I costi economici della movida

L’economia del turismo è branca spesso trascurata, a torto, dal mondo accademico e, altrettanto spesso, vezzeggiata dagli amministratori locali. Il turismo, secondo un approccio superficiale che ne trascura complessità e articolazione, rappresenta sempre di più una scorciatoia per attrarre reddito difficilmente producibile in loco. E di fronte a questa prospettiva comuni e amministratori non mancano di fantasia nell’escogitare possibili attrattori: si spazia dal porticciolo turistico affrettatamente edificato con i fondi europei alla saga di paese, in genere del fungo porcino e della pasta fatta in casa. Chi, fra gli amministratori, ha ambizioni meno ruspanti chiede che gli sia affidato il privilegio della costruzione di un casinò, nell’illusione che tali luoghi attraggano epigoni di Ranieri e di Carolina di Monaco e non già nerboruti ricchi dell’hinterland, pronti a puntare il ricavato dall’economia sommersa circostante. Ma se i funghi scarseggiano e la roulette appare una illusoria chimera c’è sempre un modo per foggiare una propria politica del turismo: essa consiste nel predisporre le condizioni più adatte a che l’universo dei giovani scelga un determinato luogo per stanziare nelle tre o quattro ore che precedono la processione in discoteca, innescando quel fenomeno che è possibile definire come l’economia della movida. Gli incentivi che le autorità locali devono predisporre affinché le proprie piazze siano oggetto di trasmigrazioni serali non presentano difficoltà o costi apparentemente elevati. È necessario che il Comune sia dotato di una piazza sufficientemente ampia da consentire che un centinaio di ragazzi bivacchino; che si trovino un paio di bar forniti di una gamma ampia di birre; che la polizia urbana non eserciti alcun controllo sulle autovetture dei movider e che gli sfortunati abitanti siano fatalisticamente disposti a tollerare paurosi ingorghi del traffico nell’attesa che l’ultima pinta sia scolata o che sia decisa la discoteca in cui pernottare. La specializzazione dell’offerta al popolo della notte può essere ulteriormente articolata: basta la concessione di licenze ad un buon numero di paninerie e di sedicenti ristoranti affinché la sociologia del turismo sia definitivamente trasformata. Il tam tam dell’aggregazione, si sa, corre veloce: al turismo diurno si sostituisce quello notturno; l’offerta di concerti, di musica live e di ristorazione certificata lascia il posto all’insaccato di pessima qualità e alla frittura di patatine rigorosamente surgelate. La politica economica della movida è dunque una scelta consapevole delle amministrazioni: alcuni comuni, ad esempio Vico Equense, la hanno coraggiosamente bandita; altri, Pozzuoli innanzitutto, ne hanno di fatto costituito il solo vessillo d’attrazione locale. Le considerazioni potrebbero sembrare pregne di moralismo datato: è meglio, si sarebbe tentati superficialmente di argomentare, un po’di reddito, maledetto e subito, derivante dalla vendita di birra al puro malto che la stagnazione del commercio; è preferibile un finto ristoratore ad un disoccupato esplicito; quindi siano turate le nari per i gas di scarico, siano tappate le orecchie per la musica chilli a tutto volume delle autovetture dei movider e si consenta la formazione di ricchezza da smercio di alcolici e di hamburger. Il guaio è che l’economia della movida, come tutte le branche dell’economia, presenta non soli benefici, ma anche costi: così come il turismo delle villette a schiera ha lo svantaggio di degradare il paesaggio, anche la movida ha inconvenienti assai poco trascurabili. E forse qualche sconsiderato amministratore dovrebbe tenerne un qualche conto. I costi sono immediatamente intuibili: mancati introiti da turismo più qualificato poco propenso a mescolarsi con il branco, stagnazione dei punti di ristoro tradizionali, degrado sociale, violazione dei luoghi di interesse artistico, incremento dei costi di pulizia delle strade. Giunge notizia che, a Pozzuoli, la libreria Il Nome della Rosa abbia chiuso i battenti accerchiata dalle motociclette e dal menefreghismo delle istituzioni locali. Niente paura: al suo posto tra breve apparirà l’ennesima paninoteca che, per deferenza al libraio preesistente, sarà battezzata Il Nome della Birra.

Repubblica NAPOLI, 27 agosto 2004

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