Il Sud e la Germania

Il film cult della scorsa stagione cinematografica è stato “Goodbye Lenin”, un geniale paradosso. Paradosso sui tentativi di un figlio di far credere alla propria madre che la caduta del muro di Berlino aveva finalmente consentito ai tedeschi occidentali di aderire alla società tedesco-orientale. L’apparente nonsense esplicitava un sentimento comune nei Laender unificati, e cioè una strisciante, inconfessabile nostalgia del modello di vita e di relazioni sociali precedente l’unificazione. E mentre “Goodbye Lenin” imperversava nelle sale cinematografiche tedesche, montava, negli ambienti finanziari e accademici teutonici, la critica alle politiche di sviluppo, tacciate d’eccessivo trasferimento di risorse verso le regioni unificate. Una situazione apparentemente schizofrenica e, per certi speculare, a quanto avviene da più di un decennio nel Mezzogiorno d’Italia: mentre da un lato gli ambienti governativi celebrano il superamento della questione meridionale, in nome di una presunta stratificazione dell’economia del sud che sarebbe contraddistinta da luci ed ombre, dall’altro lato il processo di convergenza regionale in Italia si è arrestato e le politiche economiche sono sempre meno propense a coniugare sviluppo e solidarietà sociale. Le analogie «in negativo» tra Laender orientali e regioni meridionali non finiscono qui: nel medesimo periodo in cui si determinava un brusco ridimensionamento politico e intellettuale della questione meridionale, la politica economica e territoriale tedesca verso i Laender orientali si caratterizzava per un impiego di risorse e per una ricchezza di strumentazione che era paragonabile solo a quanto nell’economia meridionale era avvenuto nel ventennio successivo al secondo conflitto bellico mondiale. Così come teorizzava allora il meridionalismo d’ispirazione cattolica nei confronti delle regioni italiane meno sviluppate, la logica d’intervento nei Laender orientali, attuata inizialmente dal cristiano-democratico Helmut Kohl, è avvenuta tramite finanziamenti, garanzie agli imprenditori, sussidi, rimodernamento del capitale sociale. Il complesso obiettivo dell’unificazione è perseguito attraverso un programma di «trasferimento istituzionale» che mira ad estendere ad est il modello della Germania occidentale, dunque trasferendo ad est l’insieme di istituzioni politiche e amministrative, il sistema normativo di relazioni industriali; in sintesi: l’intera cultura imprenditoriale e statuale della social market economy della Germania federale. Affinché questo complesso sistema avesse possibilità di attecchire era necessario il coinvolgimento di un altro attore, oltre alle associazioni imprenditoriali e dei lavoratori, il sistema bancario e finanziario ed in particolare il funzionamento del modello di Hausbank, ovvero «una banca-un’impresa», tra istituzioni di piccole e medie dimensioni. E quest’impostazione è soggetta a critica severa dall’impostazione liberista: si sarebbe, di fatto, incoraggiata la creazione di un nuovo Mezzogiorno, vale a dire un’economia che, nonostante il massiccio trasferimento di risorse dal resto del paese, non riesce ad innescare meccanismi endogeni di convergenza e, dunque, non è in grado di competere con le più avanzate regioni europee. In breve: così com’è avvenuto un quindicennio fa nel Mezzogiorno la pretesa incompatibilità tra efficienza ed equità determina critiche estese, ma ancora non maggioritarie, al modello vigente. Di ciò si discuterà stamane nel seminario organizzato dall’Ires Campania presso la Camera di Commercio. Un eventuale ridimensionamento dell’economia sociale di mercato in Germania orientale conforterebbe, a posteriori, la validità e l’inevitabilità del ridimensionamento della centralità del Mezzogiorno nella politica economica nazionale. E, se così fosse, le prospettive delle politiche di sviluppo regionale sarebbero, anche per noi, assai meno rosee.

Repubblica NAPOLI, 12 novembre 2004

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