Il tema del lavoro è, naturalmente, drammaticamente centrale nel dibattito politico odierno. È perfino ovvio sottolinearlo. Nell’orizzonte della più stretta attualità si identifica con la ricerca del lavoro, col dramma della disoccupazione o con l’altro, più generale, della difesa dei diritti dei lavoratori. E anche chi, non banalmente, tematizza la questione della produttività come decisiva per la rinascita del paese, non la riduce al solo punto di vista dei lavoratori, che dovrebbero lavorare di più o meglio, ma la inquadra in un orizzonte complesso, che non trascura l'esigenza di una miglioree più efficace organizzazione del lavoro stesso nonché quella del clima nel quale esso si compie. Anche se oggi la questione dirimente è quella di fondare un nuovo patto per la produttività, mi sembra che, su tempi più lunghi, se usciremo dall'angolo della crisi, ci si potrà ispirare a un'idea nuova del lavoro tradizionalmente inteso, in una prospettiva di una liberazione dal lavoro. Nuovi liberali e nuovi socialisti potranno costruire una nuova civiltà del lavoro se si potrà, complice la tecnologia, lavorare meno e meglio, lavorare tutti. Una scommessa, un'utopia. Ma l'orizzonte utopico, quando non è pura astrazione, imposizione totalitaria di un punto di vista, coincide con gli ideali che migliorano la realtà.
In questa prospettiva, e non solo in questa, possiamo leggere il bel libro, Lamiere, la letteratura tra fabbrica e città, che si presenta oggi alle 16 nella sede della Cgil in via Torino.