La Storia che c’è. La Storia che non c’è.

 

di Gianni De Falco, Presidente Ires Campania.

 

La ricchezza del passato del nostro paese e della sua tradizione culturale ha fatto e continua a fare in modo che ogni biblioteca possieda patrimoni rilevanti dal punto di vista non solo informativo, ma anche culturale. Piero Innocenti, nel saggio Biblioteche e archivi, dopo aver trattato ampiamente delle differenze classiche tra i due istituti, evidenzia un'unica analogia: «in ambedue il patrimonio rappresenta fisicamente la continuità storica…». La raccolta di materiali per lo studio della storia, ha lo scopo di «rispecchiare la vita della comunità nei secoli per favorire nella popolazione, soprattutto giovanile, la riappropriazione del passato».

L’importanza della raccolta di documentazioni ha contagiato anche le grandi organizzazioni (sindacati, partiti), le imprese di maggiore rilevanza (per ricordarne alcune presenti a Napoli: l’Enel, l’Italsider e il Banco di Napoli) e alcuni sistemi locali (scuole e comuni, principalmente).

Quello che è necessario realizzare è un “progetto culturale unitario”, un disegno di ricomposizione e sistemazione strumentale delle fonti della storia, basato su due elementi portanti: il riconoscimento e la valorizzazione delle specificità dei diversi documenti e l'approntamento di strumenti di descrizione e ricerca in grado di superare i limiti di incomunicabilità tra le diverse specie di beni culturali. Quello che va ricercato è un proficuo accordo tra biblioteche e archivi, al fine di mettere in relazione tra loro tutti i documenti che testimoniano la storia della comunità.

In questi giorni nella nuova sede della Cgil Campania e di Napoli, in via Toledo 353, si lavora per la rinascita della Biblioteca e dell’Archivio storico dell’organizzazione sindacale dopo l’accredito dei locali concesso dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania.

Ma la riorganizzazione della Biblioteca-Archivio della Cgil nasce con una grave deficienza. Non esiste, infatti, una raccolta documentale riconducibile ai partiti e alle organizzazioni politiche della sinistra napoletana, perché la storia e l’evoluzione della Cgil e degli altri sindacati napoletani non può prescindere da una collocazione di questa in un contesto politico, culturale e sociale dei partiti e delle varie organizzazioni della sinistra napoletana.

Tolto l’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, intitolato a Vera Lombardi, diretto da Guido D’Agostino, gli archivi storici del Pci, del Psi, del Psiup e delle altre organizzazioni ancora oggi risultano inconsultabili. Non solo, di essi se ne è persa addirittura traccia.

Mi occupai delle traversie di quegli Archivi addirittura nove anni fa con uno scritto pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno (Storia di una storia negata, 16 ottobre 2009) e a causa di questo litigai con l’allora presidente della Fondazione Francesco De Martino, Abdon Alinovi, a cui quegli archivi furono affidati. Alinovi protestò per l’accusa di aver disperso il prezioso patrimonio archivistico dell’intera sinistra napoletana e campana, ma alle mie insistenti domande sulla loro collocazione e conservazione non seppe dare risposte… «forse in parte a Caserta… in parte a Pomigliano… in parte presso l’Archivio Centrale di Stato… in parte ostaggio di una società di digitalizzazione…». Forse? In parte?… il nostro, dunque, non fu un colloquio definibile “tranquillo”.

Ora, perdonatemi la ripetizione, se lo scopo delle documentazioni archivistiche è quello di «rispecchiare la vita della comunità nei secoli per favorire nella popolazione, soprattutto giovanile, la riappropriazione del passato» bisognerebbe chiedersi come potrebbero fare i nostri giovani a ri-scoprire i valori culturali di quelle organizzazioni, il loro essere protagoniste di importanti eventi politici, sindacali, sociali se le giovani generazioni (a partire grosso modo dal 1985 in poi) non conoscono manco le sigle di quei partiti e di quelle organizzazioni. Ci lamentiamo poi delle loro gravi ignoranze, tipo scambiare la sigla FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana) con la FIGC (la Federazione Italiana Giuoco Calcio) o, come testimoniò in un suo docufilm Walter Veltroni, credere che Enrico Berlinguer fosse un noto calciatore della nazionale campione del mondo del 1982 o, forse, un regista cinematografico.

Credo che i tanti “compagni” (si può usare ancora questa parola?) oggi ritiratisi in più o meno serene attività politico-culturali dirigendo e presiedendo varie associazioni o fondazioni dovrebbero occuparsi di questo increscioso problema, in primo luogo per il rispetto che devono alla loro personale e collettiva storia e poi per restituire alle giovani generazioni la possibilità di riappropriarsi di quel passato, di quella storia e di quella cultura che negli ultimi anni è stata a loro negata.  Perché è bene ricordare che non c’è alcuna possibilità di futuro senza avere alle spalle una forte e consolidata storia. Quella che la sinistra napoletana (e forse non solo napoletana) non ha più.