La civiltà della pasta. Storia di maccaroni e maccaronari. Un libro a cura di Enzo Esposito.

Il nostro amico Enzo ha pubblicato un libro sulla storia e sulla civiltà della pasta e sui suoi protagonisti, i maccaronari. Pubblichiamo di seguito la recensione del Direttore dell'Ires e antico compagno d'armi Gianni De Falco.

 

15194579 209672946107812 9064724049834264105 oLa civiltà della pasta. Storie di maccaroni e maccaronari.

A cura di Vincenzo (Enzo) Esposito. Prefazione di Claudio Novelli e post fazione di Giuseppe (Peppe) Zollo, edito in Napoli, 2016, per i tipi di Dante&Descartes. € 22,00.

 

 

Di Gianni De Falco.

 

Mi rigiro tra le mani il bel libro “La civiltà della pasta. Storie di maccaroni e maccaronari” curato da Enzo Esposito, un amico, quasi un fratello. Per la prima volta rilegato, corretto, verificato e stampato. Ma il libro lo conoscevo già, sono alla terza o quarta lettura solo che le precedenti o sono avvenute on line o su fotocopie. Questo per volere di Enzo che a pochi amici fidati (siamo tutti ricordati e ringraziati nel libro) ha chiesto di leggerlo (in modo carbonaio) per parlarne insieme, ricevere osservazioni ed eventuali correzioni (ma solo tipografiche).

Il volume non è uguale a quello che ci ritrovammo inizialmente tra le mani, ma l’edizione a stampa richiede le sue regole. Tuttavia, nonostante i tagli (si perché l’edizione carbonaia era molto più ampia) il libro resta di una certa «consistenza editoriale».

Enzo ricostruisce “storie”, evoluzioni di una industria molitoria e pastaia che quasi non esiste più, basta guardare la ricca iconografia per ritrovare nomi e “premiate ditte” e “Real fornitori” che oramai appartengono alla storia di chissà chi, di chissà quando, di chissà cosa e di chissà dove.

Il meccanismo è quello dell’antologia, Enzo ha ricercato, ha letto, ha scartato ed ha acquisito una notevole mole di scritti letterari, articoli, leggende… facendone quasi un romanzo.

La dedica è di per sé una indicazione, tolto l’obbligo di quella alle sue donne Amelia e Roberta (alle quali per la verità ha dedicato da sempre la sua vita), continua con altre donne, due di pura fantasia, Francesca e Nunziata, e l’altra inventrice delle due precedenti, la scrittrice Maria Orsini Natale.

Un libro “Francesca e Nunziata” edito da Avagliano nel 1995 che raccolse vari premi, tra questi lo Strega e l’Oplonti, e che, ricordo, ci emozionò molto sia per la storia in sé, sia per la collocazione. Avemmo poi la fortuna di conoscere la sua autrice Maria Orsini Natale, in quel di Torre Annunziata e di rileggere il romanzo, questa volta per immagini, con la brillante ricostruzione che ne fece Lina Wertmuller nel 2001 con una stupenda (ed è poco) Sophia Loren e un sempre credibile “napoletano” Giancarlo Giannini.

Ne discutemmo a lungo e cominciammo ad appassionarci alla storia di quei laboriosi ed umili artigiani “maccaronari” che con miracolosa passione dettero vita ad una impresa della pasta più nota come «arte bianca».

L’antologia curata da Enzo con il suo bel saggio introduttivo mi ha riportato al vecchio testo  “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” di Pellegrino Artusi.

Non fu un vero e proprio gastronomo Artusi, ma uno scrittore e critico letterario che avviò, con il suo libro, l’unificazione degli italiani a tavola dopo l’avvenuta unificazione politica. Segnò una svolta per l’Italia umbertina creando una cultura gastronomica nazionale.

Artusi giunse ad occuparsi di ricette (cominciò con quella per il minestrone) dopo aver contratto il colera a seguito di una mangiata di minestrone, appunto, in una osteria di Livorno e a forti mal di pancia che convinsero il povero Pellegrino a lavorar di penna.

Penso che questa condizione di mal di pancia abbia convinto anche Enzo a scrivere d’arte bianca, di maccaroni e di maccaronari. Mal di pancia nato non da colera (per fortuna) ma da lettura (per sfortuna) di altro testo dedicato ai laboriosi artigiani della pasta, così falsato e disinformato da meritare una ricerca seria e un libro come questo che oggi viene stampato. Dell’altro testo, parafrasando il poeta, «non ti curar di lui ma guarda e… pasta».

C’è un filo conduttore, comunque, tra il libro e la vita gastronomica di Enzo che mi piace riportare, che altrimenti non si capisce il nesso.

La prima volta che ne ebbi contezza fu molti anni fa, credo che ad oggi possiamo contar trent’anni circa. Riunione tra amici e colleghi, cucina Enzo. Io e un altro amico ci attardammo per causa lavoro e prima di partire per raggiungere gli altri decidemmo di telefonare per conoscere la situazione di “cucina”. Questa in breve la conversazione: «Gaeta’, senza far capire a Enzo, da uno a dieci come siamo messi?» la risposta fu «Venti!». Ed il pranzo confermò anche più ampiamente il voto.

La seconda volta capitò a casa di un nostro caro amico, Lello, Enzo si esibì in una divina pasta al nero di seppia. Che ci dette una goduria, a ripensarla, per più di una settimana. L’unica a protestare fu la moglie di Lello che, giusto per una settimana, fu impegnata a pulire le mattonelle della cucina per… qualche schizzo di nero in più.

Il terzo e ultimo episodio vide me e Giampaolo Romano (anch’egli citato tra i ringraziamenti) come angosciati e muti testimoni di una “sfida” di alta cucina tra il nostro buon Enzo (eravamo convinti che ci avrebbe trascinato, con ignominia, nel fango, per non dire peggio) e Donna Lidia Iaccarino, moglie di Don Alfonso Iaccarino chef di livello internazionale. La sfida consisteva nel riconoscere tutti gli ingredienti di un complicatissimo piatto.

Ci convincemmo che fosse una sfida impossibile. Tuttavia, ingrediente per ingrediente, Enzo non ne sbagliò uno fino a ritener chiusa singolar tenzone. Quando ci sentimmo inorgogliti e soddisfatti, contenti anche di essere stati smentiti per la nostra visione negativa, ci arrivò addosso una secchiata d’acqua gelata con l’osservazione di Donna Lidia: «manca un’ultimo ingrediente, se vuole può riassaggiare la pietanza», ci sentimmo come una difesa che aveva preso un autogol all’ultimo minuto, come una concorrente del Rischiatutto che “cade sul pesce”(episodio vero o non vero, per noi così fu)… bocca aperta incapaci di profferir parola.

Il nostro, senza alcun timore, affondò per l’ultima volta il cucchiaio tra spezie e verdure e cominciò una degustazione simile a quella del critico gastronomico protagonista del cartoon “Ratatuille”. I suoi occhi si chiusero e spuntò, almeno così a me parve, un leggero sorriso, riaprì gli occhi che ora sorridevano più della bocca. Adagiò il cucchiaio nel piatto e con la gioia di un bimbo che aveva trovato la sua sorpresa sentenziò: «c’è anche la liquirizia!!!».

Donna Lidia rispose alla stessa stregua di chi non vuol perdere: «si, ma di che marca è?».

A questo il buon Enzo sbottò: «signora, li ho indovinati tutti mo’ nun ce putite accirere ‘a salute…». Per la cronaca “Amarelli” di Calabria!

Donna Lidia si arrese. Tra noi botte sulle spalle (alla Cannavacciuolo), strette di mano e voglia di urlare come per un pareggio all’ultimo secondo o come per un gol che faceva vincere la partita a tempo scaduto. Non ci permettemmo di issarlo a spalla soltanto per… il peso. Soltanto dopo pensammo che una lapide ad imperituro ricordo non sarebbe stata male.

La degustazione di “Ratatuille” può accompagnarvi nella lettura delle belle pagine di letteratura dedicate alla pasta e dintorni. I brani scelti da Enzo sono incomparabili e rispondono alla stessa intuizione “alla liquirizia”.

Non sarebbe giusto ora citare un autore o un altro ancora tra i tanti, mi permetto di ricordare una antica lettura giovanile “Pane, sale e olio” di Giuseppe Marotta (racconto non presente in antologia), sembra dedicato a questa popolare colazione o, in alcuni casi, a questo fugace pranzo di una volta; in realtà parla della povertà, dell’umiltà e dell’Italia che veniva fuori dalla guerra, di una società che si trasformava, di una civiltà nuova.

Raccontare dei maccaronari o dell’evoluzione dei maccaroni significa, alla stessa stregua, raccontare una storia artigiana prima e industriale poi, di lavoratori artigiani e operai, di territori e terre, di storie e leggende, di una intera civiltà quasi perduta e morta ed ora quasi rinata come l’araba fenice, forse in altri luoghi, forse in altre terre, forse in altri modi: è “la civiltà della pasta”, una storia e una cultura da leggere e non dimenticare.