E adesso chi paga il conto?

E adesso chi paga il conto?

Gianni De Falco, presidente Ires Campania

 

zone covidNei teatrini di avanspettacolo dei paesini di periferia (molti anni fa), quando il pubblico non era convinto delle doti canore del cantante o della cantante di turno, gridava «senza microfono».

Il senso era quello di dimostrare che le capacità delle corde vocali dell’artista non erano buone. Era una strada di non ritorno, perché se l’artista, raccogliendo la sfida, si metteva effettivamente a cantare senza microfono veniva sommerso da fischi e pernacchie dalla platea inferocita.

È una storiella simile a quanto va accadendo con i ventuno parametri che collocano le Regioni in una area (o colore) piuttosto che in un’altra.

Prima non ti adeguo la sanità e poi visto che non l’hai adeguata… ti chiudo.

Perché il dato che gioca sull’attribuzione di un colore, che vuol dire penalizzazioni via via crescenti per le attività economiche, non è solo il rapporto tra contagiati e tamponi fatti, che dimostra la circolazione del virus (ho i miei dubbi), o l’indice RT (di contagiosità) ampiamente inaffidabile (è stato dimostrato scientificamente), ma anche la capacità di contrastare e gestire le fasi successive.

 

 

Sembrerebbe a prima vista tutto corretto. Invece, in realtà si conferma un meccanismo simile al disimpegno automatico che viene attivato con i Fondi strutturali comunitari. Tu Policy maker non riesci a spendere? Io Unione Europea ti tolgo i soldi, invece di sostituire le organizzazioni inadeguate (dovremmo ripensare anche questa condizione). Meccanismo perverso, che penalizza due volte i territori: perché conferma una classe dirigente inadeguata e perché, contemporaneamente, subisce la sottrazione delle risorse.

Fuor di metafora alcune regioni meridionali come Calabria, Sicilia, Puglia, e mi fa strano che non ci sia anche la Campania per uno strano calcolo tutto da verificare (ma su questo ho differenti e perversi pensieri… politici), sono state penalizzate nel tempo con una sanità inadeguata, dovuta principalmente ad una spesa pro capite che è la metà di quella Emiliano romagnola, oltre che ad una gestione improvvisata (e qui colpa delle Regioni) delle risorse a disposizione.

Il caso della Calabria è incredibile. La sua sanità è commissariata da sempre ed ora con un RT dell’1,29 (estremamente basso), viene posizionata in Zona rossa.

Bene, adesso il Governo non si sostituisce agli amministratori locali e non controlla che gli obiettivi di posti di terapia intensiva vengano raggiunti o che l’organizzazione per effettuare tamponi sia adeguata. Ti chiede, invece, maggiori blocchi anche se i tuoi dati, in termini di diffusione del virus, siano molto contenuti.

Il rapporto tra tamponi e contagi in Sicilia è 12,31 in Puglia 15,41 in Calabria ancora più basso, mentre in Liguria è 18,27 e nelle Marche 17,88 ed entrambe sono in Zona gialla.

Considerato che una seconda ondata era ampiamente prevedibile (in alcuni casi anche per orario!), perché chi aveva la responsabilità di attrezzare la realtà con posti letto covid non è chiamato a rispondere di questo disastro per le economie coinvolte? E coloro che dal centro dovevano controllare che le indicazioni del Governo venissero adottate, dov’erano?

Paga sempre e solo la povera gente (come dice qualcuno «il popolo») che, gregge inerme, viene punito per colpe non proprie.

E mentre le realtà settentrionali subiscono il fermo perché il loro indice di contagiosità (RT) è estremamente elevato, Lombardia 1,64 Piemonte 1,83 Emilia Romagna 1,52, quelle del Sud, come Sicilia 1,28 Calabria 1,29 vengono penalizzate e soffrono per colpe non collegate alla diffusione del virus e alla consistenza dell’indice RT, ma alla disorganizzazione dell’attività di contrasto (per la Campania bisogna aprire una differente riflessione, non collagata all’indice RT ma, piuttosto, alla disorganizzazione delle attività di contrasto… in piazza).

Si tratta di una seconda penalizzazione inaccettabile: perché la prima è stata quella di non capire che le realtà dovessero essere trattate, nella prima ondata, in maniera differente, in base alla differente diffusione del contagio (ma, forse, qualcuno ha pensato che si facesse un regalo all’economia del Mezzogiorno senza pensare ai vantaggi che sarebbero derivati per l’economia nazionale).

Sono stati necessari otto mesi, in un approccio che da un lato vede un virus “Speedy Gonzales” e dall’altro un “Governo tartaruga” per capire che bisognava diversificare. D’altra parte a bocce ferme mi pare legittimo che se non hai approntato le misure e gli strumenti per combattere l’epidemia, per evitare che il numero di morti aumenti, si proceda a chiusure progressive.

Adesso però, visto che non è un problema di risorse, che teoricamente non dovrebbero mancare, allora si diano dei tempi di attuazione delle misure per attrezzarsi da un punto di vista sanitario e poi, se alcune Regioni non ce la faranno, si sostituiscano i loro “staff operativi” con una “task force” nazionale. Non possiamo continuare a penalizzare i territori (il professore Sabino Cassese soleva dire «più che pensare ai Comuni, pensate alle comunità»… l’avessero mai fatto).

In ogni caso questa è un’ulteriore dimostrazione della necessità del cambiamento del Titolo V, altro che ulteriori autonomie. C’è l’esigenza, per alcune realtà, di ritornare ad un centralismo virtuoso, visto che le aree che non sono riuscite a tenere il passo sono prevalentemente meridionali, per un passato di mancanze (o sottrazioni) di risorse ma anche per l’incapacità di gestirle.

Ma il nostro è un Paese in cui non paga mai nessuno e i commissari possono tranquillamente autoassolversi con difese parolaie indipendentemente dai risultati (non) ottenuti.

Se non è opportuno, in questo momento, cambiare ministri con rimpasti pericolosi, forse però considerare le efficienze e le deficienze delle parti operative procedendo a cambi mirati potrebbe essere opportuno.

Squadra che vince non si cambia, ma se la squadra continua a perdere qualche giocatore forse va sostituito.