Chi mette il freno allo sviluppo di Pozzuoli

L’economia sta progressivamente rivedendo le ipotesi interpretative sulle cause dello sviluppo economico: fino a una decina d’anni addietro la crescita del reddito e della ricchezza di un territorio era imputata, esclusivamente, alla dotazione di capitale e di lavoro, oppure all’ammontare di risorse finanziarie aggiuntive che a questo territorio erano destinate. In seguito si è fatta strada l’idea che simili approcci, pur mantenendo una sostanziale validità, trascurassero due elementi cruciali: la qualità del capitale umano disponibile in loco e il ruolo espletato dalle istituzioni locali di governo. Potrebbe capitare, si argomenta, che a una data entità territoriale siano indirizzati flussi consistenti di risorse, ma che la pochezza delle conoscenze e delle professionalità o la scarsa lungimiranza delle istituzioni locali non consentano di raggiungere il livello di crescita possibile. Unificando i due approcci, si potrebbe affermare che diviene sempre più decisiva nel Mezzogiorno la qualità del capitale umano operante nelle istituzioni pubbliche: da una valutazione dell’ultimo decennio è possibile riscontrare come talune regioni, portoghesi e spagnole, siano cresciute più velocemente di regioni italiane, ben più favorite dai finanziamenti europei, o, nel meridione, città meno dotate abbiano espresso potenzialità di crescita maggiori di centri urbani più favoriti in termini d’assegnazioni finanziarie. Il capitale umano istituzionale diviene sempre più rilevante nel determinare la crescita locale: esso deve essere in grado di dettare norme chiare e di certa applicazione; deve utilizzare le risorse in modo efficiente ed efficace; deve infondere fiducia negli operatori che intendessero iniziare o proseguire le loro attività sul territorio. Nella zona flegrea, e segnatamente a Pozzuoli, nessuno di tali requisiti è soddisfatto: il capitale istituzionale, ovvero la classe politica al governo per capirci, costituisce un freno allo sviluppo di un’area di potenzialità incommensurabili e, paradossalmente, frustra gli impulsi di una fin troppo generosa politica di fondi regionali e comunitari. Nobilitando nella stilizzazione ciò che nella realtà concreta poco nobile è, si può sostenere che il capitale umano istituzionale puteolano ha distorto l’economia locale verso uno sviluppo, si fa per dire, caratterizzato da “tre M”. La prima: Monteruscello. Il luogo eletto a nuovo centro urbano dopo il bradisismo costituisce uno sciagurato esempio di favoritismo politico, sin dalla fase del commissario Zamberletti, d’arricchimento delle ditte chiamate a costruzione d’alloggi disastrosi, le cosiddette case di cartone, di voto di scambio che, ancor oggi, si perpetua per un servizio igienico appena decente. La seconda M: Metro, ovvero l’ultimo, ma solo per adesso, di una serie di super-ipermercati, cresciuti senza criterio, in prossimità di snodi viari vitali, in sfregio a qualunque uso razionale del territorio. La terza M: Movida. Il territorio flegreo è ferito a morte da una politica scellerata d’apertura capillare di locali per i quali non vige, così come per i loro avventori, alcuna regola di rispetto dell’ambiente, dell’inquinamento acustico, propensi, come sono entrambi, all’immondezzaio generalizzato. È quasi commovente che ora si tenti di impedire la circolazione, per motivi d’ordine pubblico, ai motorini: è come se a Las Vegas si proibisse, d’incanto, l’ingresso ai giocatori di carte incalliti. E mentre l’anfiteatro Flavio muore di desolazione, di lenti lavori e d’erbacce, le lattine di birra rotolano, a pochi metri, sullo sporco piazzale e l’abusivismo dilaga nonostante gli avvisi di garanzia. Tuttavia i fondi regionali arrivano puntuali e consistenti e le banche aprono nuove filiali vigilando, bramose, sulla ricostruzione di Rione Terra. Coraggio: a ben pensarci, anche sul Titanic l’orchestra continuava a suonare sulla nave irreparabilmente inclinata.

Repubblica NAPOLI, 19 luglio 2005

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