talora, contrapposti: ma evitare di comprendere che solo una regione progressiva e vitale, e dunque che cresce, può essere in grado di recepire istanze variegate è poco lungimirante e egoistico. Forse è proprio questo il messaggio più difficile da far recepire dal neonato governo campano dell’economia, tanto più difficile se esso stesso non ne avesse piena consapevolezza.

Repubblica NAPOLI, 30 maggio 2005

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