Le priorità della Cgil per affrontare la crisi in Campania

crisi e mezzogiornoUna nota della Segreteria della Cgil Campania e dell’Ires Campania
[stesura provvisoria]

L’andamento dell’economia della Campania segue e aggrava le condizioni note dell’economia del Mezzogiorno: per l’ottavo anno consecutivo, come non era mai successo nel dopoguerra, il Sud cresce meno del Nord riportando il suo prodotto a valori assoluti addirittura inferiori a quelli del 2000.
Il tasso emigratorio si rafforza secondo percentuali che parevano oramai sopite coinvolgendo le giovani generazioni nell’intero suo spettro di qualificazione, acuendo quei fenomeni di disagio sociale generalizzato che s’incunea tra i lavoratori dipendenti a reddito fisso.
I recentissimi, flebili, segni di ripresi espressi dalle imprese manifatturiere campane non consentono alcun moderato ottimismo sulla ripresa dell’occupazione; anzi: secondo gli osservatori più accreditati le conseguenze sul mercato della crisi innestatasi due anni addietro non paiono avere esercitato per intero i propri effetti perversi. Secondo la Rilevazione sulle forze lavoro dell’Istat nel primo semestre del 2010 il numero degli occupati in Campania è ulteriormente calato, secondo il medesimo trend degli ultimi undici trimestri che porta il tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro al valore più basso tra le regioni italiane.

Le considerazioni che seguono hanno come oggetto, dunque, l’esplicitazione dei principali fenomeni di crisi della struttura economica e sociale della regione Campania.
Esse, ovviamente, non hanno alcuna pretesa di completezza ma mirano, esclusivamente, a individuare le urgenze prioritarie per il varo di politiche che, oltre agli indubbi benefici di breve periodo, siano fruttuose anche dal punto di vista strutturale.
È certamente indubbia la presenza di vincoli di bilancio della Regione: tuttavia è necessario sottolineare che quanto più simili emergenze saranno trascurate, tanto maggiore sarà il deterioramento successivo e l’ammontare di finanziamenti necessari.
Mai come in questa fase la crisi della struttura produttiva si manifesta in contemporanea all’impoverimento dei redditi più bassi e a quelli di sussistenza: consentire che i due fenomeni vadano di pari passo significherebbe alimentare una miscela di tensioni e d’inquietudini allarmante e perniciosa.

1. La crisi della struttura produttiva

Nella crisi che ha colpito l’economia campana, che è parte di quella che ha colpito il nostro Paese, emergono alcuni aspetti che riguardano il nostro apparato produttivo.
Qui la crisi si fa sentire di più. Nonostante gli sforzi fatti, il problema principale resta la frammentazione dell’apparato produttivo regionale. Infatti, come rileva l’ultimo aggiornamento del PASER, risulta che:

  • la dimensione media degli stabilimenti industriali campani è pari a meno di due terzi di quella delle regioni europee meno sviluppate;
  • il numero d’imprese con almeno 200 addetti è inferiore alle cinquanta unità in Campania, pari allo 0,1 per cento del totale, cinque volte in meno della già bassa media nazionale.

Si è ulteriormente aggravata la congiuntura nel settore del commercio, in particolare per le aziende di minore dimensione. La grande distribuzione organizzata, il cui peso sul totale delle vendite è di poco superiore al 21 per cento in regione, ha invece aumentato il fatturato nel 2008 (+2 per cento), anche per effetto dell’ampliamento della rete distributiva; tuttavia è presumibile che per il 2009 si registri un dato negativo anche in quest’ambito.

La crisi dell’industria

Nel rimandare all’appendice per una più ampia trattazione del tema, basti ricordare che i punti più caldi del confronto riguardano il settore automotive, quello della cantieristica navale e gli accordi di programma per Caserta e Acerra.

Automotive

Fiat prevede circa 700 milioni di euro d’investimenti per l’impianto di Pomigliano. A fronte di questo impegno, l’azienda ha raggiunto un accordo separato con Cisl e Uil per una diversa organizzazione del lavoro, prevedendo Cigs a zero ore fino alla fine dell’anno per 11mila addetti, 5000 nello stabilimento Giambattista Vico e 6000 nell’indotto. Critica appare anche la situazione di FMA Avellino, che produce motori con grande difficoltà di collocazione sul mercato. La questione è in continua evoluzione, con oltre 7000 addetti esposti al rischio di CIG nei prossimi mesi.

Cantieristica Navale

Per il comparto della cantieristica navale la questione più importante riguarda Fincantieri di Castellammare, circa 650 addetti e oltre mille lavoratori nell’indotto. Oltre al ritardo nell’affidamento di commesse pubbliche, che in ogni caso sarebbero una risposta temporanea, è da registrare lo stop dato dalla Regione Campania allo studio di fattibilità per il bacino di carenaggio di Castellammare, che è ritenuto propedeutico a qualsiasi discorso di potenziamento della produzione da parte di Fincantieri.
Avvolti da incertezze appaiono anche due importanti programmi di reindustrializzazione decisi e avviati dal precedente governo regionale: uno riguarda l’Accordo di Programma di Caserta, che prevede cinquanta milioni di finanziamento da parte del Governo e cinquanta della Regione. Oltre a mancanza di chiarezza sulla reale volontà delle due istituzioni di portare avanti l’accordo, è da dire che ad aggravare ulteriormente il quadro è il sostanziale stop dato dalla Regione all’unico strumento di politica industriale esistente in Regione, e cioè il Contratto di Programma, strumento individuato per accompagnare le imprese nell’area casertana oggetto dell’Accordo.
Una situazione analoga si presenta ad Acerra, dove l’Accordo di Programma è nato dopo la chiusura della ex Montefibre, che nel frattempo si è articolata in tre nuove aziende: Simpe, NGP, Filion. L’Accordo si basa su tre interventi principali: ristrutturazione impianti ex Montefibre per consentire la produzione di polimeri; la costruzione di una centrale a olio vegetale, con un impatto ambientale di molto inferiore a quella precedente; realizzazione di un parco industriale che prevede incentivi per imprese che s’insediano nell’area, con l’impegno di riassorbire una parte degli esuberi provenienti da Ex Montefibre e che non sono riassunti dalle tre aziende citate. Ma anche qui, ritardi e problemi in sede europea rischiano di compromettere seriamente l’intervento.

2. Il sistema dei trasporti

Il sistema infrastrutturale esistente in Campania non presenta una connotazione equilibrata: né per quanto concerne la sua estensione a rete, o di dislocazioni puntuali sul territorio in rapporto alle esigenze di accessibilità, né per quanto riguarda la possibilità di utilizzazione delle diverse modalità di trasporto in rapporto alle loro caratteristiche.
Trasporto su gomma
Nei programmi di sviluppo per favorire la mobilità occorre potenziare, ammodernare e velocizzare l’attuale rete anche alla luce della realizzazione della linea ferroviaria ad Alta Velocità Roma-Napoli.
Nei programmi regionali assumeranno notevole valenza la definizione dei Bacini di Traffico Provinciali che individuando le aree di competenza per le diverse linee automobilistiche, potranno fornire un utile strumento per la razionalizzazione del trasporto in funzione della effettiva domanda di mobilità. Rispetto alla rete viaria riteniamo che le priorità riguardino:

  • il completamento delle opere in via di realizzazione;
  • la determinazione di nodi di interscambio tra i diversi sistemi;
  • un programma di manutenzione ordinaria dell’intera rete.
Trasporto su ferro

La maggior parte della rete ferroviaria regionale si concentra nell’area metropolitana di Napoli, mentre la parte meridionale ed orientale della regione è quasi sprovvista di tali infrastrutture. L’insieme delle ferrovie in concessione ed in gestione governativa della Campania ha uno sviluppo lineare pari all’8% (circa 300 Km) dell’intero sistema nazionale. Nel settore ferroviario si individuano i seguenti obiettivi da raggiungere nei prossimi anni:

  • realizzare collegamenti veloci e frequenti con le principali città d’Italia, mediante il potenziamento delle direttrici fondamentali esistenti;
  • potenziare e riorganizzare funzionalmente ed economicamente l’offerta dei servizi sui percorsi regionali e metropolitani, sia nelle aree metropolitane che in quelle interne, puntare dunque decisamente sul miglioramento della “qualità” del servizio locale offerto;
  • potenziare il servizio merci al fine di dare impulso all’intermodalità anche a supporto dei traffici marittimi.

La linea ad Alta Velocità deve interconnettersi ad un sistema locale più efficiente e meglio rispondente alla mobilità dell’intero territorio regionale.
Lo sviluppo della rete regionale dei trasporti parte proprio dal nodo di Afragola e su tale ipotesi vanno individuate le priorità degli interventi e la razionale equità, a livello di mobilità, dei cinque capoluoghi di provincia. La realizzazione della linea ad Alta Capacità Napoli-Bari, si inserisce nella logica del rafforzamento e potenziamento delle direttrici (completando il progetto del “Corridoio 8” e raccordandolo al “Corridoio 1”) del potenziamento dei collegamenti regionali.
È un’opera trasversale, che unisce Est e Ovest, rimettendo al centro tutte le aree interne: l’Irpinia e il Sannio in Campania, la Capitanata in Puglia.
La scelta dell’Alta Capacità e non dell’Alta velocità consentiva di intervenire sulle aree interessate con opere di riqualificazione. Al momento l’opera considerata “strategica” dal DPEF 2008-2011 – e già finanziata dalla Regione Campania con due milioni di euro per la redazione del progetto preliminare – non è stata riconfermata dal VII DPEF (2009) né tra le prime dieci opere prioritarie per il Paese, né tra le otto individuate come prioritarie per il Mezzogiorno.

Trasporto aereo

La Campania dispone attualmente di due infrastrutture aeroportuali utilizzabili al traffico commerciale: Capodichino e Pontecagnano. Capodichino è uno scalo ottimale per servizio di linee di carattere nazionale e internazionale con un carico complessivo di traffico limitato. Pontecagnano potrà diventare un suo alternato, inizialmente solo per una parte del traffico a causa delle caratteristiche della pista. Potrà divenire, inoltre, parte integrante di un sistema intermodale (aereo, terrestre su rotaie e gomma e marittimo).

Trasporto marittimo

Il sistema portuale della Regione presenta una distribuzione irregolare lungo la linea litoranea, in relazione alla presenza di ripari naturali ed aree urbanizzate. La funzione di porto commerciale si può attribuire solo ai porti di Pozzuoli, Torre Annunziata e Castellammare, mentre la pesca continua ad avere un ruolo preminente per i porti minori che, però, presentano gravi problemi di collegamento con la rete viaria e ferroviaria. Soffocati da una conurbazione densamente edificata hanno visto drammaticamente affievolire la loro attività commerciale e peschereccia. La maggior parte dei porti minori del sistema trova nuova vita nella fortissima richiesta di spazi destinati alla nautica di diporto per la la saturazione delle poche strutture disponibili. Ciò ha spinto molti comuni a puntare sulla riconversione dei loro porticcioli in chiave turistica, considerandoli non solo elemento indispensabile per un rinnovato input turistico ma anche una occasione non trascurabile di incremento dei livelli occupazionali. Attualmente tutto è affidato ad iniziative spontanee e mal organizzate. È evidente la necessità di una ristrutturazione pianificata del sistema.

La rottamazione trentennale

La cantieristica italiana e quella della costruzione dei veicoli ferroviari sta soffrendo, in questo momento, la riduzione o la mancanza di ordinativi e commesse, la Regione, tra gli altri, potrebbe richiedere al Governo l’erogazione di contributi ed incentivi per la rottamazione delle “flotte” (navali e ferroviarie) dopo trent’anni di servizio, assicurando così sia un volume di attività più stabile sia un ammodernamento delle flotte viaggianti con evidenti benefici sia per il sistema produttivo sia per il sistema dei trasporti.

Interporti

Il Complesso infrastrutturale di Nola-Marcianise, progettato per consentire la piena integrazione dell’intero sistema trasportistico, costituisce l’unico interporto di rilevanza nazionale ubicato nel Centro-Sud e destinato a servire una vasta area del territorio nazionale. Andrebbe incentivata l’interconnessione con gli altri centri logistici italiani ed internazionali. Il complesso infrastrutturale dell’area interportuale consentirebbe all’impianto di proporsi risolutivamente alle esigenze logistico distributive dei vari operatori, costituendo punto di smistamento strategico per i flussi merci Nord-Sud e rappresentando una risposta adeguata alle attività retroportuali del golfo di Napoli e Salerno. Allo stato incompleto. L’azione programmatoria è quella della completa integrazione in un sistema di movimento merce. Inesistente.

3. La scarsità del credito

I fenomeni, oramai consolidati, della ristrutturazione del sistema bancario meridionale dispiegano alcuni temuti effetti proprio nella situazione di crisi: le piccole imprese del Sud, quelle con meno di venti addetti, hanno registrato significative contrazioni, mentre per quelle di dimensione superiore la disponibilità di credito è lievemente aumentata negli ultimi dodici mesi. La situazione appare capovolta rispetto a quella del Centro-Nord dove il calo ha riguardato le imprese over venti.
E questo non appare il solo dato preoccupante per la Campania: sussistono differenze anche degli andamenti del credito alle singole branche produttive: quello all’industria si è ulteriormente ridotto mentre quello ai servizi è cresciuto.
Le difficoltà del ciclo sono evidenziate anche dall’incremento della domanda di credito da parte delle famiglie e delle sofferenze. Queste ultime superano in Campania il valore della media nazionale; per le imprese, addirittura, il rapporto tra sofferenze e prestiti ha raggiunto valori, il 4.4%, doppi rispetto alla media delle imprese italiane. Lo stesso può essere evidenziato per gli incagli che indicano i finanziamenti concessi a clienti in temporanea difficoltà.
Interessi elevati e razionamento del credito sono le consuete ripercussioni di modelli organizzativi e allocativi del sistema creditizio che, pur nelle sue mutazioni, ha storicamente immolato le imprese meridionali al mantenimento degli equilibri aziendali.
Nel corso degli ultimi tempi, e specie in conseguenza delle ripercussioni reali della crisi finanziaria internazionale, si è fatta sempre più strada la convinzione che la tutela del credito, e della sua continuità nel tempo, alle piccole e medie imprese possa avvenire, anche, con la costituzione di concorsi di confidi nei quali l’operatore pubblico possa fungere, almeno in parte, da garante diretto o indiretto.
L’operatività dei confidi, secondo la Banca d’Italia, appare relativamente frammentata nel Mezzogiorno dove ogni consorzio rilascia mediamente un ammontare di garanzie pari a un terzo della media nazionale.
Un simile strumento non deve essere sottovalutato: sulla base dei dati della Centrale dei Rischi il 70 per cento delle relazioni banca-impresa che beneficiavano delle garanzie di confido riguardavano piccole imprese. Inoltre la richiesta di una garanzia mutualistica è particolarmente frequente presso le imprese industriali.
È dunque cruciale che in Campania si acceleri il processo di creazione e d’irrobustimento di confidi in cui l’operatore pubblico agisca direttamente.
Numerosi studi empirici hanno rivelato che i confidi favoriscono l’accesso al credito delle piccole imprese, mitigando gli effetti di asimmetria tra banca e impresa: le imprese garantite hanno ottenuto finanziamenti a tassi mediamente inferiori a imprese con medesime caratteristiche. Ancora: tra il 2007 e il primo semestre del 2010 il tasso di crescita del credito a piccole imprese garantite da confidi è stato positivo, a fronte di una contrazione per omologhe imprese non garantite.

4. Il mercato del lavoro

Persiste la mancanza di un efficiente sistema formativo e di servizi all’impiego che sia effettivamente in grado di svolgere una funzione di raccordo tra domanda e offerta di lavoro e di gestione seria della condizionalità delle prestazioni previdenziali.
Nei fatti, la missione principale dei centri per l’impiego è rimasta quella burocratica tradizionale della registrazione delle situazioni occupazionali.
In mancanza di questi due elementi l’intervento del legislatore finisce per essere poca cosa e non può che avere prevalente finalità propagandistica.
Più che leggi, in questa fase occorrerebbero soprattutto azioni della amministrazione energicamente mirate alla cura di questi due importanti elementi di contesto. Si leggono, invece, segnali che vanno nella direzione opposta.
La grave crisi dei rapporti unitari nel sindacato sembra oggetto di strumentalizzazione da parte di un sistema politico che sta vivendo un bipolarismo rissoso che nulla promette di buono per il Paese. Agire per aggravare la spaccatura del sindacato è certamente funzionale alla politica spettacolo, ma sappiamo tutti – e lo sanno in particolare quelli che a quella spaccatura dedicano una particolare cura, per evitare che si ricomponga – che quella cura porta con sé alcuni risultati sicuri:

  • il drastico ridimensionamento del ruolo del sindacato, di tutto il sindacato;
  • la definitiva sepoltura della concertazione (sepoltura peraltro considerata matura da una maggioranza parlamentare che si percepisce onnipotente e autosufficiente) e, purtroppo, anche la mortificazione della bilateralità il cui sviluppo – pur meritevolmente auspicato nei propositi – può essere nutrito solo da un forte spirito unitario.

Lasciamo da parte queste pessimistiche considerazioni e cerchiamo di abbozzare comunque un ragionamento più complessivo.
Anche se il dato giuridico non gioca un ruolo determinante, una revisione delle regole può dare un contributo positivo. Ovviamente bisogna intendersi sul contenuto di questa revisione, non potendosi ritenere che il tutto si debba risolvere in una “riduzione delle regole” e, quindi, nella restituzione di mano libera all’impresa, compensata da una maggiore tutela del lavoratore nel mercato del lavoro.
La tutela nel mercato, decisamente importante, non rende meno necessaria la tutela nell’ambito del rapporto di lavoro. E’ indubbio, tuttavia, che quest’ultima dovrebbe assumere caratteri di maggiore efficienza, per ridurre diseconomie e per contrastare i ben noti fenomeni di elusione o di aggiustamento opportunistico che alimentano forme di disuguaglianza e finiscono per deprimere le chances di sviluppo del sistema. La revisione dovrebbe svolgersi, a nostro avviso, lungo due direttrici:

  • la prima è quella della creazione di condizioni che diano maggiori certezze a chi ha responsabilità di gestione dei lavoratori. Troppe sono le formule della legge che – per il loro carattere d’indeterminatezza – finiscono per alimentare una mediazione giudiziaria dagli esiti non sempre scontati. Qui occorrerebbe attribuire maggiore responsabilità alle capacità di governo delle parti sociali, abilitandole a regolazioni dotate di forza pari a quella della legge. Non è purtroppo questa la strada che si è imboccata con la riforma del contratto di lavoro a termine.
  • la seconda direttrice dovrebbe essere quella della ricerca di un modello più avanzato di tutela del lavoro, idoneo a contrastare la spaccatura tra insiders e outsiders e a creare, a favore di questi ultimi, forme accettabili d’inclusione.

Punto di partenza dovrebbe essere la revisione del modo in cui viene oggi assicurata la stabilità ai rapporti di lavoro, perché è in gran parte qui la radice della diffusa spinta alla utilizzazione di rapporti di lavoro caratterizzati dalla temporaneità, con l’effetto di produrre un’ingiusta segmentazione del mercato del lavoro e una socialmente intollerabile precarietà della condizione lavorativa.
Bisogna riconoscere che non può non apparire grezzo e fortemente inadeguato un sistema, come quello attuale, vecchio di una quarantina di anni, che non appresta schemi e incentivi per promuovere esplicitamente una stabilità occupazionale, ma si limita ad affidare la tutela dell’interesse dei lavoratori a un semplice controllo del carattere per così dire “non abusivo” del licenziamento, rimesso integralmente, con formule indeterminate, alla mediazione giudiziaria e alle relative lungaggini e incertezze, con conseguenti problemi di costo, talvolta spropositato.
Occorrono tecniche diverse. L’elaborazione di tecniche volte a promuovere in termini positivi la stabilità della condizione lavorativa non può che essere frutto di una concertazione, a vari livelli (nazionale, territoriale, aziendale), che sia capace di mobilitare e mettere in sinergia risorse, pubbliche e private, di vario genere (normative, economiche, organizzative) al servizio di politiche mirate a concretizzare il “debito di stabilità” nei confronti delle persone che dal lavoro e dalla disponibilità al lavoro hanno diritto di trarre i mezzi di sostentamento necessari – per dirla con le parole della nostra Costituzione – a una vita libera e dignitosa.
Cenni di possibili strade da percorrere e sviluppare sono presenti nella nostra esperienza. Si pensi al trattamento di disoccupazione con requisiti ridotti, che rappresenta già un modello appropriato alla cura delle discontinuità lavorative; opportunamente governato, si presta a sostenere percorsi di “stabilizzazione”.
È ovviamente chiaro che in quest’opera di tessitura un ruolo decisivo dovrebbe essere svolto dal sistema delle relazioni industriali.

5. Dal welfare state al workfare

La Campania, con i pesanti debiti strutturati per il prossimo trentennio, è attraversata da un progressivo impoverimento che ha reso evanescente l’equità sociale ed eventuali forme di giustizia redistributiva.
Se il Governo non attiverà attraverso fondi perequativi a garanzia dello sviluppo e dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, la Campania sarà costretta a ripiegare ulteriormente.
Il Welfare regionale stretto fra l’incudine dei vincoli finanziari e il martello di crescenti bisogni sociali, dovrà essere più efficiente e distribuire la spesa in modo più equo ed efficace fra i diversi gruppi sociali e i diversi bisogni.
Occorre ridisegnare un nuovo sistema di welfare attraverso politiche di welfare attivo (workfare) per aiutare i giovani a trovare opportunità per non emigrare; insistendo sull’integrazione fra servizi pubblici e privati; sulla sussidiarietà; sul ruolo del volontariato e degli enti bilaterali.
Un welfare quindi che non si limiti al mercato del lavoro, ma che affronti tutti gli ambiti dello Stato Sociale.
Perché al centro del disegno ci sia “la persona” in un sistema integrato di tutele: dalla salute al lavoro, dalla formazione alla previdenza, dal sostegno al reddito al quoziente familiare, dalle opportunità alla sussidiarietà e alla solidarietà.
Una riforma strutturale delle politiche sociali pubbliche, nazionali e locali, coerente con la tradizione dello stato sociale europeo, si realizza garantendo il raggiungimento di cinque obiettivi generali strategici:

  1. la definizione di risorse finanziarie adeguate, da calcolare per quota capitaria, per garantire i livelli essenziali di assistenza. La copertura finanziaria di questo welfare strutturale è certamente possibile sia riformulando le priorità dei capitoli della legge finanziaria sia attingendo dalla tassazione generale informata ai criteri di progressività, anche a livello locale;
  2. la determinazione, per normativa quadro nazionale e relativi dispositivi regionali, degli standard di risorse umane dedicate ai servizi sociali territoriali;
  3. l’individuazione dell’Unità Territoriale di Base quale distretto territoriale omogeneo per la programmazione e l’attivazione delle politiche sociali, sanitarie, formative e del lavoro;
  4. l’affermazione di strategie di personalizzazione dei programmi sociali, formativi e socio-sanitari, (risorse legate ai bisogni) non solo per compensare e contrastare i processi di esclusione delle fasce più fragili della popolazione, ma anche per garantire la qualità della vita e l’agio dei bambini, dei giovani e degli anziani;
  5. la definizione, dopo le esperienze del reddito minimo d’inserimento, a livello nazionale, e del reddito di cittadinanza, a livello regionale, di una misura universalistica ed europea di contrasto alla povertà nel nostro Paese.

Un federalismo senza equa distribuzione delle risorse rispetto ai bisogni, senza una garanzia universalistica dell’effettivo esercizio dei diritti si trasforma in una localizzazione delle povertà più diverse materiali e immateriali e trasforma i cittadini destinatari dei servizi in clienti territoriali con diverso ineguale accesso ai diritti.
Una sussidiarietà verticale senza trasferimento di risorse e una sussidiarietà orizzontale senza co-progettazione si trasformano in municipalismo selvaggio senza regole.
Il confronto fra le quote capitarie assegnate alla programmazione dei servizi sociali nel nostro Paese è la cartina di tornasole di questa grande ingiustizia costituzionale, e la conferma che le Autonomie dei governi locali, senza regole generali di contribuzioni fiscali eque, rischiano di generare solo contrapposte regioni a ritardo di sviluppo, senza reale emancipazione e profonde disuguaglianze.

6. Sicurezza e legalità

La creazione di un contesto più sicuro, per gli imprenditori e per i cittadini e la libertà d’impresa hanno bisogno di legalità e sicurezza quali presupposti imprescindibili.
Un’impresa non è libera se rischia una rapina, se deve sottostare al racket, se è strozzata dagli usurai, se deve fare i conti con un mercato “taroccato” dalla contraffazione e falsato dalla corruzione.
Solo se i valori dell’etica, della correttezza, della trasparenza, della legalità diventeranno patrimonio comune delle imprese, dei lavoratori e dei cittadini di domani, solo rimuovendo quei fattori che impediscono a un Paese di crescere e ai suoi cittadini di far valere meriti, competenze e professionalità, si potrà pensare a un Mezzogiorno più libero ma anche più ricco e produttivo.
L’illegalità diffusa è, infatti, un costo vivo per le imprese e per l’intera collettività. Un fardello che pesa sulle spalle di tutto il Paese e sta diventando un vero macigno per il Mezzogiorno.
Appare sempre più necessario richiedere con forza una presenza costante e visibile dello Stato per la tutela del territorio e delle attività economiche, bisogna lavorare per la diffusione e la valorizzazione della “Cultura della legalità” quale elemento caratterizzante degli interventi pubblici e privati. Al fine di garantire un processo di garanzie e tutele generali per il territorio si propone:

  • di sottoscrivere un “Protocollo d’intesa” sulla legalità tra il Ministero degli Interni e le Parti sociali articolato in successivi protocolli specifici (per settori e per territori) per rafforzare la collaborazione di tutte le Organizzazioni di rappresentanza con i presidi a tutela dell’ordine pubblico e con il sistema della giustizia;
  • un Piano straordinario di lotta al lavoro sommerso e irregolare, a partire dai settori a maggiore incidenza, con il coinvolgimento delle parti sociali e degli Enti locali, finalizzato all’incremento delle attività ispettive, all’utilizzo delle forme contrattuali più adeguate, all’individuazione di forme di premialità per le imprese che mostrano di operare nella legalità, al contrasto di ogni forma di sfruttamento dei lavoratori e, in particolare, dei lavoratori stranieri, prevedendo la regolarizzazione dei lavoratori anche per i settori esclusi dalla “Dichiarazione di emersione” del 2009. A sostegno del Piano potrebbero essere impiegate le risorse del PON 2007-2013 “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia”;
  • un utilizzo più efficace dei fondi strutturali destinati alla sicurezza attraverso il potenziamento della “filiera della legalità”, della sorveglianza informatizzata, delle verifiche sulla filiera degli appalti pubblici e del settore agroalimentare, la prevenzione delle infiltrazioni nell’economia regolare, la lotta al racket e all’usura. A questo fine va, inoltre, promossa l’introduzione di nuove tecnologie di comunicazione con gli uffici pubblici, la semplificazione delle procedure, l’uso più esteso di automatismi per favorire un rapporto sempre più diretto e trasparente tra imprese e pubblica amministrazione.

L’impegno per la sicurezza e la legalità rappresenta la risposta a una precisa richiesta di sviluppo per una società e un’economia più sana.
In questo contesto sarà sempre più importante sostenere le iniziative per la diffusione della cultura della legalità nelle scuole; iniziative che devono dare il senso di come sia necessario rimboccarsi le maniche, tutti insieme – imprese, istituzioni, associazioni, rappresentanti della società civile – perché con i giovani possano essere condivisi impegni e obiettivi da raggiungere. Non lasciamo ai giovani il compito di cambiare il mondo: facciamolo insieme.

7. Fondi comunitari: un primo bilancio

A quattro anni dalla fine del periodo di programmazione 2000-2006 dei Fondi comunitari, a due dalla chiusura della spesa, il giudizio da esprimere sulle risorse che sono state impiegate sul territorio campano deve riguardare due aspetti:

  • la quantità (se cioè la Regione è stata in grado di spendere i soldi che la cosiddetta “Agenda 2000” ha messo a disposizione della Campania);
  • la qualità (se e quanto questi fondi hanno inciso realmente sulla struttura economica e sociale della nostra regione).

Riguardo al primo aspetto, il giudizio non può che essere positivo: come certificato dalla Commissione Europea, la Campania ha speso poco più del 100% delle risorse assegnate, pari a circa 7,750 miliardi di euro. Un risultati lusinghiero, sia in termini assoluti sia relativamente al precedente periodo di programmazione 1994/1999, quando la Campania, che aveva a disposizione 3,260 miliardi di euro, riuscì a spendere solo l’88,7% delle somme a disposizione, pari a 2,892 miliardi di euro, classificandosi ultima fra le regioni del vecchio Obiettivo 1.
Per quanto riguarda la qualità, la criticità riguarda due aspetti: la parcellizzazione della spesa e la non aggiuntività della stessa.
Sul primo punto, è da dire che Agenda 2000 risente dell’impostazione data nel convegno che si è tenuto a Catania nel dicembre 1998 (“Cento idee per lo sviluppo”) organizzato dal DPS diretto da Fabrizio Barca. Nel documento alla base di quel convegno si trovano le tre considerazioni che furono alla base della stesura dei documenti di programmazione successivi. In particolare si legge che:

  • la svolta nello sviluppo del Mezzogiorno e l’aggiustamento strutturale del Centro-Nord dipendono in larga parte dall’attuazione di una strategia di medio-lungo termine d’investimenti pubblici, capace di garantire le condizioni generali e i servizi essenziali a combinare capitale e lavoro in nuove iniziative.
  • per impostare una strategia di così ampio respiro, occorre rafforzare la capacità di programmazione delle nostre amministrazioni, a livello centrale e locale. Tale rafforzamento è indispensabile per dare credibilità alla programmazione stessa; per assicurare la realizzabilità dei programmi.
  • che in passato la cattiva qualità dello spendere è dipesa spesso dalla mancata attribuzione di responsabilità alle amministrazioni locali, alle Regioni in primo luogo, per la scelta delle priorità e degli interventi da realizzare. Si tratta di correggere quell’errore, rendendo gli organismi di governo locale artefici primi della programmazione degli investimenti sul territorio.

 

L’obiettivo da raggiungere, insomma, presupponeva un rafforzamento delle capacità di programmazione della Pubblica Amministrazione e sulla responsabilizzazione degli attori locali dello sviluppo, secondo la terminologia assai in voga in un’epoca in cui sembrava esserci un forte investimento sulle politiche di sviluppo locale.
Quest’ultimo elemento, in particolare, ha certamente comportato anche quella che è apparsa come un’eccessiva frammentazione dei centri di spesa e quindi della stessa. I risultati non sono stati spesso all’altezza delle aspettative. Non si discute qui se sia stato giusto utilizzare i fondi strutturali anche per interventi minimi, come può essere stato il rifacimento di un centro storico di un paesino dell’entroterra: anche questo ha significato investire sui fattori non economici dello sviluppo, fattori che però aumentano il grado di coesione sociale e hanno un effetto volano su altre attività, come il turismo, l’agricoltura o il ripopolamento e la valorizzazione dei piccoli centri.
Il problema è che non sempre la progettazione messa in campo è stata di qualità (e questo chiama in causa la qualità della nostra PA); e che i tanti interventi non hanno inciso in modo strutturale sulla rimozione delle cause dell’arretratezza economica della Regione.
Alla base di questo, però, non c’è solo il problema della qualità della PA o del nostro sistema imprenditoriale. Vi è stata anche una necessità, dovuta al fatto che, in mancanza di adeguate risorse ordinarie da parte dello Stato, i Fondi Europei hanno assunto carattere sostitutivo e non aggiuntivo delle politiche per il Mezzogiorno. Commettendo, in questo caso, lo stesso grave errore già compiuto con la lunga stagione dell’Intervento Straordinario.
Basti questo dato: a fronte del 42-45% di spesa ordinaria prevista per il Sud nel periodo di programmazione 2000-2006, nel Mezzogiorno sono state appostate risorse pari al 34%, che è addirittura inferiore al dato del 38% che risulta dall’incrocio fra i parametri della popolazione e dell’estensione territoriale. Gli investimenti di Ferrovie dello Stato, Poste e altri Enti è stata inferiore rispetto alla media nazionale. Di qui la necessità di sostituire i fondi ordinari mancanti con le risorse europee. In conclusione, la famosa ripartizione 50-35-15 (risorse comunitarie, statali e regionali) non è stata rispettata e non viene rispettata nemmeno adesso.
Due punti sono da segnalare: il primo è crisi finanziaria della Regione Campania, che complica l’avvio dei progetti.
Il secondo riguarda l’allarme sulla questione dei fondi FAS. “Le risorse FAS – si legge sul sito del DPS - sono stabilite ogni anno dalla Legge Finanziaria e assegnate dal CIPE al fine di perseguire l’obiettivo del riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese”. Ebbene, è da dire che quasi mai quest’obiettivo è stato non diciamo raggiunto, ma quanto meno perseguito. Quello che dovrebbe fungere anche da strumento di perequazione in vista del Federalismo è in realtà diventato un bancomat da utilizzare per tutte le occasioni: dal pagamento delle quote latte al salvataggio Alitalia, all’erogazione di soldi a piè di lista per evitare il tracollo finanziario dei Comuni (Palermo e Catania); per l’emergenza rifiuti in Campania; per opere infrastrutturali per le aree del centro-nord o per gli ammortizzatori sociali; per coprire i mancati introiti derivanti dall’abolizione dell’ICI. Senza dimenticare i soldi dati al Comune di Roma o utilizzati per la proroga della rottamazione dei frigoriferi. Per restare al nostro caso, è da dire che Grandi Progetti dovranno essere realizzati, per quanto riguarda la parte non coperta dai fondi comunitari (insieme al cofinanziamento regionale e nazionale), dai FAS che, nelle intenzioni del Legislatore, per l’85% dovevano essere riservati al Sud. In realtà è diventata una Cassa per il Mezzogiorno senza il Mezzogiorno.
Lo stesso piano per il Sud annunciato più volte dal Governo risente di un’impostazione da Grande Elemosiniere. Con questo il federalismo c’entra poco. Una programmazione che vede tutte le Regioni – meridionali in particolare – “controparti” del Governo non aiuta a identificare strategie che possono essere comuni a tutto il Sud. È forse da prendere in seria considerazione la proposta pure avanzata da Svimez: il Piano per il Sud, ha affermato in sostanza l’istituto presieduto da Adriano Giannola, lo facciano le Regioni. Con un piano costruito dal basso, avrebbe automaticamente il consenso delle amministrazioni regionali con la possibilità di raggiungere degli obiettivi qualificanti.

8. Gli strumenti del marketing territoriale

La Regione Campania è una delle poche regioni europee a non avere un’agenzia che si occupi di attrarre investimenti, accompagnare gli investitori ed essere in grado di fornire supporto normativo, finanziario e informativo sulle opportunità di sviluppo. L’attività di incoming si disperde fra diversi enti e agenzie territoriali di sviluppo.
L’idea sarebbe quella di accorpare e riorganizzare i diversi Enti che si occupano di attrazione d’investimenti e/o di reindustrializzazione (Asse, Contratto d’Area di Salerno, Tess, le stesse Asi, etc.) in un’unica struttura regionale che abbia:

  • conoscenza di tutti gli strumenti normativi, regionali, nazionali ed europei e delle relative fonti di finanziamento;
  • una forma di titolarità sulle aree industriali adesso parcellizzate (Asi, Pip, Contratti d’Area) e inutilizzate;
  • la possibilità, sul modello di altre Agenzie italiane (Friulia, Fin Piemonte, Fin Lombarda, Milano Metropoli, Fin Molise etc.), di poter accompagnare anche finanziariamente gli investimenti;
  • un management qualificato, da poter scegliere anche fuori Regione, che sia sottoposto ai poteri d’indirizzo della Giunta e, in particolare: del Presidente; dell’Assessore al Turismo, per quanto riguarda le politiche di attrazione dei flussi turistici e di operatori del settore; dell’Assessorato alle Attività Produttive.

In questo settore, sia pure fra luci e ombre, nel corso degli anni si è consolidata un’esperienza significativa che ha spesso supportato l’attuazione delle politiche di sviluppo della Regione.
Si avrebbe così una struttura certamente più agile che potrebbe utilizzare il know how maturato nei diversi enti.
Contemporaneamente, l’Agenzia potrebbe, sulla base delle esperienze già fatte in Campania, avere una dotazione finanziaria per stimolare e promuovere forme di auto impiego per i disoccupati campani.

9. Per un piano straordinario per il lavoro

Il piano triennale del lavoro presentato dal Ministro Sacconi rappresenta un passaggio rilevante per dare al tema dell’occupazione la necessaria centralità nell’agenda politica, oltre che sociale ed economica in un momento in cui grande è il disorientamento e la politica “delle parole vuote” sembra prevalere su tutto. Al piano Sacconi, in questi giorni, si aggiunge il nuovo piano straordinario “Campania al Lavoro!”, che l’Assessore regionale al lavoro e alla formazione professionale ha presentato in Giunta e da questa approvato. Prevede stanziamenti per inserimenti formativi, sicurezza sul lavoro, creazione di nuova impresa.
Si tratta più di uno “strumento regolatore dell’ordinario”, comunque dovuto, più che di un vero e proprio Piano per il Lavoro. Su questo, poi, più che l’Assessorato di Nappi, o almeno non solo, dovrebbero operare l’Assessorato alle attività produttive, l’Assessorato al Bilancio e alla programmazione economica, l’Assessorato al Turismo, l’Assessorato all’ambiente, l’Assessorato alla ricerca scientifica e così via.
Occorre ripartire dal lavoro e dallo sviluppo, in particolare tenendo conto della principale criticità territoriale campana: l’ambiente, una delle più rilevanti problematiche emergenti.
Il pendant della crisi campana è costituita dallo sgretolamento del mercato del lavoro nei mille rivoli di disoccupati di breve durata, di donne scoraggiate e inattive, di giovani laureati ad alta formazione che emigrano, di disoccupati di lunga durata fino a ieri coccolati da assessori compiacenti, di lavoratori socialmente utili.
Un piano per il lavoro che parta da queste condizioni e si ricolleghi alla soluzione di queste criticità diventa, quindi, un progetto per il futuro prossimo, che non si fa schiacciare da un presente problematico ma vuol costruire, a partire dalle attuali difficoltà una prospettiva positiva per le persone e le comunità.
Difendere il valore del lavoro, contro le gabbie salariali e la deregolazione contrattuale, promuovere il lavoro buono e legale, promuovere sviluppo basato sulla diffusione della formazione, dell’istruzione e dell’economia della conoscenza, combattere la disoccupazione e contrastare risolutamente le mafie, l’economia criminale e l’illegalità: questa la via maestra per affrontare e uscire dalla crisi.
La recessione intralcerà ulteriormente l’accesso dei giovani al mondo del lavoro. S’impongono perciò iniziative e misure straordinarie che consentano di sostenerli nella ricerca di un posto di “tirocinio” e di uno sbocco professionale.
La Campania è in fondo alle classifiche, in particolare, per quanto riguarda l’occupazione giovanile e femminile, che, ad esempio, è al 26,3% rispetto al 46,4% del dato nazionale. È mancata, in questi anni, una politica attiva del lavoro. S’impone, dunque, una prima necessità: costruire per l’occupazione una strategia di uscita dalla crisi economica.
Su forte impulso sindacale, la politica, attraverso l’estensione degli ammortizzatori sociali in deroga, ha favorito l’obiettivo di mantenere il legame tra lavoratori e aziende, anche per evitare il depauperamento delle competenze professionali nel corso della fase d’inattività.
Questo ha mantenuto il tasso di disoccupazione complessivo al di sotto dei livelli europei, ma nonostante questo ci sono oggi (a livello nazionale) quasi un milione di lavoratori in meno rispetto all’inizio della crisi: metà di questi sono ancora all’interno delle aziende, grazie alla cassa integrazione, l’altra metà a ingrossare le file della disoccupazione.
Con i primi segnali di ripresa le imprese tendono, innanzitutto, a riassorbire la manodopera in cassa integrazione poco utilizzata durante la fase acuta della crisi, ma il livello elevato su cui si sono attestate le ore di cassa integrazione fa intravedere rischi di un aumento della disoccupazione per coloro che sono dotati di qualifiche basse o di professionalità specifiche e quindi non facilmente reimpiegabili.
Per di più la ripresa si sta presentando ancora più debole e discontinua e quindi le conseguenze della crisi sul mercato del lavoro continueranno ancora nei mesi a venire.
Per il raggiungimento di obiettivi coerenti con il piano per il lavoro si dovrà innanzitutto operare, nel breve periodo, per:

  • ottenere una proroga di tutta la normativa anticrisi, in scadenza a fine 2010, in particolare degli ammortizzatori sociali in deroga;
  • il rafforzamento dei contratti di solidarietà, che presentano potenzialità ancora inespresse come strumento di ritorno graduale al pieno regime produttivo;
  • la finalizzazione di una quota delle risorse disponibili a incentivare le nuove assunzioni. A tal fine devono innanzitutto decollare le politiche attive del lavoro con la piena attuazione di un piano della formazione che realizzi un’analisi dei fabbisogni di occupazione da parte delle aziende e del territorio e un maggiore coordinamento tra centri per l’impiego e agenzie del lavoro accreditate;
  • potenziare e incentivare - con sgravi contributivi - l’apprendistato come “contratto di primo lavoro”, tramite un accordo quadro tra le parti sociali volto soprattutto alla facilitazione della parte formativa;
  • rilanciare il part-time in chiave occupazionale, per favorire le assunzioni soprattutto delle donne, assecondando in particolare le dinamiche del terziario;
  • introdurre il credito d’imposta per le nuove assunzioni e per gli investimenti nel Mezzogiorno, estendendo la normativa regionale campana, promuovendo la crescita di settori ad alta potenzialità di occupazione e contrastando anche per questa via la grave anomalia dell’economia sommersa e del lavoro nero;
  • indirizzare tutte queste misure e le azioni d’incontro domanda/offerta verso le figure professionali di difficile reperimento, e riguarderanno sia professionalità a più alto profilo (dirigenti, figure che esercitano professioni intellettuali, scientifiche e di alta specializzazione, operai specializzati), sia figure di livello medio-basso;
  • investire risorse verso i nuovi bacini d’impiego, a partire dalle innovative aree di “occupazione verde” (Green Jobs); pensiamo ai settori dell’ambiente, dell’energia e delle acque, e del trattamento dei rifiuti. Tutte forti emergenze a carattere locale e sulle quali abbiamo registrato deboli politiche a sostegno del lavoro, delle imprese e dell’occupazione, tanto deboli da consentire l’infiltrazione di organizzazioni criminali. In questi settori si tratterà, dunque, di intervenire anche con un’opera di risanamento e recupero alla legalità, oltre che all’efficienza e all’efficacia del servizio;
  • predisporre e attuare un intervento per il settore dell’assistenza alle persone e alle famiglie. Su quest’ultimo tema si richiede un progetto specifico per coniugare l’esigenza di una qualificazione del lavoro di cura con la necessità di far emergere la gran quantità di lavoro nero, utilizzando anche la leva dell’esenzione fiscale alle famiglie che ricorrono al lavoro di cura regolare e professionalmente riconosciuto.

Riteniamo utile, infine, proporre la costituzione di una task-force per l’occupazione, coordinata dall’Assessorato al Lavoro, per dare uno sbocco alle varie crisi aziendali e territoriali in chiave di rilancio produttivo e salvaguardia dell’occupazione.
La riprogrammazione dei Fondi Strutturali Europei, che la Regione Campania ha richiesto, infine, dovrebbe tener conto dell’individuazione di queste criticità e verificare la possibilità di collegare i finanziamenti alla realizzazione di queste azioni, a questi potrebbero aggiungersi una piccola parte residuale di vecchi fondi nazionali ed europei non spesi che potrebbero, anche questi, essere riprogrammati.
Questi finanziamenti rappresenteranno la base finanziaria per la “ripartenza” dell’economia del Mezzogiorno.

Appendice

1A. Schede su settori e imprese in crisi

Fiat di Pomigliano d’Arco

Fiat Auto ha presentato il piano industriale e la missione produttiva per il sito di Pomigliano. La missione produttiva riguarda la produzione della Panda e prevede la produzione annuale di 280.000 macchine all’anno a fronte delle attuali 130.000 Alfa prodotte sino alla fermata dei mesi scorsi. Per l’adeguamento dello stabilimento (sono già partiti alcuni lavori sugli impianti) per questa nuova missione produttiva il gruppo Fiat ha previsto un investimento di 700 milioni. A fronte di questo impegno Fiat ha sottoscritto un accordo sindacale senza la Fiom per introdurre una nuova organizzazione del lavoro. Si prevede Cigs a zero ore fino alla fine dell’anno per i circa 5000 addetti Fiat di Pomigliano e per gli oltre 6000 addetti delle aziende dell’indotto, fornitori diretti dello stabilimento di Pomigliano.

Fma di Avellino

Il piano industriale prevede la continuazione della produzione dei motori. Permane una preoccupazione sul futuro del sito perché Fiat non prevede lo spostamento dalla Polonia ad Avellino della produzione dei motori Panda. Grande incertezza, quindi, sul destino produttivo dello stabilimento, per effetto delle tipologie dei motori che vengono prodotti attualmente e per le difficoltà degli stessi di collocazione sul mercato. È urgente definire un nuovo piano industriale e una nuova missione produttiva. È da sottolineare che per quanto riguarda i lavoratori Fiat la Campania è stata l’unica regione italiana a prevedere un’integrazione per i lavoratori finiti in cassa integrazione, attingendo ai fondi dal FSE.
Altri 7000 addetti di aziende del settore Automotive sono esposti al ricorso alla Cig nei prossimi mesi con il rischio di ulteriori crisi nelle piccole e medie aziende del settore. 

Atitech

L’accordo conclusosi a Palazzo Chigi con il piano industriale presentato da Lettieri copre un arco temporale che va fino al 2014. Il piano prevede inizialmente l’impiego di 306 unità, per arrivare, nell’anno di regime (2014) a 355 unità. Per quanto riguarda i lavoratori in esubero, il Ministero del Lavoro ha messo sul tavolo la disponibilità a utilizzare gli strumenti di Cassa Integrazione già previsti per Cai-Alitalia, mentre Finmeccanica si è detta disponibile ad assorbire circa cinquanta unità.
Il piano è già partito ed è già quasi a regime per gli impegni assunti rispetto al primo anno.

Alcatel

L’azienda si trova a Battipaglia. L’unica vera industria rimasta nella Piana del Sele. L’idea di partenza del gruppo francese era quella di staccare la parte ricerca dalla parte di produzione, con un’operazione di management buy out. Una scelta che si spiegava solo con decisioni prese a livello parigino, ma l’azienda è sana, produce e ha un costo di produzione assai basso. La preoccupazione era che questo fosse l’inizio del disimpegno nei confronti del sito industriale. L’8 luglio 2009 era partita la procedura di esternalizzazione, con cui Alcatel cedeva la parte produttiva a una NewCo. Dopo una serie d’incontri al Ministero l’azienda, su invito del Governo, ha bloccato la procedura di esternalizzazione sulla base di un impegno delle istituzioni e in particolar modo del Ministero dello Sviluppo Economico, per consentire una proposta alternativa da parte del Governo, e in considerazione anche dello sblocco delle risorse stanziate per il finanziamento della banda larga, settore in cui Alcatel, insieme a Nokia e Siemens, è leader in Italia. È ovvio che la “benevolenza” del Governo sulla banda larga è una ricompensa ad Alcatel, se rinuncia al suo originario piano. Allo stato attuale si è individuato una proposta illustrata nei mesi scorsi al tavolo ministeriale che prevede una NewCo con un’azienda Esacontrol cui verrebbe affidata la gestione operativa e la stessa presenza di Alcatel con una quota minoritaria.

KSS

Era un’azienda di Arzano, con 100 lavoratori che producevano cinture di sicurezza, di proprietà di una multinazionale USA. Due anni fa ha chiuso i battenti. Il sito è stato venduto al gruppo Tufano, che lo adibirà a deposito. La Regione ha immesso i lavoratori nell’ambito del progetto welfare to work (ex-pari) che, oltre agli incentivi previsti dalla normativa nazionale offre una dotazione finanziaria alle aziende che assumono lavoratori in mobilità.

Prismia

Ex Pirelli di Arco Felice (Olivetti). Costruisce fibre e cavi sottomarini. Per il tipo di attività che svolge, ha bisogno di avere uno sbocco al mare. Il comune ne prevede la delocalizzazione. Sarebbe opportuno che il sito restasse lì fino a quando non s’individua un’alternativa seria.
Si aggiungano a queste le crisi di aziende dell’area torrese, come Metalfer, Metecno e Officine Torresi.

Eutelia-Agile ex Getronics

Per i 120 addetti della sede di Napoli e i trenta di Avellino è stata aperta la Cigs dalla fine di febbraio 2009 per tutti i 1083 dipendenti al livello Nazionale.  Si attende la ripresa del confronto con la Presidenza del Consiglio e le Regioni.  Attualmente Agile è in amministrazione straordinaria dal 19 aprile 2010 ed Eutelia dal marzo 2010. Agile attualmente occupa 1485 addetti, più i dirigenti, di cui 1089 in Cigs. Eutelia occupa circa 400 addetti di cui attualmente circa la metà in Cigs. I commissari di Agile hanno aperto una procedura di confronto sindacale, dove si chiede la Cigs per l’intero perimetro lavorativo (1485 unità). La Sede di Napoli, che occupa 120 unità, di cui ottantotto in cassa integrazione guadagni straordinaria, è stata chiusa il 28 dicembre scorso senza alcun contatto con le organizzazioni sindacali.

Agroalimentare

Dopo la delocalizzazione del gruppo AR di Antonino Russo, c’è stato il fallimento del pastificio Russo di Cicciano (80 dipendenti) e la messa all’asta dell’azienda, di proprietà dell’avvocato Maione.

Tessile 

Sono in crisi tutte le aziende del settore: dal distretto di Solofra a quello di San Marco dei Cavoti; da quello di Airola (Tessival Benfil) fino alla questione Ittierre, holding che si trova in Molise ed ha la proprietà di alcuni marchi assai affermati, come Ferrè. È stata applicata la Legge Marzano, che le consente di continuare a lavorare ma non di pagare le fatture. Per questo motivo, circa cinquanta aziende dell’indotto, che si trovano nel Beneventano, rischiano il fallimento. In questo caso la Regione Campania non ha una propria società finanziaria che consenta la possibilità di erogare anticipazioni alle banche per il rientro delle fatture per evitare il fallimento.

Cantieristica e trasporto navale

Attualmente il sito Fincantieri di Castellammare di Stabia è fermo senza lo sblocco delle commesse pubbliche, come da impegni del Governo e, soprattutto di nuove commesse private, entro dicembre tutti gli addetti (650 unità) del cantiere di Castellammare di Stabia saranno in Cigs. Già sono in Cig oltre 1000 addetti degli appalti. Il tema è all’attenzione di un tavolo istituzionale insediatosi presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
Il bacino di carenaggio è un’opera infrastrutturale di fondamentale importanza per il cantiere di Castellammare. Senza tale opera difficilmente, a detta di Fincantieri, il sito industriale potrebbe continuare la propria attività. Allo stato è stato proposto un protocollo d’intesa tra Ministero dello Sviluppo Economico, Regione Campania, Comune di Castellammare, Capitaneria di Porto e gli altri soggetti interessati per un accordo di programma per la costruzione dell’opera. La precedente Giunta aveva approvato una delibera per l’affidamento dello studio di fattibilità all’Autorità Portuale di Napoli che è stata revocata dalla Giunta attuale per il Patto di stabilità.
Le preoccupazioni riguardano anche l’indotto, che occupa altre centinaia di lavoratori. A questo si aggiunga la sofferenza di alcune aziende del polo nautico di Torre Annunziata, come Aprea, o altre aziende del settore di minore dimensione.
Il Governo dovrà finalmente assumersi le proprie responsabilità, dare una risposta ai lavoratori e offrire una prospettiva per il futuro del Gruppo Tirrenia. Innanzitutto va garantita la proroga della convenzione tra Stato e Tirrenia, la continuità aziendale, l’occupazione e il reddito dei lavoratori. E’ del tutto evidente che, dopo il fallimento della gara, il Governo deve mettere in campo con efficacia e meno genericità, una proposta seria e credibile per accompagnare il processo di privatizzazione.
La Regione Campania deve svolgere un ruolo positivo nella definizione della vertenza. Analogamente, per la Caremar, la Regione deve chiedere al Governo, la proroga della convenzione e, definire al più presto il bando di gara.

Settore Ferroviario 

Il problema riguarda in particolare l’Avis di Castellammare di Stabia, senza commesse da parte dei suoi principali committenti: Trenitalia e Circumvesuviana.
Per Trenitalia la mancanza di risorse ha fatto saltare il contratto di servizio con la Regione e ha provocato la cancellazione di trentadue collegamenti, con gravi ricadute sulle fasce sociali più deboli, sui pendolari e sugli studenti. Con l’annunciata abolizione del biglietto Unico Campania, l’aumento dei biglietti sarà del 22% per la tariffa base (per la corsa area metropolitana Napoli da 1,10 a 1,40 euro) fino ad aumenti del 53% per i viaggiatori che utilizzeranno due o tre mezzi di trasporto. Intanto è già operante la soppressione delle agevolazioni tariffarie per studenti medi, universitari e forze dell’ordine. Dal 2011 il drastico taglio del 30% dei bus e dei treni inciderà non solo sul servizio ai cittadini ma anche sull’occupazione degli autoferrotranvieri, dei ferrovieri e dei lavoratori degli appalti.

Settore edile e delle costruzioni 

Il settore delle costruzioni, inteso come filiera, evidenzia una possibile crisi nelle attività estrattive (cave) che rischia di mettere in crisi il settore laterizio.
Il comparto legno necessita di un’attenzione particolare nel settore cantieristico da diporto (gruppo Aprea di Torre Annunziata).
Sul cemento resta ancora incerto il destino produttivo della Cementir di Maddaloni per la mancata definizione del Progetto di estensione delle cave.
Il settore edile è ancora tutto dentro la fase negativa derivante dalla chiusura graduale dei cantieri e del mancato avvio di nuove opere: 14mila lavoratori in meno a marzo 2010. Sono da garantire il completamento dei cantieri delle infrastrutture di trasporto (metropolitana di Napoli e Regionale), le infrastrutture sociali (edilizia sanitaria e scolastica, Ospedale del mare). Strategico è l’investimento sulla Napoli-Bari. E’ urgente garantire i tempi oltre alle risorse finanziarie per i programmi Più Europa e i grandi progetti.

Accordo di programma Caserta

Riguarda risorse pubbliche per attrazione investimenti. 50 milioni di euro regione e 50 milioni di euro ministero. Gli strumenti agevolativi sono costituiti da: L.181, Contratti di Programma nazionali e regionali. L’accordo, sottoscritto dalla Regione, dalla Provincia e dal Governo riguarda tutta l’area casertana, in particolare la soluzione di tre grandi crisi industriali: Ixfin, Finmek e 3M, che complessivamente stimano attorno ai 1000 esuberi. A differenza di altri accordi, è stato fatto un lavoro al tavolo di concertazione per individuare una prima griglia d’iniziative da insediare nel sito della 3M, considerato l’unico idoneo dal punto di vista delle infrastrutture per insediare più attività. Per la parte regionale, è stato utilizzato lo strumento del Contratto di Programma. Sono in valutazione: consorzio Socratis (coordinato da Confindustria Caserta) per un progetto di meccatronica. L’altro progetto è di Novamont, uno dei più importanti gruppi europei nella chimica pulita. I progetti in questione hanno concluso tutto l’iter di valutazione sia amministrativo sia di merito. La Giunta deve solo approvare con delibera i progetti.
Sul versante governativo è tutto fermo. I progetti ci sono, ma ancora non c’è un lavoro d’istruttoria della segreteria tecnica. La preoccupazione è che i fondi che il Governo ha stanziato per quest’Accordo vengano dirottati altrove, mentre la Regione non ha ancora chiarito se intende o meno dare attuazione all’accordo.

Accordo di programma Acerra

Nasce dopo la chiusura della ex Montefibre, che nel frattempo si è articolata in tre nuove aziende: Simpe, NGP, Filion. Sono queste le tre aziende oggetto degli interventi delineati nell’accordo di programma. Le gambe su cui si poggia l’accordo sono tre: ristrutturazione impianti ex Montefibre per consentire la produzione di polimeri; la costruzione di una centrale a olio vegetale, con un impatto ambientale di molto inferiore a quella precedente; realizzazione di un parco industriale che prevede incentivi per imprese che s’insediano nell’area, con l’impegno di riassorbire una parte degli esuberi provenienti da Ex Montefibre e che non vengono riassunti dalle tre aziende citate. La SEDA di Barcellona, la più grande produttrice mondiale di polimeri, è intervenuta acquisendo una parte del capitale delle due aziende Simpe e NGP, entrando a pieno titolo nell’operazione. La recente crisi finanziaria, più la crisi di mercato nel settore dei polimeri, ha messo a rischio la tenuta della multinazionale SEDA, che è stata costretta a un piano di salvataggio del gruppo, concordato con le banche. Attualmente l’impianto di Acerra è il più all’avanguardia del settore. Ma solo per avviare gli impianti servono circa 10 milioni di euro. L’Unione Europea ha bocciato la possibilità di finanziare questa parte dell’accordo da parte della Regione. Sempre nell’ambito dell’accordo di programma Acerra c’è la vertenza Ilmas, settore aeronautico, che rilevò Exide, azienda che produceva batterie a Casalnuovo. Ci sono stati dei ritardi a causa della vecchia Amministrazione Comunale, per l’approvazione del Pua. Attualmente è stato nominato un curatore che sta provando a individuare soggetti disponibili a rilevare l’azienda.

2A. Dal welfare al workfare

L’aumento delle persone interessate da processi d’impoverimento è concentrato soprattutto al Sud. Del 16% d’italiani con un livello di spesa sotto la soglia di povertà, ben il 70% è concentrato nelle regioni meridionali. E ancor più nella nostra Regione: con gli indicatori economici e di sviluppo tra i più sconfortanti d’Italia. Poco meno di una famiglia su quattro vive, in Campania, al di sotto della soglia di povertà.
I bambini della nostra Regione, demograficamente la più giovane del Paese, che usufruiscono dei Servizi per l’Infanzia sono l’1,50% contro una media meridionale superiore al 4% e nazionale superiore all’11%. Con aree urbane dove il costo della vita ha avuto una rincorsa superiore perfino alla media nazionale.
E come se non bastasse da noi la vivibilità è più bassa; l’incidenza della criminalità la più elevata d’Italia; l’insicurezza avvertita da un numero sempre crescente di cittadini.

Ammortizzatori sociali

Da tempo si discute della riforma degli ammortizzatori, per correggerne inefficienze e iniquità. Quello che si è venuto a stabilizzare è un sistema che in alcune aree presenta il massimo di discrezionalità.
La riforma dovrebbe puntare a una decisa valorizzazione della prestazione universalistica prevista per la perdita del lavoro (il trattamento ordinario di disoccupazione), che dovrebbe anche estendersi all’area del lavoro autonomo economicamente dipendente.
Per quel che riguarda le politiche attive (il welfare to work) ci sarebbe molto da dire, ma qui sono possibili solo poche battute. Il quadro normativo è piuttosto confuso e non chiarito è il delicato profilo relativo al trattamento di disoccupazione con requisiti ridotti. Soprattutto pesa comunque negativamente la debolezza dei centri per l’impiego e del tessuto nel quale essi si trovano a operare.
Uno degli aspetti centrali ai quali si dovrebbe porre maggiore cura è quello della attribuzione a queste strutture di risorse idonee a incentivare un’attitudine cooperativa, nei loro confronti, da parte dei datori di lavoro. A questo fine sarebbero radicalmente da rivedere gli attuali meccanismi d’incentivazione economica alle assunzioni.
Il confronto sulle azioni previste a bilancio in regione annuncia un percorso molto complicato e non meno problematico di quello registrato per la legge finanziaria nazionale licenziata e anche tanto criticata: le risorse sono poche e saranno tagliati importanti settori di attività.
A farne le spese saranno soprattutto il welfare e le politiche attive del lavoro. Guardare al welfare con fastidio o rimuoverlo come se fosse un peso del passato di fronte alle emergenze di nuovi, presunti, più importanti problemi è una tesi che, alla lunga, non porterà nessun vantaggio.
Il reddito di cittadinanza, appena abolito, è stato ricondotto al ruolo di captazione del consenso dando così voce alle numerose posizioni di malcontento di chi sosteneva che le politiche di welfare in Campania fossero improntate sulle tecniche “post factum” (assistenza e, forse, formazione più che lavoro).
Il cambio di passo in tema di sostegno al reddito è scaturito dalla convinzione (maturata non soltanto in Campania ma nell’intero contesto nazionale) che l’esperienza dello strumento universalistico di reddito minimo si è, di fatto, rivelata fallimentare. In questi primi mesi di governo, la Giunta Caldoro si è dunque più volte espressa in favore di una rivisitazione di tale sussidio, cui dovrebbe subentrare una politica di welfare finalizzata all’inserimento lavorativo e fatta di percorsi personalizzati per l’emersione dalla povertà.

Reddito di cittadinanza

Il Reddito di cittadinanza, un’innovazione giudicata un fallimento: 231 milioni di euro in tre anni a 18.247 nuclei familiari beneficiari su 122.100 ammissibili. Privi, a detta di alcuni, di risultati concreti: «il reddito di cittadinanza non ha rotto il circolo vizioso tra assistenzialismo degli enti erogatori e dipendenza dei beneficiari». I poveri che hanno percepito 350 euro al mese per tre anni sono diventati, nella migliore delle ipotesi, “ostaggio” di quel denaro pubblico dato loro senza alcuna ratio. Alcuni studiosi ne hanno affermato il fallimento. Per i sociologi quelle 122.100 domande inviate da tutta la Campania sono un patrimonio inestimabile per studiare la povertà campana.
La prima cosa che allarma i sociologi è l’identikit generico del beneficiario del reddito di cittadinanza: «Dei 122 mila nuclei familiari la cui richiesta è stata ritenuta ammissibile, è stato selezionato solo il 15 per cento. Le province più rappresentate sono Napoli, con il 58 per cento del totale regionale, Salerno e Caserta con rispettivamente il 16 e il 15 per cento, seguite da Avellino con il 6 per cento e Benevento con il 4 per cento. Siccome la maggior parte di questi 18 mila ammessi hanno dichiarato reddito zero, significa che il povero napoletano ha più diritto di quello sannita o sorrentino. Cioè, che a molti è stata data la patente di poveri, ma solo alcuni hanno avuto diritto all’obolo». E i controlli? «Erano affidati alla discrezionalità dei dirigenti del piano di zona. Il problema è che non hanno mai avuto le risorse a tal fine».1 Dallo studio, infine, emerge un altro elemento: il 67% dei nuclei beneficiari è costituito da persone in piena età lavorativa, non superano cioè i quarantacinque anni di età.

Diritto allo studio

L’offerta di servizi agli studenti universitari sotto forma di borse di studio, convenzioni per i pasti e residenze rischia di subire una serie contrazione a seguito del taglio di oltre cinque milione di euro alle aziende regionali per il diritto allo studio. La sola azienda dell’Università Federico II ha dovuto registrare un taglio di bilancio di quasi mezzo milione di euro.
È opportuno rammentare che i finanziamenti a tali Aziende regionali derivano dal pagamento degli studenti di una tassa ad hoc e che, come tale, non deve incorrere nella scure dello sforamento del Patto di Stabilità.
Il malessere è già abbastanza diffuso nella popolazione studentesca che s’interroga se l’ammontare dei servizi, già razionati, sarà mantenuto.
È necessario dunque che simili tagli siano evitati e che si massimizzino, anzi, le possibilità di incrementare le risorse.

3A. Le grandi opere infrastrutturali

Il 40% del totale dei fondi comunitari del periodo di programmazione 2007-2013 a disposizione della Campania proviene dal FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), soldi destinati alle infrastrutture.
La Regione, dopo un’intensa concertazione con il partenariato economico e sociale, ha concentrato queste risorse su sedici grandi progetti:

- Completamento della riqualificazione e recupero del Fiume Sarno

- Risanamento ambientale e valorizzazione dei laghi dei Campi Flegrei

- Risanamento ambientale e valorizzazione dei Regi Lagni

  • Polo fieristico regionale
  • Polo agroalimentare regionale (PAR)
  • Polo logistico regionale a sostegno del comparto florovivaistico
  • CamBio: la Rete delle eccellenze biotecnologiche della Campania
  • Linea 1 della Metropolitana di Napoli. Completamento tratta Dante-Garibaldi-Centro Direzionale: Costo totale 739,630 milioni di euro; costo ammissibile 400,658 euro; contributo UE 200,239 milioni di euro.
  • Ferrovia Metrocampania Nord Est Tratta Piscinola-Secondigliano-Capodichino: Costo totale 332,154 milioni di euro; costo ammissibile 171,857 milioni di euro; contributo 85,928 milioni di euro.
  • Logistica e porti
  • Interventi regionali complementari all’alta capacità NA-BA
  • Sistema degli aeroporti campani (infrastrutture tese a garantire la migliore accessibilità all’aeroporto di Grazzanise)
  • Tangenziale aree interne (al servizio del sistema produttivo Valle Caudina e Avellino-Pianodardine)
  • Allarga la rete: Banda Larga e sviluppo digitale in Campania
  • Realizzazione d’interventi del Piano Urbanistico attuativo per l’area dell’ex Italsider di Bagnoli (Napoli): Costo totale 199,015 milioni di euro; costo ammissibile: 75,889 milioni di euro; contributo UE: 37,944.
  • Recupero e riuso del Real Albergo dei Poveri di Napoli
La “Piattaforma logistica del Mediterraneo”

La Giunta regionale ha confermato la scelta strategica di quella che è stata chiamata “La cura del ferro”, appostando ancora una volta buona parte delle risorse sul completamento e potenziamento della rete ferroviaria. Nello stesso tempo, vengono proposte opere riguardanti il potenziamento degli assi di collegamento stradale, in particolare delle cosiddette “aree interne”.
Il tutto fa parte della strategia “Piattaforma logistica del Mediterraneo”, che è alla base anche dei “Poli produttivi” proposti per l’agroalimentare, il florovivaismo e il settore fieristico. Particolare attenzione è stata posta anche sulle opere di risanamento ambientale nelle aree che presentano le maggiori criticità (Fiume Sarno, Campi Flegrei, Regi Lagni).
I “Poli produttivi” nascono dalla programmazione effettuata negli anni 2005-2010 dall’Assessorato all’Agricoltura e alle Attività Produttive e vanno intesi come strutture logistiche al servizio dell’impresa e dell’economia campane.
Il Polo fieristico
s’intende come complementare alla Mostra d’Oltremare, la cui struttura non sempre riesce a rispondere alle esigenze degli imprenditori che intendono organizzare eventi fieristici, soprattutto nel campo del B2B o del B2C. E questo sia per l’ubicazione della Mostra, sia per i vincoli imposti dalla Sovrintendenza, che incidono fortemente sui costi. Un polo fieristico ubicato a nord del capoluogo, sull’asse Napoli-Roma, si avvicinerebbe ai mercati più interessanti.
Il Polo florovivaistico
viene incontro alle esigenze di razionalizzazione poste da un settore estremamente interessante per l’economia campana, attualmente parcellizzato e operante in aree (in particolare sulla costa a sud di Napoli) fortemente urbanizzate e congestionate per l’altissimo numero di veicoli circolanti su strade non adeguate.  La nascita di un polo logistico nella zona di Nola-Marigliano consentirebbe di proseguire l’attività di marketing già avviata dalla Regione con il marchio “Costiera dei Fiori” e di facilitare la nascita di consorzi che consentirebbero una presenza più forte sui mercati italiani ed esteri delle imprese florovivaistiche.
Il Polo Agroalimentare
Regionale è frutto di una lunghissima gestazione, iniziata alla fine degli anni ’90. Nasce sicuramente dalla necessità di rafforzare il sistema di supporto al sistema agroalimentare campano laddove esso presenza punte di eccellenza sia sotto il profilo della quantità che della qualità. Fin dall’inizio si decise di far nascere il PAR nella Piana del Sele, nel territorio del comune di Eboli, nei pressi di San Nicola Varco (dove vivevano gli immigrati poi sgomberati e dove attualmente è in costruzione un outlet) e a poche centinaia di metri dall’azienda Improsta. Su questo progetto, più ancora che sui due precedenti, si è svolta una lunghissima fase di concertazione con gli enti locali e con le organizzazioni sindacali, oltre che con gli operatori. Sarebbe opportuna una verifica dell’attuabilità del progetto, atteso che molto spesso gli operatori economici della zona hanno chiesto soprattutto un maggiore collegamento e piccole strutture logistiche per raggiungere Battipaglia e lo stesso porto di Salerno.
Per quanto riguarda il sistema dei trasporti, le opere finanziate prevedono il completamento, come si diceva, della rete ferroviaria. Sarebbe auspicabile un finanziamento ulteriore per permettere la chiusura dell’anello della linea 1 della metropolitana di Napoli.
Così come le misure di messa in sicurezza ambientale sono da sottoscrivere, anche se andrebbero allargate ad altre vaste aree della Campania, che presentano un territorio devastato da anni di sversamenti di rifiuti, anche tossici: è il caso di ampie aree del Casertano, del Napoletano (Acerra) e del Giuglianese.

4A. Tendenze cicliche da: “Banca d’Italia, L’economia della Campania, Aggiornamento congiunturale, Novembre 2010”.
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1 La ricerca sul Reddito di cittadinanza è stata realizzata da Luca De Luca Picone, ricercatore presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di “Napoli Federico II” [torna su]