Sangue sudore e lacrime

La redazione del bilancio dei principali Comuni ha storicamente costituito un momento d’intenso travaglio e di accentuazione delle conflittualità esistenti all’interno degli esecutivi. Si è trattato, fino a qualche anno addietro, di decidere l’utilizzo di risorse scarse per finalità alternative; e le finalità, spesso per calcolo politico, non erano sempre unanimemente condivise. Altri tempi, si sarebbe tentati di scrivere, tempi in cui la finanza pubblica, centrale e locale, non si caratterizzava per i comportamenti paradossali che oggi la contraddistinguono: allora amministrazione centrale dello Stato ed enti locali collaboravano, sia pur recalcitrando, per il raggiungimento di obiettivi sufficientemente condivisi; allora si determinava una netta separazione, anche nei criteri di spesa, tra le risorse «ordinarie», e cioè quelle provenienti dall’amministrazione centrale, e quelle «aggiuntive», stanziate ogni anno dalla legge finanziaria; allora, ma sembra un secolo addietro, la tassazione degli enti locali era finalizzata al finanziamento d’impegni di spesa aggiuntivi, non già del bilancio corrente. Le tensioni che hanno attraversato la giunta comunale nella fase di redazione del bilancio trovano, nel nuovo rapporto tra governo centrale ed enti locali, la loro motivazione più esplicita. È noto come l’impostazione della legge finanziaria per il 2004 ha drasticamente ridotto i trasferimenti agli enti decentrati, preferendo mantenere maggiore autonomia di spesa all’amministrazione centrale per le grandi opere pubbliche infrastrutturali e viarie, a maggiore impatto mediatico. La contrazione di risorse agli enti locali implica, per la natura della spesa di questi ultimi, la dequalificazione dei servizi pubblici alla persona, e cioè trasporti pubblici, istruzione e sanità. Ne segue che un ente pubblico locale ha oramai due scelte: o un abbassamento della qualità dei servizi o un mantenimento dello standard, ahimè basso dalle nostre parti, attraverso un incremento della tasse locali o delle tariffe. Questo è il meccanismo perverso che, piaccia o no, è alla base della redazione dei bilanci dei Comuni da qualche anno a questa parte e che spiega paradossi apparentemente inesplicabili: sindaci che sono costretti a promettere churchillianamente «sangue, sudore e lacrime» e premier che, gessetto alla mano, promettono nuove infrastrutture e disastri ambientali; accapigliamento tra assessori locali sulla spesa che non deve essere tagliata o sull’accisa che non deve essere introdotta e serafici ministri dell’economia che fanno balenare il miraggio nebuloso di una consistente detassazione per tutti i ceti sociali. Ma, date a Cesare, ovverosia al governo, le responsabilità di Cesare, È lecito esprimere l’auspicio che il bilancio preventivo del nostro Comune soddisfi alcuni indirizzi di fondo. Se è vero che oramai nessun ente locale può minimamente ardire, con l’aria che tira, a immaginare misure di perequazione sociale, è pur vero che il principio di progressività dei tributi e delle tariffe pare il solo criterio distintivo del buon governo municipale. E su questo punto la giunta comunale napoletana non è del tutto esente da pecche: è vero che l’imposta comunale sugli immobili, che costituisce la voce più significativa delle entrate dirette dei Comuni, si caratterizzerà per aliquote differenziate, ma è pur vero che le tariffe locali registrano tassi d’incremento al di sopra dell’inflazione programmata. E ciò avviene nella città la cui dinamica inflazionistica si è indiscutibilmente affiancata a quella delle città più opulente. La tassa sui rifiuti solidi urbani sarà repentinamente innalzata dopo un decennio di stasi in un momento della vita cittadina in cui la qualità del servizio non pare del tutto gradita; forse sarebbe bastato, a mo’di messaggio, una qualche forma d’incentivazione fiscale della raccolta differenziata. Dell’istituzione del «riccometro» che dovrebbe aiutare a decidere chi, oltre il reddito dichiarato, ha diritto a esenzioni e agevolazioni nei servizi sociali non si ha notizia. Ci è stata, però, annunciata una «gestione attiva» del debito del Comune che conferirebbe i propri mutui a un pool di banche. Sulla finanza innovativa, con i tempi che corrono, ci sia lecito esprimere qualche timore; più tradizionalmente sarebbe auspicabile la riscossione di quei 600 milioni di multe e tributi non riscossi.

Repubblica NAPOLI, 09 aprile 2004

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